Ricordo di Vincenzo Belfiore, custode della memoria per amore…

Ha ragione Emanuele Della Rosa.
La boxe è una droga, per smettere devi andare in comunità”.
L’ha detto alle telecamere del regista Roberto Palma nel bel film BOXE CAPITALE.
Vincenzo Belfiore non ha mai pensato di disintossicarsi, a lui il pugilato faceva un gran bene. Lo ha frequentato, ne ha scritto, ha messo su un vero e proprio museo. Oggetti, riviste, quotidiani, articoli, foto, libri rari. Per amore, era diventato il custode della memoria di uno sport che aveva sempre alimentato la sua passione.
Stamattina la figlia Veronica mi ha chiesto di scrivere un ricordo che ho di lui. Sono stato triste e contento allo stesso tempo. Faccio fatica a immergermi in un mondo che non c’è più. Assieme ad alcuni colleghi di un tempo, se ne è andata via anche la gioia di parlare di quei match, dei bordo ring pieni di amici, di palasport pieni di gente, di ko esemplari, titoli veri, regole e soprusi. Della boxe di ieri, insomma. Mi sono improvvisamente sentito più vecchio di quello che sono. Veronica non ha colpa alcuna, il pugilato mi piace oggi come allora. Sono gli uomini che lo frequentano a non piacermi più. Ma non mi lamento, gli anni passano come natura vuole.

“Anche tu sei invecchiato”.
“Dicono che sia l’unico modo per non morire giovani”.
(Peter Bohlke e Michel Bouquet nel fim “Toto le héros-Un eroe di fine millenio”)


Franco Dominici, Teo Betti, Roberto Fazi hanno riempito, con le loro storie, giornali e riviste. Il solo nominarli mi rende felice, fanno parte di un glorioso passato. Per lo sport e per il giornalismo. Hanno scritto del pugilato mondiale, senza mai dimenticare quello da cui erano partiti. Il pugilato romano, quello laziale. Vincenzo Belfiore in quel pugilato era nato, cresciuto e diventato grande. Sette libri sulla sua regione, sui frequentatori piccoli e grandi dei ring del Lazio. L’ultimo è stato “La boxe nella storia e sui banchi di scuola”, uscito sei mesi prima che lui se ne andasse per sempre.
Scrivo i loro nomi e penso che sarebbero stati i frequentatori ideali di quella palestra che ho raccontato nel libro I GORDINI.

Un ring, quattro sacchi, un pavimento triste; odore di sudore, olio per massaggi; manifesti di riunioni famose, finestroni che affacciano su vecchi cortili, un orologio a scandire il tempo della fatica. Ne ho visitati almeno cento di posti così, ma nessuno mi ha lasciato un segno profondo come la palestra dei passi perduti. Un locale vuoto, avvolto nella penombra. Nessun rumore, nessun odore. Riposano sacchi e palle veloci. Le corde sono stese sul pavimento come vecchi serpenti addormentati. Un ring enorme, nudo e triste, in attesa di essere calpestato.
Non ci sono pugili ad allenarsi, non ci sono maestri che urlano consigli, neppure un tifoso a gridare improbabili suggerimenti. È un luogo popolato da uomini senza volto che raccontano vecchie storie, solo la fantasia può aiutarmi ad ascoltare le loro voci.
Un signore se ne sta seduto su una panca di legno. Guarda avanti, cerca il tempo perduto.
Ho viaggiato per trent’anni della mia vita, portando sempre con me il ricordo di quel giorno. Fino a quando, molto tempo dopo, ho vissuto le stesse emozioni. E ho capito che non potevo fermarmi, ma dovevo continuare a scavare. In fondo, sempre più in fondo, fino a trovare la regina di tutte le emozioni. Quella che ti fa capire quanto la boxe possa essere madre e matrigna, fuoco e acqua, coraggio e paura. E se hai la fortuna di incrociarla nel giorno in cui il tuo corpo, assieme alla mente, è puro al punto da catturare ogni emozione, allora potrai goderne appieno la bellezza. Riuscirai a esaltarti per il suo fascino, a non maledirne le brutture.
È stato il giorno in cui ho visto la magia di un ring di periferia che ho capito di essere tornato a casa, lì dove tutto nasce”.

Parlando di Vincenzo Belfiore vedo un passato di sogni realizzati, sento le voci di mille racconti, riascolto le storie di piccoli o grandi campioni senza paura. Dicono, Quelli come te sono malati di nostalgia. Io penso di essere solo uno che nella sua vita ha avuto la fortuna di conoscere uomini e pugili che hanno scritto pagine memorabili per la boxe di casa nostra. Molti di quei personaggi Vincenzo li ha raccontati.
Dieci anni fa, sono entrato nel suo regno, la casa di Frosinone. Stavo preparando, assieme a Riccardo Romani, un libro su Monzon. Cercavo articoli d’epoca, frasi, racconti, commenti. Lui ha aperto per me il tempio della memoria e i ricordi sono corsi incontro.
A fine visita, mi aveva prestato una collezione di BOXE RING, qualcosa a cui teneva in modo speciale. Era stato un gesto di grande amicizia. Un storico raramente consegna ad altri uno dei suoi cimeli. Lui si era fidato. Mi aveva salutato, solo dopo avermi riempito di mille raccomandazioni. Non avevo tradito la sua fiducia. Il materiale era stato restituito integro, come mi era stato consegnato.

E adesso, per raccontare Vincenzo, mi faccio aiutare dal giornalista e scrittore Gualtiero Becchetti. Ne parla nel nuovo libro che uscirà l’11 febbraio (LA GRANDE BOXE DEI PICCOLI MATCH, Absolutely Free editore). Il racconto è all’interno della storia dedicata all’incontro tra Sven Paris e Adonisio Francisco Reges, disputatosi al Palasport di Frosinone il 20 aprile 2012.

“Era presente alla cerimonia l’amico Vincenzo Belfiore, già vicecomandante della Polizia Municipale. Un’enciclopedia della boxe in possesso di una delle più vaste biblioteche pugilistiche private che si conoscano, nonché giornalista e autore di diversi libri sull’argomento. Appassionato? No, sarebbe riduttivo! Pugilato e Vincenzo Belfiore erano quasi tutt’uno.
Qualche anno prima, al passaggio tra i professionisti dopo una brillante carriera dilettantistica, Sven Paris aveva adottato il soprannome di “White Warrior”, molti gli pronosticavano un prestigioso futuro. Tra i suoi più saldi estimatori proprio Belfiore, che l’aveva seguito sin dai primissimi passi sul ring e gli era affezionato quasi fosse un suo congiunto. Mentre rientravamo in hotel riparandoci dalla pioggia strisciando contro i muri delle case, Vincenzo mi diceva: «Paris era, secondo me, il miglior talento del pugilato italiano. Si è preparato bene. Speriamo che si sia dimenticato del tutto di Bienias…».
Tale esternazione di un intenditore quale era Belfiore e la pur vaga ombra di dubbio che la caratterizzava, confesso che mi avevano stupito.
Sven aveva cominciato attaccando, ma era macchinoso, lentissimo, quasi malfermo sulle gambe e ogni volta che Reges portava il jab sinistro lo prendeva in pieno. Nei tre minuti successivi i timori diventavano purtroppo cruda realtà. Il brasiliano faceva ciò che voleva, neanche fosse un novello Ray Sugar Leonard, il pugile di Frosinone andava in difficoltà ogni volta che veniva toccato. Dall’altra parte del ring, in prima fila, potevo vedere, tesissimo e con l’espressione sofferente, Vincenzo Belfiore seduto di traverso sulla poltroncina sobbalzare ai colpi di Reges quasi fosse lui a riceverli… Era la prova che purtroppo ciò che io vedevo, lo vedevano tutti. Alla fine del round, quando l’arbitro José Martinez Antunez mi allungava i cartellini dei giudici attraverso le corde, per la prima e unica volta nella mia attività di supervisor, sussurravo: «Stai molto attento…», ricevendo risposta d’assenso con un cenno del capo”.

Vincenzo Belfiore ci ha lasciati il 15 luglio 2019, aveva settantuno anni. Ha gestito con dedizione assoluta la sua grande passione, le ha offerto tempo ed energie. Ne ha scritto da competente. Ne ha custodito la memoria come solo chi ama sa farlo. Il pugilato gliene sarà per sempre grato.

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