
Jake Paul (5-0, 4 ko) a detta del suo clan è il futuro campione del mondo, già in grado dopo cinque match da professionista di boxare per il titolo. Non la pensa esattamente così boxrec.com, il più importante sito di statistiche riguardanti la boxe, che pone il pugile statunitense al numero 675 nella classifica dei 1050 massimi leggeri attualmente in attività. E già qui il giovanotto potrebbe avere fatto un salto sulla sedia.
Quando poi ha visto che 189 posti prima di lui (al numero 486) c’era Thomas Russell, penso abbia provato un giramento di testa. Ma come, lui a breve diventerà campione del mondo e quelli gli mettono quasi duecento posti sopra Thomas Russell?
Cosa ha che non va il 41enne pugile di Wellington, Nuova Zelanda?
Niente di particolare, se non il fatto di avere perso tutti i match disputati in carriera, diciotto per la precisione, finendo sei volte knock out.
Un verso scandalo, ma come si fa?
A scanso di equivoci, io sto con boxrec.
E spiego il perché, riproducendo un articolo che ho scritto il 23 dicembre scorso sul mio Blog e su boxeringweb.net con il titolo: La boxe continua a legittimare le commedie dello YouTuber…

Interpretando il ruolo del provocatore, il fratello del fenomeno ha recitato una frase imparata a memoria. Doveva averla pensata per scandalizzare, ha prodotto l’infinita tristezza che scatena l’esibizione di un clown a fine carriera.
“Gli anni Settanta hanno avuto Muhammad Ali, gli anni Ottanta hanno avuto Mike Tyson, oggi il pugilato ha Jake Paul”.
Dicono che il biondo abbia guadagnato sei milioni di borse per il suo lavoro da pugile. Dicono anche ne abbia guadagnati 20 per il suo lavoro come YouTuber.
Una cosa è certa, queste attività fanno il bene di Jake Paul e, soprattutto, del suo conto in banca.Ma ci sono molte persone che dicono che JP faccia bene al pugilato.
È il soggetto di articoli sui giornali, ci sono spettatori che pagano per vederlo in pay per view, altri che, stimolati dal tema, non finirebbero mai di parlarne. Ma alla boxe cosa porta?
Cinque match da professionista, cinque vittorie per ko.Contro uno YouTuber come lui, un ex giocatore di pallacanestro vicino ai 37 anni, un lottatore che a 37 anni era già fuori dal giro, e per due volte contro un ex lottatore dell’UFC a un passo dai quarant’anni. Questi gli uomini con cui è salito sul ring. Nessuno di loro aveva mai combattuto prima, nessuno di loro ha mai combattuto dopo. Jake Paul è stato l’unico contatto che hanno avuto con la boxe.
I tifosi hanno parlato di match combinati, Dana White presidente dell’UFC ha definito con un termine scatològico (“merda totale” le parole esatte) ogni dato relativo all’attività del soggetto.
Eppure il pugilato ufficiale ha legittimato i suoi incontri, il fenomeno ha addirittura combattuto in un programma in cui era previsto un titolo mondiale. Ogni match è stato autorizzato da una Commissione, ogni match giudicato da ufficiali regolarmente tesserati. Del resto la vergogna è qualcosa che la boxe ha perso molto tempo fa, anche il confine con il ridicolo è stato passato in epoche non recenti. Qui però si tratta di un cammino che porta verso l’ignoto. Il considerare questi eventi come sport e inserirli a tutti gli effetti in un contesto pugilistico fanno del male a uno sport che invece avrebbe bisogno di fare promozione, di ripulirsi la reputazione macchiata da quattro, cinque, dieci enti che si dividono quel che resta di un glorioso passato.
Nessuno pensava che il pugilato potesse rischiare di sparire dalle Olimpiadi.
Eppure è accaduto.
Nessuno pensava che la sua Federazione Mondiale dilettantistica potesse essere sospesa dal CIO.
Eppure è accaduto.
Nessuno pensa che la boxe possa diventare un evento per pochi protagonisti ricchissimi e un popolo di combattenti che dovranno invece accontentarsi della loro passione. Nessuno crede che la sua popolarità possa essere limitata a ristrette fasce geografiche.
Gli ospiti del Titanic mai avrebbero pensato che il transatlantico potesse andare a schiantarsi contro un iceberg. Così, hanno continuato a ballare.