Perri era nato per raccontare. Aveva cultura, talento, ironia


Roberto aveva una scrittura tonda, avvolgente. Ti accompagnava nella lettura. Ma sapeva anche essere sferzante, senza concessioni alla retorica. La compagna di viaggio preferita di Perrone scrittore era l’ironia. Con quella smascherava i peccati dei piccoli uomini che si credevano giganti.
Roberto Perrone era un timido avvolto in una corazza da duro. Quando sentiva o vedeva cose che non andavano come avrebbe voluto, tirava fuori gli aculei e veniva giù a valle come una valanga inarrestabile.
Perri, così lo chiamavano gli amici, è morto ieri. Aveva 65 anni.
Era un uomo colto, dalle mille letture. Il giornalismo era passione, i romanzi un atto dovuto a una vocazione sofferta. Una volta ha bussato alla porta della stanza di albergo di un amico, suo compagno di trasferta. Gli ha detto: “Da oggi non sono più il campione del mondo dei progetti incompiuti”. Gli ha mostrato una risma di carta, una piccola montagna di fogli A4. Era il manoscritto di Zamora, il romanzo d’esordio da cui, in questi giorni, Neri Marcorè ha preso spunto per realizzare un film. Cominciava un’altra vita.
Ne ha vissute tante Roberto.
L’Avvenire, Il Giornale, il Corriere della Sera e in chiusura il Corriere dello Sport-Stadio. Nove Olimpiadi, sette Coppe del Mondo. Ha narrato storie di calcio, tennis, nuoto. Ha scritto per grandi, per bambini, per uomini golosi. Quando aveva bisogno di calore umano si rifugiava felice nella pallanuoto, un amore che lo faceva sentire più vicino alla Liguria. La terra amata, lasciata per inseguire il sogno.
Aveva talento, cultura, passione, voglia di raccontare. Non lo faceva seduto davanti a una scrivania. Scarpinava, come si faceva una volta. Parlava con i protagonisti, si informava, metteva in fila gli indizi e poi partiva a testa bassa sul computer.
Pretendeva molto da sé stesso, pensava fosse giusto pretenderlo anche dagli altri. Se ti scontravi con lui rischiavi di farti male, non certo fisicamente. Ma da un confronto a parole, ne uscivi di sicuro con le ossa rotte.
Con gli amici aveva un rapporto speciale. Sapevi di potere contare su Perri in ogni avventura. Era complicato averlo accanto nelle trasferte, perché eri consapevole del fatto che avresti perso, sempre. Era più bravo. E il migliore non perde mai.
Ha scritto anche di gastronomia, con amore autentico.
Forse, dopo la famiglia, la moglie Emanuela ed i figli, è la cosa che ha amato di più al mondo. Ne parlava con passione, quasi riconoscenza per i piaceri che era riuscita a dargli. I racconti di ristoranti, chef, prelibatezze, gusti e cultura sul Giornale (accumunati dal logo di battaglia: Scorribanda), erano imperdibili.
Per gli amici veri è stato un dispensatore di allegria. Prendeva in giro il mondo intero, la battuta pronta. Arguta, pungente, sempre a segno.
Ha scritto sette romanzi, poi ha inventato il colonnello dei carabinieri Annibale Canessa e successivamente il vice questore Attilio Toscano. Se eri suo amico non ti chiedeva solo se li avessi letti quei libri, ti domandava una recensione. Possibilmente severa. E allora si apriva la discussione. Che aveva, come ho già detto, un unico risultato.
Ha girato il mondo assorbendo il meglio da paesaggi, musei, templi, tradizioni, usanze, cibo. Ha guidato l’auto in ogni parte del globo. Aveva un senso dell’orientamento spaventoso. Non si è perso neppure in Oriente, è riuscito a ritrovare posti visti una sola volta affidandosi a un GPS, rigorosamente con ideogrammi come indicazioni e voce guida in lingua locale.
Era capace di dare la stessa dignità di racconto a una finale olimpica e al pranzo in una cadente trattoria ai piedi della Grande Muraglia. Non buttava mai via un articolo, ogni volta che scriveva era come se da quelle parole dipendesse la sua vita.
Era competitivo, ma si attrezzava per la guerra. Studiava, cercava risposte alla sua curiosità, inseguiva notizie e segreti. Era uno nato per narrare.
Prima di entrare per l’ultimo ricovero mi ha chiamato.
È stata una telefonata triste. Non l’avevo mai sentito così. Siamo stati compagni di viaggio per quasi vent’anni, più altri dieci dopo la pensione. Ero abituato a Perri incazzato, sorridente, capace di mettere ko un nemico con una battuta, l’amico con cui passare intere notti a chiacchierare delle nostre vite. Stavolta aveva davvero paura.
Abbiamo parlato di nuovo qualche giorno dopo. Era ancora in ospedale. Ancora più triste, ancora più spaventato. Ha chiuso velocemente la telefonata.
“Ti richiamo io quando torno a casa”.
Non l’ho più sentito.
Ciao Roberto.

Il pensiero, scorrettissimo, gli testimoniò che stava iniziando a risalire la china.
Toscano puntò la Harley verso il mare e diede gas
(così si chiude Un odore di Toscano, l’ultimo libro di Roberto Perrone, maggio 2022)

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