L’insegnamento di Padre Guido, il PRETE tra la gente: “Dobbiamo incontrarci in libertà”…

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Prima la pandemia, poi la guerra. E tante parole a coprire il vuoto che ci circonda. Avremmo bisogno di un interlocutore più attento, uno che ci aiuti ad analizzare meglio queste tragedie. Un uomo saldamente ancorato a questo mondo, ma con il cuore proiettato sull’universo. Il 22 aprile saranno otto anni che Padre Guido è scomparso. Ci manca. È l’unico sacerdote con cui io abbia mai scambiato pensieri. Oggi, nel giorno in cui era nato tanto tempo fa, mi piace ricordarlo con un vecchio scritto. E quello che mi riesce meglio, con le parole ci lavoro. E queste sono quelle con cui l’ho raccontato quando se ne è andato via per sempre.

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Roma, 22 aprile 2014

Padre Guido se ne è andato nel sonno. Senza soffrire più di quanto avesse già sofferto. In fondo è giusto così. Alla Garbatella, un quartiere popolare che per i miei gusti sta diventando troppo di moda, lo conoscevamo così. Era IL PRETE, lo scrivo in maiuscolo perché in quella qualifica c’era il rispetto di tutti.
Era arrivato a Roma nel 1956, aveva solo 29 anni. Era nato l’8 marzo del 1927. Veniva da Milano, da una famiglia benestante. Arrivava in una città che cercava di alzare la testa dopo le tragedie che ogni guerra si lascia dietro.
Nel 1954 la Rai aveva cominciato a trasmettere in bianco e nero. Un solo canale, un’audience pazzesca. Era un modo per unire il Paese, per conoscerci meglio. Purtroppo il tempo ci ha svelato la nostra inadeguatezza alla vita, non abbiamo capito cosa il progresso ci aveva messo a disposizione. Gli abbonati al telefono sfioravano i due milioni, il doppio rispetto al 1950, il quadruplo rispetto al periodo del conflitto bellico. Pio XII era il capo della Chiesa, tempo due anni e sarebbe arrivato Giovanni XXIII.
Padre Guido. Pochi conoscevano il suo cognome, Chiaravalli. Tutti conoscevamo lui. Una presenza importante in un rione che faticava a trovare la sua dimensione. Era zona di confine la Garbatella. Una strada, la Cristoforo Colombo, a separarla da Tormarancia. Le sassaiole, all’epoca i malandrini delle due fazioni si affrontavano così, erano all’ordine del giorno. E quel clima di mini violenza rischiava di trasferirsi alla Chiesoletta, il regno sotto la giurisdizione del PRETE.
Uomo di cultura, generoso. Uomo d’azione e di parole. Aveva preso di petto la situazione ed era entrato nel cuore del problema. Un prete tra la gente, uno di quelli che pensi possano esistere soltanto nei libri o nei film di una volta. Un prete di frontiera in una periferia difficile.
Era un conservatore convinto, ma anche uno che sapeva essere moderno nei fatti. Era stato lui ad aprire la scuola Cesare Baronio e l’Oratorio, la Chiesoletta appunto, alle donne. Detta così fa scappare un sorriso. Ma bisogna fare un salto indietro, tornare a quell’inizio anni Sessanta quando non era poi tanto semplice imporre una presenza mista.
Aveva le sue regole e pretendeva che tutti le rispettassero. Per chi sgarrava la punizione era a salire, nel rispetto della colpa riconosciuta.
Raccogli cento pezzi di carta.”
E ti era andata bene.
Togli cento i sassi dal campo di calcio.”
Ancora bene.
Vai fuori dall’Oratorio e non tornare per dieci giorni.”
Dovevi averla combinata proprio grossa.
Ricordo con affetto e nostalgia le mille partite giocate su un campetto fatto di sassi e polvere, un terreno in discesa. Il sorteggio a inizio partita serviva per scegliere la porta di sopra o quella di sotto. E dovevi stare attento a dove calciavi il pallone.
Se tiravi troppo alto nella porta di sotto e il pallone finiva nell’arena del cinema Columbus la tua squadra pagava con una punizione a due. Il tiro diventava diretto se la palla finiva in piazza Sant’Eurosia dove era più difficile recuperarla. Era rigore senza moviola, né discussioni se lo sventurato di turno calciava sopra i tetti dell’Oratorio e la sfera finiva ai Giardinetti. Se poi avevi la sfortuna di mandare la palla nella trattoria all’aperto sul lato grande del campo, al di là del muro, la partita era persa. L’oste non restituiva mai il pallone e di soldi per ricomprarlo non ce n’erano.
Uno di noi pretendeva spesso di tirare i calci di rigore. Ma aveva, diciamo, poca sensibilità nei piedi. Colpiva e il pallone si impennava voltando in alto, alto, sempre più in alto. Si era guadagnato sul campo il soprannome di Gagarino, in onore di Jurij Gagarin: il primo uomo a volare nello spazio il 12 aprile del 1961.

L’altra sera durante una partita, il piccolo Filippini di nove anni è stato colpito da una pallonata in pieno naso e ha perso conoscenza. Mentre gli presto le cure del caso, dopo un po’ riapre gli occhi, mi guarda assorto e poi serio serio mi fa una domanda.
-Sono morto, Padre Guido?
“Senti… vai in Chiesa e guarda a che punto stanno.”
-A Padre Guì mo stanno all’orabrenobis…

(dal Diario dell’Oratorio, Padre Guido)

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Microbi, Atomi. Erano i piccolini che si cimentavano negli infiniti tornei di calcio mentre i loro compagni erano impegnati in interminabili sfide a biliardino. Altri preferivano il gioco dei calcinculo, una giostra in cui volando alto e in precario equilibrio su dei seggiolini di metallo cercavi di raggiungere il ragazzino che ti stava davanti. Un ottimo metodo per procurare infortuni a catena, soprattutto perché in Chiesoletta il calcinculo era a distanza ravvicinata da due muri. Non c’era giorno che Padre Guido non facesse il suo ingresso al CTO assieme a un bambino piangente e dolorante.
Ariecco er PRETE! Chi s’è rotto stavorta?”
Era il saluto riservato al sacerdote quando entrava al Traumatologico della Garbatella.
Partite di calcio in cui lui tifava sempre per i più deboli.
Al pareeggioooo!” urlava da sotto il colonnato dell’Oratorio. Non gli importava molto se la squadra a cui rivolgeva l’incitamento fosse sei o sette gol sotto.
E a partita finita tutti alla fontanella a bere. Lunghe file di assetati. Ci sarebbe stata la rivoluzione se non fosse intervenuto lui.
Uno, due, tre, quattro cinque, sei. Hai finito, lascia il posto a un tuo compagno.”
Era arrivato nella Chiesa di San Filippo Neri da Milano. Ed era subito diventato uno di noi. Uno che voleva farci conoscere il mondo. Ai miei tempi un viaggio avventuroso era quello che d’estate ci portava ogni giorno a Torvaianica. Spiaggia libera, corse, ancora pallone, nuoto solo quando arrivava il permesso, merenda e di nuovo tutti dentro il pullman mentre Padre Guido faceva l’appello per accertarsi che nessuno si fosse dimenticato di tornare a casa.

Sto progettando le gite, ne sento la necessità. Sono momenti di vita vera, ma la fatica di organizzarle è grande, come grande è l’assenza di collaborazione. Si criticano tanto i sacerdoti, ma senza di loro crollerebbe tutto. Si possono lasciare Pina e Maria Teresa sole a se stesse? Lioi, Colletti e Palmieri in balia dell’ambiente? Si può ridurre il contatto religioso alla Santa Messa?
(dal Diario dell’Oratorio, Padre Guido)

Mia figlia Alessia è stata più fortunata. Per lei si è aperta l’Europa. Monaco di Baviera, la Norvegia, Capo Nord. L’accompagnavo alla Stazione Termini di notte. Zaino enorme in spalla e pochi soldi in tasca. IL PRETE non ammetteva deroghe. Il lusso consisteva nel conoscere posti nuovi, non certo il luogo dove si dormiva o quello in cui si mangiava. Il cibo era scarso, le notti le trascorrevano sul pavimento di chiese ospitali. E di giorno camminavano sino all’esaurimento. Ma credo che nessuno di quei ragazzi abbia mai maledetto quei momenti. Ognuno di loro ne conserva il ricordo nel profondo del cuore.

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Insegnava al Baronio. Le lezioni le teneva all’aria aperta. Voleva che si studiassero le stelle di sera, che si guardassero gli insetti nelle calde giornate d’estate, i pianeti erano meno misteriosi se ammirati quaggiù, dalla Terra, piuttosto che studiati sulle fredde pagine dei libri. A contatto con quella natura che gli studenti dovevano imparare a conoscere. Ecco, questo era l’insegnamento del PRETE. Erano lezioni di scienze e di vita quelle che regalava.

“Sto mostrando le stelle con il cannocchiale ad alcuni allievi. Ettore Melluzzi, cinque anni, mi chiede che faccio. Gli indico Giove che risplende vicinissimo. Mi risponde: E che ce fà lassù?
(dal Diario dell’Oratorio, Padre Guido)

Padre Guido ha sempre cercato di comunicarci un concetto.
Dobbiamo incontrarci in libertà.”
Usava la parola come il mezzo più diretto per cercare di capire e poi risolvere i nostri problemi.
Sono sempre stato a contatto con la vita” ripeteva.
E oggi che ci ha lasciato nel sonno, quasi non volesse disturbare, ce lo ritroviamo ancora accanto. Se ne è andato a 87 anni, quasi sessanta dei quali passati nelle strade della Garbatella. Aveva un modo speciale di comunicare con la gente. Ti guardava fisso negli occhi attraverso le spesse lenti dei suoi occhiali con la montatura di plastica, li riattacava nei modi più strani fino a quando non stavano più insieme. Gesticolava con le mani, questo l’aveva imparato da noi romani, e strizzava i muscoli della faccia quasi volesse farsi più piccolo per entrare nella nostra testa.
 Era un uomo di cultura, ma non faceva pesare questo dono. La usava per entrare in contatto con chi non aveva avuto la fortuna di studiare.

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La tonaca lisa, consumata dal tempo, la indossava senza sentire mai il bisogno di trovarne una nuova. Negli ultimi anni una vecchia coperta arancione gli riscaldava le gambe mentre, spinto dal badante, girava sulla sedia a rotelle per i giardini davanti alla chiesa.
Chissà cosa avrebbe detto di quei vandali che l’altro giorno hanno distrutto, incendiandola, una piccola giostra dove i bambini del quartiere si divertivano ogni giorno.
Padre Guido era una strana sorta di conservatore. Amava il sociale. Voleva che tutto fosse fatto in nome e per il gruppo. Mi ricordo che tanti anni fa, assieme ad altri ex ragazzi dell’Oratorio, volevamo donare una somma destinata a ristrutturare i locali, a rimettere a posto il campo di calcio. Lui aveva ringraziato, ma aveva risposto che non era quella la strada da prendere.
Facciamolo con le nostre mani, non con i nostri soldi.”
Mi ricordo che molti anni fa, quando scrivevo ancora per il Corriere dello Sport, mi capitava spesso di incrociare Agostino Di Bartolomei, anche lui frequentatore da ragazzo del campo di calcio della Chiesoletta. La prima cosa che mi chiedeva era: “Come sta il PRETE?”. Era il filo che ci univa. Un lungo filo che ha unito migliaia di ragazzi della Garbatella che nella Chiesoletta avevano trovato negli anni della gioventù il loro centro del mondo.
Ora Padre Guido Chiaravalli, nel giorno della morte il nome va scritto per intero, non è più tra noi. Ma se faremo come ci ha insegnato e ogni sera alzeremo gli occhi verso il cielo, tra le stelle potrebbe capitarci di vederlo. Anche chi non crede, non può non riconoscergli il merito di averci lasciato in eredità un dono inestimabile. Il ricordo di una brava persona.
Come tutti i preti, in minuscolo, di questo mondo dovrebbero essere.

12 pensieri su “L’insegnamento di Padre Guido, il PRETE tra la gente: “Dobbiamo incontrarci in libertà”…

  1. Padre Guido, un padre vero per tutti noi, insegnamenti di vita, le stelle, l’isola d’Elba, i minerali….il gognometro fatto con le nostre mani che oggi, dopo 40 anni, conservo ancora nei bei ricordi….Grazie.
    Fabio CIVITELLI

  2. io ho avuto modo di vederlo un po’ di volte e devo dire che pur non essendo cresciuto all’oratorio ,perche’ di un altra zona (la montagnola ) , lo conoscevo di fama e quando l’ho incontrato varie volte i suoi occhi trasmettevano tutto cio’ che di buono si diceva su di lui. R.I.P. PADRE GUIDO

  3. Padre Guido è stato il mio professore di matematica in seconda e terza media alla scuola “Cesare Baronio”. Mi ricordo tutto di lui in quanto dopo la scuola il divertimento era quello di andare alla chiesoletta dove lui era sempre presente. Giocare a pallone nel campetto in discesa e pieno di sassi dove le partite duravano un pomeriggio intero e finivano 50 a 51. Chi per caso bestemmiava veniva richiamato con il suo storico “Ei villanzone”. Alla Garbatella mancherà la sua presenza ed io lo ricorderò sempre come un maestro che ci ha insegnato molto e ci ha salvato dalle insidie della strada.

  4. Prima che un prete, per me, una bellissima persona che mi ha insegnato tanto… Dal primo giorno in cui l’ho visto entrare in classe.

  5. Ti sei dimenticato i secchi d’acqua che erano tra “Ti è andata bene” e mica “Tanto bene”
    Scusa ma ho messo il tuo articolo anche su cara Garbatella.it dove spero si faccia un’edizione speciale

  6. Quanti ricordo….Fare lo “Sherpa” e i viaggi con il C.T.G. esperienze che porterò sempre con me. Grazie P. G.

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