
Arbitri e giudici rappresentano un grosso problema per i Giochi di Tokyo 2020.

L’AIBA ha bloccato da cinque anni, a livello internazionale, i trentasei ufficiali di gara che hanno lavorato a Rio 2016. Da un paio di settimane è in corso un’inchiesta dell’Ente, guidata dal canadese Richard McLaren, il professore di diritto che è a capo della McLaren Global Sport Solutions (MGSS). L’agenzia investigativa indagherà sulle denunce di irregolarità nel giudizio e nell’arbitraggio dell’Olimpiade brasiliana.
Un primo rapporto si dovrebbe avere entro la fine del prossimo mese.
Nel frattempo la boxe va avanti.
In Giappone sono arrivate le seconde linee.
Si è giunti alla designazione del gruppo di giudici/arbitri attraverso un sorteggio.

Ne sono venuti fuori due rappresentanti per Mongolia, Argentina, Marocco, Stati Uniti, Australia, Cuba, Kazakhistan, Algeria. E poi ufficiali di gara dal Perù, Sri Lanka, Tajikistan, Indonesia più altri altri sedici.
In totale sono trentasei. Non c’è un italiano.
Il sorteggio è stato gestito dalla Boxing Task Force del Comitato Olimpico Internazionale.
I designati non hanno avuto molte occasioni per esercitarsi in tornei internazionali e, paradossalmente, sembra sia stato proprio questo uno dei principali motivi per cui il CIO li ha inserita nella cosiddetta long list da cui sono poi stati estratti i trentasei nomi.
Non erano tra i trentasei di Rio 2016 per i quali, lo ricordo, non sono ancora stati pronunciati né giudizio, nè eventuali condanne. Non erano cioè tra quelli che rappresentavano il meglio del gruppo.
Vergini da ogni dubbio.
A Tokyo 2020 opera un gruppo di livello tecnico non elevato.
Lo dicono i numerosi 3-2, lo dicono i verdetti con sei punti di differenza tra i giudici per un match che dura tre round, lo dicono i modi con cui si muovono alcuni arbitri sul ring.
Credo, ad esempio, che l’ultimo colpo subito da Vassily Levit negli ottavi dei pesi massimi, martedì contro Emmanuel Reyes, un arbitro più esperto del colombiano Wulfren Olivares Perez (lo stesso che non ha contato la Hung finita al tappeto per un colpo della Sorrentino) avrebbe potuto evitarlo. Lo spagnolo ha portato un primo destro, il kazako ha chiaramente piegato le gambe. In una sfida tra dilettanti l’arbitro normalmente conta il pugile per il solo fatto che ha subito un colpo potente. Ma Perez era lontano dall’azione. E così Reyes ha potuto portare un secondo destro e poi cercare di chiudere con un terzo. Levit ha subito un knock down, si è rialzato traballante, ha subito una punizione che poteva essere limitata se solo Perez fosse interventuo dopo il primo colpo.


Che dire poi della signora Nelka Shiromala Thampu, dello Sri Lanka. Non si è accorta del tentativo del marocchino Youness Baalla di mordere lo zigomo di David Nyika, durante i sedicesimi del torneo dei pesi massimi. L’africano è stato squalificato solo a match concluso, con vittoria ai punti del neozelandese, dalla commissione della Boxing Task Force.

E ancora.
Pesi piuma. Ottavi di finale.
Staniia Nikolaeva Petrova contro Ymarias Casteneda.
Due giudici vedono la bulgara vincere tutte le riprese, altri due vedono la sua avversaria vincere tutte le riprese. Sei punti di differenza in tre round!
Decide il quinto giudice che assegna il verdetto alla Castaneda.
Questo e atro hanno fatto gli ufficiali di gara, in alcuni casi ne sono rimaste vittime le azzurre.
Dopo cinque giorni di competizione l’inadeguatezza del gruppo ha già dato i suoi segnali.
A Rio de Janeiro accadde il disastro, ma nessuno ha mai pensato di annullare i risultati di quella Olimpiade. I peccati dell’AIBA sono stati portati alla luce da un’inchiesta del CIO, che ha sospeso a tempo indeterminato l’Ente.
Ma è lo stesso CIO che giudica l’AIBA inadeguata a gestire il torneo olimpico di Tokyo 2020, ad avventurarsi su un curioso percorso. Ha sospeso l’AIBA, ma ha adottato i risultati di Mondiali e campionati continentali, gestiti dalla stessa associazione, per stilare le classifiche che hanno garantito il ripescaggio o addirittura la selezione di molti pugili che stanno combattendo in Giappone.
Mi sembra un’incongruenza. E pure grande.
E non è finita qui, ne sono convinto.
