Il pugilato riscopre in questi giorni la sua popolarità all’interno della classe politica.
Fuori dall’Italia, ovviamente.
Non solo campioni come Vitali Klitscko (foto sotto) sindaco di Kiev o Manny Pacquiao senatore nelle Filippine. O anche il presidente statunitense Donald Trump, che in passato ha organizzato grandi eventi di boxe negli Stati Uniti compresi alcuni mondiali di Mike Tyson.
Io parlo di eventi recenti, recentissimi.
Ama la boxe Emmanuel Macron, il 7 di questo mese eletto presidente della Francia. Ha ereditato la passione dal suo mentore, Henry Hermand, scomparso nel novembre scorso), che finanziava addirittura una palestra di Parigi: Il tempio della Noble Art.
Ama la boxe Edouard Philippe (foto in alto, a sinistra, assieme al presidene Macron), il primo ministro nominato oggi dallo stesso Macron. Per oltre due anni e mezzo si è allenato tre volte a settimana e il suo maestro giura che “Edouard ha buona tecnica e grande resistenza”. Ha scoperto il pugilato leggendo Jack London, guardando Toro scatenato al cinema.
Ma la leadership in questo connubio tra pugilato e politica appartiene al Canada.
Justin Trudeau (sopra) ha un cognome importante. Non tutti possono vantare un papà che è stato Primo Ministro, un papà a cui è stato intitolato un aeroporto intecontinentale: quello di Montreal.
Trudeu, 45 anni, è anche uno che è riuscito a sconvolgere più volte il pronostico. Ha vinto le elezioni canadesi alla guida del Partito Liberale, con un margine di voti talmente ampio da garantirsi la maggioranza assoluta in Parlamento.
JT è stato un pugile. Per carità, poca cosa. Ma in palestra si è allenato e si allena davvero, ha fatto un paio di match da dilettante e soprattutto si è esibito in diretta tv sulla distanza delle tre riprese contro il senatore Patrick Brazeau del Partito dei Conservatori.
Era il 31 marzo del 2012, la sfida era a sfondo benefico e serviva per raccogliere fondi a favore della ricerca per combattere il cancro. Ma non è stato certo un incontro incruento. Brazeau era favorito 3/1. Aveva un passato sportivo importante. Cintura nera di karate e anni di allenamento alle spalle. Il fisico più massiccio era lì a testimoniarlo. Nonostante fosse più basso di sette centimetri, pesava un chilo e mezzo in più (83 contro 81,5: match a cavallo tra mediomassimi e massimi leggeri).
Se le sono date sul serio, anche se lo stile era un po’ arruffone e poco tecnico. Primo round per Brazeau (calzoncini e maglietta blu), poi è venuto fuori Trudeau che ha fatto contare più volte il rivale, gli ha fatto sanguinare il naso e ha vinto per kot costringendo l’arbitro a fermare l’incontro prima che finisse la terza e ultima ripresa.
In platea ad applaudire c’erano anche la mamma del vincitore Margaret e la moglie Sophie.
Fino a quel momento Justin Trudeau era descritto dai giornalisti come un giovane gracile, poco aggressivo, impreparato alla durezza della lotta politica, non pronto per la scalata alla poltrona di Primo Ministro. Da quel momento in poi l’immagine del giovanotto è completamente cambiata. Un match di boxe gli ha regalato credibilità, sicurezza, leadership.
L’altro invece è rotolato all’indietro e nel tempo ha collezionato una disgrazia dietro l’altra. Prima estromesso dal Comitato Centrale del partito, poi sospeso dal Senato, quindi accusato di violenza domestica e successivamente di violenza sessuale.
Il pugilato ha premiato un politico di successo ed è stato in grado di assicurargli un’immagine positiva.
Sapete come era soprannominato dagli amici Justin Trudeau quando tirava di boxe?
Pretty Boy.
Che ne dici Floyd?
Una ragione ci sarà se è diventato primo ministro…
Se poi vogliamo rimanere sul classico, chiudo con Nelson Mandela.
E’ stato per ventisette anni prigioniero, pena ridotta rispetto alla condanna all’ergastolo per atti di sabotaggio.
In carcere il pugilato lo ha aiutato ad andare avanti. L’ha amato fin da ragazzo, quando andava ad allenarsi in una piccola palestra di Soweto. Ha boxato da dilettante, un peso medio che preferiva la tecnica alla bagarre. Uno che aveva colto l’essenza di questa disciplina.
“Amo la scienza del pugilato: la strategia di attaccare e indietreggiare allo stesso tempo. La boxe significa uguaglianza. Sul ring il colore, l’età e la ricchezza non contano nulla. Ma più che il combattimento, a me piace l’allenamento regolare e costante, l’esercizio fisico che la mattina dopo ti fa sentire fresco e rinvigorito.”
Si preparava dal lunedì al giovedì, aveva continuato a farlo anche in prigione. Diceva che l’aiutava a stemperare il dolore della libertà negata.
“La boxe è un modo per perdermi in qualcosa di diverso dalla lotta politica” aveva scritto nell’ultimo libro “Conversazioni con me stesso”.
E’ stata una passiona che è andata avanti per tutta la vita. Uscito dal carcere, ha continuato a coltivarla come l’età gli permetteva.
Ha incontrato campioni famosi. E’ stato affascinato da Muhammad Ali, al punto da conservare nel suo ufficio da primo presidente nero del Sudafrica i guantoni avuti in regalo dal “più grande”.
Ha parlato a lungo e in privato con Sugar Ray Leonard che gli ha donato una delle sue cinture mondiali. Anche questa è andata ad aggiungersi ai cimeli a cui teneva di più. I fuoriclasse facevano la fila per una foto al suo fianco. Le potete vedere in giro su Internet. C’è quella con Leonnox Lewis o Marvin Hagler tra le più famose. Ci sono gli incontri, commoventi, con Joe Frazier e tanti altri campioni.
“Un vincitore è semplicemente un sognatore che non si è mai arreso” amava ripetere, è il motto che ho scelto come guida per questo blog.
E’ quello che sintetizza meglio la vita di un Premio Nobel per la Pace, di un uomo che non si è davvero mai arreso.