
WBA. Sessanta anni di attività sotto lo stesso acronimo, quaranta dei quali sotto il comando della stessa famiglia, i Mendoza. In pratica, una sorta di monarchia. Inizialmente la World Boxing Association aveva elezioni annuali (1921-1979), poi diventate biennali (1980-1988) per passare al quadriennio (1989-oggi). Non è escluso che un giorno la carica possa essere a vita, con la presidenza tramandata nell’ambito della stessa famiglia, senza votazioni.
La WBA in passato si è resa protagonista di situazioni imbarazzanti. Oggi non è da meno.
Il presidente Gilberto Mendoza ha incontrato più volte Umar Kremlev, presidente dell’IBA. A fine novembre hanno stretto un accordo, “Per il bene dei pugili. La cooperazione tra IBA e WBA costruirà la boxe del futuro” hanno detto.
All’inizio di ottobre l’IBA ha riammesso russi e bielorussi nei loro eventi.
Ieri la WBA ha riammesso russi e bielorussi nei loro eventi.
L’IBA punta al professionismo che sembra voglia alimentare a suon di dollari. Prima della fine del mese rinnoverà l’accordo di sponsorizzazione con Gazprom che negli ultimi due anni ha versato nelle sue casse 50 milioni in valuta americana.
Il 14 novembre ha firmato un contratto di sponsorizzazione con scadenza 2028 con la Sting, azienda di abbigliamento sportivo che fornirà per sei anni tutto quello che serve per la pratica pugilistica: dai guanti, alle scarpe, ai pantaloncini, ai punchingball e via dicendo.
Il 30 novembre Kremlev ha incontrato il presidente cubano Miguel Diza-Canel.
Cuba ha aperto al professionismo maschile e ha tolto il divieto di praticare la boxe alle donne.
Il presidente dell’IBA ha visitato numerosi Paesi africani portando parole di sostegno e promesse di aiuti economici.
L’International Boxing Association sta facendo campagna di proselitismo. Le dichiarazioni del suo presidente chiariscono che l’Associazione non si pone come membro della grande famiglia del CIO, ma come antagonista del Comitato Olimpico Internazionale. L’obiettivo, credo, sia un Ente autonomo che raggruppi al suo interno dilettantismo e professionismo, con preferenza per quest’ultimo.
Prima o poi arriverà il momento di contarsi e capire chi sta con chi.
Se la guerra in atto tra IBA e CIO dovesse concludersi con l’esclusione dell’International Boxing Association dai Giochi Olimpici, soluzione che al momento sembra la più probabile, il mondo della boxe si troverebbe davanti a una spaccatura. E assai probabile che tra i Paesi con maggiore tradizione pugilistica almeno USA, Australia, Olanda, i Paesi scandinavi, Francia, Inghilterra, Spagna, Germania restino all’interno del CIO affiliandosi a una nuova Federazione Internazionale, che deve ancora essere creata. C’è l’ipotesi che in occasione della prima Olimpiade a rischio (Los Angeles 2028) il pugilato, per evitare l’esclusione, possa partecipare sotto l’egida della Federazione Internazionale di un’altra disciplina all’interno delle arti marziali.
E l’Italia?
Un mio commento è stato frainteso. Quando ho scritto “Come si schiererebbero i Comitati Olimpici Nazionali? Seguirebbero l’IBA o resterebbero con il CIO? Per quel che riguarda l’Italia, la risposta sembra assai semplice”, qualcuno ha interpretato queste parole in senso contrario al mio pensiero.
La scelta italiana è scontata, può comportarsi in un solo modo.
- È legata a un organismo governativo da rapporti finanziari.
Il 76% dei contributi che arrivano alla FPI provengono da Sport e Salute. - È legata al CONI da legami di territorio e di gestione.
Il 51% dei contributi arriva perché destinato ai Probabili Olimpici e all’attività
di alto livello. - È legata a CONI e Sport e Salute da legami politici.
Scegliere l’IBA significherebbe dire addio alle Olimpiadi, ai contributi, alla salvaguardia politica, all’integrazione nello sport nazionale italiano.
È quindi fin troppo chiaro che la Federazione Pugilistica Italiana sarà sempre e solo da una parte, quella del Comitato Olimpico Internazionale.