
Dei grandi pugili, spesso, si conosce ogni particolare della loro vita.
Fin da quando sono venuti al mondo. Di Carlos Monzon sappiamo tutto sin dai primi vagiti.
La casa era nel barrio de La Flecha. Quattro mura tirate su con grande fatica. Dentro, il nulla, o quasi. Pochissimi mobili, una cucina che minacciava di crollare a ogni acquazzone e letti ovunque. Materassi rotti o sfondati per accogliere la sera il popolo dei diseredati. Mura di cartone a separare un letto dall’altro. Una casa povera, in un quartiere povero, in una città povera.
Don Roque e Amalia Ledesma si erano conosciuti a Saladero Mariano Cabal, 800 abitanti e qualche appartamento con vista sul fiume. L’amore era una delle poche cose che potevano permettersi, per farlo non dovevano pagare.
Era il 7 agosto del 1942, giorno di San Cayetano. I paesani stavano festeggiando in chiesa. Amalia era sdraiata sopra un letto di paglia e di stracci, legati l’uno all’altro a terra, a formare una coperta che sostituiva il pavimento e addolciva la durezza che altrimenti sarebbe stata costretta a subire durante il travaglio.
Lei, dentro, urlava per i dolori. Don Roque, fuori soffriva assieme a lei.
I suoni che uscivano dalla bocca di Amalia all’inizio erano lamenti flebili, ma ora, lentamente, si stavano trasformando in grida disperate. Poi, finalmente, assieme a un urlo lacerante, era arrivato il pianto liberatorio del neonato.
Il bambino si era deciso a venire al mondo.
Di Coley Wallace sappiamo solo quello che l’ufficio della nascite ha registrato. Nulla di più.
Viene al mondo a Jacksonville, Florida, il 5 aprile del 1927.
La grande avventura comincia qualche tempo dopo.
È ancora un ragazzo quando, assieme alla famiglia, si trasferisce ad Harlem, Manhattan, nella parte alta di New York. Il centro culturale e commerciale degli afroamericani.
I suoi 189 centimetri di altezza al tempo, e parlo degli anni Quaranta, ne fanno un colosso. Combatte per gli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale. Tornato in città, entra in palestra.
Diventa un pugile. Un incontrista dotato di discreta tecnica, buon sinistro, destro a chiudere l’azione.
È il favorito tra i pesi massimi nei Golden Gloves organizzati dal quotidiano New York Daily News.
Approda, rispettando il pronostico, ai quarti di finale.
Ci sono 17.926 spettatori paganti al Madison Square Garden quel primo marzo del 1948, molti di loro tifano per l’altro pugile sul ring. È un tipo tosto, nato a Brockton ma di chiare origini italiane. Si chiama Rocco Francis Marchegiano, in arte Rocky Marciano. Un demolitore, grande coraggio, pugni pesanti e mascella d’acciaio. Ha già esordito al professionismo con il nome di Rocky Mac, ha vinto per ko alla terza.
Quello contro Coley è un match di grande intensità. Il pugile di Harlem prova a giocarsela al meglio. È dieci centimetri più alto del rivale, si abbassa leggermente per essere alla stessa altezza e prova a sfruttare la sua velocità. Il destro, pensa, sarà l’arma vincente. Rocky però ha un ritmo alto, costante, non cala mai. Non c’è un solo secondo dell’incontro in cui non dia battaglia. Quando suona la fine del terzo round, molti tra gli spettatori sono convinti che l’italiano di Brockton ce l’abbia fatta.
Non sono della stessa idea i giudici che assegnano per split decision la vittoria a Wallace.
Molti siti online e giornali statunitensi scrivono che questa è stata l’unica volta, da dilettante e da professionista, che Rocky Marciano sia stato battuto. Lo specialista in statistiche pugilistiche boxrec.com racconta invece di altre tre sconfitte: contro Henry Lester al debutto, per squalifica al terzo round; contro Joe De Angelis e Bob Gerard entrambe ai punti.
Coley Wallace è stato comunque l’ultimo a centrare l’impresa, da quel momento in poi nessuno è stato più in grado di sconfiggere Rocky.
Dopo il verdetto sul ring del Garden piovono frutta e insulti.
Marciano dice che è una truffa, che è stato tutto manovrato.
Non fa nomi, ma le accuse hanno un chiaro destinatario. A guidare la carriera, prima da dilettante poi da professionista, di Coley è Frank “Blinky” Palermo, luogotenente di Frankie Carbo: il boss della mafia di New York.
Nato come Paul Carbo nel Lower East Side il 10 agosto 1904, cresciuto nel Bronx. A 20 anni commette il primo delitto: un colpo di pistola alla tempia di un tassista. Patteggia la pena e viene condannato per omicidio preterintenzionale. Nel ’28 entra a Sing Sing. Tre anni dopo, mentre è in libertà sulla parola, uccide il miliardario Mickey Duffy. Lo arrestano al Cambridge Hotel sulla 68th, è a letto con una sedicenne che si fa chiamare Vivan Lee. Lei dice di essere un’artista, in realtà il suo nome è Vivian Malifatti e i soldi li fa con la lap dance. Si contorce, quasi nuda, attorno a un palo o sulle ginocchia dei clienti.
Durante il Proibizionismo, Carbo lavora come killer professionista. Poi diventa un capo e inserisce, a partire dal 1935, la boxe tra i suoi interessi. Comanda il pugilato americano e mondiale per oltre vent’anni. Morirà, di diabete, nel 1976.
Normale che a Rocky Marciano vengano strani pensieri per la testa.
Wallace va in semifinale, batte Terry Teague. Poi supera Bob Baker e vince il titolo. Si ripete l’anno dopo. Nel ’50 passa professionista.
Rocky continua l’avventura nel pugilato dei pro, diventa campione del mondo dei pesi massimi, nessuno riuscirà più a batterlo. Dopo avere messo assieme un record di 49-0 si ritira con il titolo ancora in tasca.
Wallace diventa un buon pugile (22-7-0, 16 ko), si batte anche contro rivali di valore, come Ezzard Charles che lo sconfigge per kot nella decima e ultima ripresa della loro sfida.
Tenta la carriera di giudice, poi quella di arbitro. Da bordo ring stila i cartellini del confronto tra Maurizio Stecca e Cleo Garcia, Felt Forum 8 gennaio 1987, ma soprattutto è chiamato a giudicare il mondiale massimi tra Muhammad Ali e Sonny Liston che si disputa il 25 maggio del 1965 a Lewiston nel Maine e si conclude con la vittoria di Ali per ko 1, grazie a un pugno che quasi nessuno ha visto arrivare.

Il successo vero Coley Wallace lo coglie altrove. Grazie alla sua somiglianza con Joe Louis, interpreta sullo schermo il ruolo di The Brown Bomber per due volte. La prima nel 1953 in Close to me, la storia di Joe Louis; la seconda nel 1980 in Toro Scatenato di Martin Scorsese. Reciterà anche in Carib Gold (1957), Rocky Marciano (1979) e Rooftops (1989).
Si sposa con Pearlie May Carey, hanno un figlio. Lavora a lungo come uomo immagine di un’azienda che produce liquori.
Se ne va via per sempre il 30 gennaio 2005, a 77 anni.
Corone di fiori vengono ancora oggi depositate sulla sua tomba al Calverton National Cemetry nella Contea di Suffolk, New York.
Non è stato un campione, ma un pugile capace di sconfiggere l’imbattibile Marciano, di interpretare Joe Louis sul grande schermo, di giudicare un mondiale dei massimi con Muhammad Ali sul ring.
Il popolo della boxe negli States gli ha voluto bene. E ancora gliene vuole.