È il 25 maggio 1965, l’orologio segna le 10:40 della sera.
Sul ring della St Dominic’s Arena di Lewiston, nel Maine, due uomini si battono per il mondiale dei massimi.
Accanto al quadrato c’è Neil Leifer.
Presto scatterà una delle fotografie più famose nella storia dello sport.
Oggi vi racconto la storia di quella foto.
Quaranta condensatori, ognuno del peso di trentacinque chili. Normalmente illuminano la Roosevelt Raceway di Long Island. Ci sono volute pazienza e tenacia per convincere i proprietari a prestare l’intera attrezzatura agli uomini della rivista specializzata Sports Illustrated.
C’è poca gente attorno al ring, ma sulla piccola cittadina del Maine sono puntati gli occhi del mondo. Lewiston non sa neppure cosa sia la boxe e si ritrova a ospitare il campionato mondiale dei pesi massimi tra Muhammad Ali e Sonny Liston.
La gente affluisce lentamente nella St Dominic’s Arena. Il match avrebbe dovuto svolgersi al Boston Garden, ma le autorità del Massachusetts hanno negato l’autorizzazione all’incontro. Pensano che dietro gli organizzatori ci sia la mafia. Pochi mesi prima è stato assassinato Malcolm X e subito dopo è stata incendiata la casa di Ali.
In molti temono che qualcuno possa uccidere il campione, l’ipotesi di un attentato si è fatta sempre più reale. Meglio dunque un posto piccolo, dove sarà possibile controllare tutti.
Il match si svolgerà nella cittadina sul fiume Androscoggin, 130 miglia a nord est di Boston, in una località senza alcun legame con il pugilato.
Neil Leifer, giovane fotografo di Sports Illustrated, ha scelto il suo lato del ring. Su quello opposto si è piazzato Herbie Scharfman, un collega della stessa rivista, uno che ha scattato delle splendide immagini del grande Rocky Marciano. La loro, come quella di ogni bravo fotografo, è una vera e propria sfida a chi riuscirà a rubare lo scatto migliore.
Usano Rolleiflex con flash stroboscopico. Hanno un unico scatto, poi sono costretti ad avvolgere la pellicola e aspettare dai tre ai cinque secondi affinché il flash si ricarichi. Ogni volta che lo fanno, rischiano di perdere il momento magico.
In sala ci sono più poliziotti che spettatori. Ogni persona che entra, viene perquisita. È il 25 maggio del 1965, Cassius Clay ha abbracciato la religione dei Musulmani Neri e cambiato il suo nome.
Prima in Cassius X, per poi diventare per tutti Muhammad Ali.
L’America non ha ancora deciso se amare l’ex galeotto o quello sbruffone che si prende gioco dei rivali, fino a plagiarli.
Al terzo destro scagliato da Ali, Liston stramazza al tappeto subito dopo avere abbozzato un jab sinistro. Un lampo e l’Orso è lì, disteso, quasi immobile. Il campione gli sta sopra e lo sfida urlandogli contro.
«Alzati, brutto Orso! E fallo in fretta, siamo in televisione!».
È andato giù dopo 1:44, si rialza quando il cronometro segna 1:56, soltanto a 2:18 del primo round l’arbitro decreta il ko.
Un pugno fantasma ha chiuso la sfida e aperto un affascinante capitolo nella storia della boxe.
L’arbitro è Jersey Joe Walcott, vecchio campione del mondo dei pesi massimi. Liston è al tappeto. È scivolato giù lentamente, come un vecchio edificio che si sgretola dopo essere stato colpito dalla palla di acciaio. È lì a terra, steso come se fosse stato appena folgorato. Walcott comincia a contare, perde tempo nel mandare Ali all’angolo neutro, si innervosisce, si lascia sfuggire il controllo del match, torna al centro del ring quando i due hanno già ricominciato a boxare.
Da bordoring gli urlano di fermarsi, gli gridano che il match è finito.
C’è Nat Fleischer in prima fila, è l’editore e il direttore di The Ring: la rivista che viene considerata la bibbia del pugilato.
Fleischer: È finita Joe, ferma l’incontro
Walcott: Perché?
Fleischer: Liston è rimasto giù 14 secondi
Urla anche il cronometrista.
Walcott: Quanto è rimasto a terra Liston?
Cronometrista: Oltre 12 secondi
Jersey Joe Walcott ripercorre lentamente camminando all’indietro lo spazio che lo separa dai pugili, ferma la loro azione e alza il braccio di Ali. Il ragazzo di Louisville si conferma campione. Vince per ko con un pugno che nessuno ha visto.
Solo molti anni dopo, guardando quelle immagini con l’ausilio di una moviola che definisce ogni minimo gesto, si potrà avere un’idea più precisa di cosa sia realmente accaduto. Un destro corto, privo comunque della potenza necessaria per determinare un ko, centra Liston alla mascella e genera un crollo al tappeto che va largamente al di là del danno che si pensa possa avere provocare.
La gente strilla.
“Buffoni! Imbroglioni!”
Sono tutti in piedi e gridano.
“Truffatori!”
Adesso cercano di sfuggire alla rabbia della folla. Un deputato chiede al Congresso di abolire la boxe. I giornali parlano di una gigantesca truffa sulle scommesse, della mafia che ha manipolato il risultato, dei Mussulmani Neri che hanno bisogno di un campione del mondo per propagandare la loro dottrina.
Liston perde il titolo, ma continua attraverso la Inter-Continental Promotions a prendere la percentuale sulle borse del nuovo campione.
È steso al tappeto. Ha le mani sopra la testa, la gamba destra leggermente flessa. L’immagine perfetta della resa. Le luci sono a posto, i condensatori stanno facendo il loro lavoro. Non c’è tanta pubblicità a inquinare la scena. La gente fuma e questo crea un effetto foschia. Non si può chiedere di più.
Scatta Neil Leifer, scatta Herbie Scharfman.
Una grande foto ha bisogno di una grande fortuna. Tutto il mondo ricorderà lo scatto di Leifer, l’immagine di Ali con il braccio destro piegato, fino a raggiungere con il pugno la spalla sinistra, e il viso trasformato da un misto di rabbia e orgoglio. Sotto di lui, Liston è la rappresentazione di un uomo che non ha più nulla da chiedere. Nello scatto c’è anche un signore pelato e con gli occhiali. È proprio accanto alla gamba destra di Ali, intento a ricaricare la macchinetta fotografica. Quel signore è Herbie Scharfman. Ha scelto il lato sbagliato.
Non se lo perdonerà per il resto della vita.
Nessuno nella piccola arena di Lewiston ha visto andare a segno il pugno che ha mandato giù Sonny Liston. È stato un lampo d’immaginazione che solo l’ironia di Ali può raccontare.
«I miei colpi sono talmente veloci che devi tenere sempre gli occhi aperti. Un battito di ciglia e hai perso quello del kappaò….»
Dicono ci sia stata una truffa gigantesca sulle scommesse, che la mafia abbia pilotato il risultato, che i Musulmani Neri abbiano bisogno di Ali campione del mondo per propagandare la loro religione. Ne dicono tante. L’unica cosa certa è che Liston ha perso anche la rivincita mondiale, ma è entrato in una società che gestirà i guadagni pugilistici del nuovo campione.
Neil Leifer è felice. Sa di avere in macchina lo scatto buono. Ha usato il grandangolare a 180° al momento del knock out e ha fermato per sempre un’immagine storica.
Una foto che vale più di mille parole, e che è stata messa all’asta con base di partenza 600.000 dollari.
Ali è immortalato nel pieno della potenza. Forte, strafottente, clownesco, sicuro. Una bellezza plastica in grado di ipnotizzare le folle.
E Leister ha tutto dentro la sua Rolleiflex.
Ma Sports Illustrated non giudica quello scatto degno della copertina, lì finisce una foto di George Silk. Solo molti anni dopo, capito l’errore, quella foto finirà sulla prima pagina della rivista, nella galleria dei più grandi scatti di sempre.
Anche i migliori possono sbagliare…