Il cuoco Vidoz e il problema dell’assaggio… Boxe e ricordi

Conosco Paolo Vidoz da quasi un quarto di secolo. L’ho visto da dilettante battersi in due Olimpiadi, e da professionista in campionati italiani ed europei. L’ho visto conquistare il titolo italiano dei massimi a Udine contro Alessandro Guni il 19 aprile del 2002. Il giorno dopo ero al suo matrimonio, il giorno prima aveva discusso il futuro americano con Lou Di Bella e Giovanni Branchini. Imprevedibile, spiritoso, spesso affidabile, a volte da corrergli dietro sino al confine. Comunque generoso. Un ottimo pugile di grande tecnica, che adesso si è trasformato in apprezzato cuoco. La pandemia l’ha travolto, come ha fatto con tutti quelli che lavorano nel suo settore. Sono tempi brutti. Ma è anche il tempo di parlare con lui di cucina, del suo agriturismo vicino Gorizia e dei giorni in cui faceva il pugile…

Paolo Vidoz, come va?
Tutto chiuso.
In che senso?
Chiuso il ristorante, mi diverto con la campagna. Mi riposo, sono anni che non faccio ferie.
Chi ti ha insegnato a cucinare?
Ma chi te l’ha detto che so cucinare?
Chi ci pensa nel tuo agriturismo?
All’inizio ho avuto dei cuochi a giro, mi hanno insegnato molto. Ognuno di loro mi ha dato qualcosa. Adesso me la cavo…
Sei sempre dell’idea che un bravo cuoco deve essere grosso e che non ti fideresti di uno chef magro?
Certo. Io devo assaggiare quello che poi porto in tavola.
Giusto.
Il problema è che non assaggio uno o due cucchiaiate. Io sono un professionista, per capire bene come è venuto il piatto devo mangiare tutto quello che c’è dentro. Solo a quel punto saprò che sensazione proverà il cliente. E assaggia questo, assaggia quello…
Sei arrivato a…
Anche a 160 chili. Ma ora sono calato.
Quindi a 130 chili, come nel match contro Modugno, eri magro?
Certo.


Fai attività fisica?
Ho comprato una bici elettrica.
Con i soldi del governo?
Pensavo fosse così, ma i soldi ancora non li ho visti.
E la usi?
Sì, un po’ di lavoro lo faccio. E già mi sento meglio.
Ti stai preparando per il rientro sul ring?
Sì, ho deciso anche contro chi lo farò.
Chi sarà il fortunato?
Il primo cliente che fa il mona.


Se ti dico Matt Skelton che mi rispondi?
L’animaccia sua!
Non mi sembra bello.
Quella sera (19 dicembre 2008, Palalido di Milano, ndr) è finito tutto. Non avrei mai pensato che ci sarebbe stato un match in cui avrei abbandonato. Più volte in quel match ho pregato perché mi mettesse ko… Da quel giorno non sono stato più un pugile, ma un mestierante che faceva le cose per abitudine. Un calo improvviso, mi sono ritrovato senza forze. Non per i suoi colpi, o per la durezza dell’incontro. Forse per un approccio alimentare sbagliato. Ero vuoto, è stata una sconfitta bruciante, brutta, dolorosa.
E se dico Tim Hoffman?
In due nomi hai toccato il punto più basso e più alto della mia carriera. Con Hoffman (11 giugno 2005, Kempten, ndr) è stato il top. Non avevo nessun condizionamento psicologico, ero al massimo delle mie possibilità. Mi sentivo davvero bene. Non avevo neppure avuto molto tempo per allenarmi, ma ho vinto. In casa sua, per il titolo europeo.


La boxe ti piaceva? Ti piace?
Mi piace, c’è stato però un periodo in cui mi faceva schifo. Ero saturo, stanco di qualsiasi cosa. Adesso un po’, ma proprio un po’, mi manca.
Cosa farebbe il miglior Vidoz contro i pesi massimi di oggi?
Non lo so, sinceramente non lo so. Non credo che potrei competere con Anthony Joshua o Tyson Fury. Magari mi batterei per un titolo minore. No, non so proprio cosa risponderti.
E in un match Fury vs Joshua, chi vedi vincitore?
Credo che la spunterebbe Tyson Fury.


Ho visto su Facebook una tua foto con Luca Rigoldi. Siete amici?
È un grande. Mi piace. È serio, si allena nel modo giusto, è intelligente. Spero combatta presto. La cosa peggiore per un pugile sono le lunghe pause tra un match e l’altro. E questa situazione ha reso ancora più pesante le attese.
Hai mai pensato cosa avresti fatto nella boxe, se avessi avuto un fisico da supergallo?
Non so rispondere. Non ho rimpianti in questo senso. L’unica recriminazione che mi porto dietro è quella legata alla lunga fila di infortuni, di operazioni. Ne avessi avuti di meno, forse avrei fatto qualcosa di meglio.

Nella storia del pugilato, quale è il tuo idolo?
Rocky Marciano. Incassava anche le bombe e picchiava come un mulo.
Una volta mi hai detto che non avere vinto l’oro all’Olimpiade è uno dei tuoi più grandi rimpianti. È ancora così?
Certo. Sono andato ad Atlanta ’96 per mettere in mostra quello che avevo imparato, ero già un pugile maturo. Cercavo un trampolino per passare professionista. È andata male. E allora mi sono detto, rimango altri quattro anni e vediamo cosa succede. Mi sentivo pronto per vincere Sydney 2000. Tre mesi prima dell’Olimpiade, nella finale degli Europei, mi danno sconfitto contro il russo Alexei Lezin nei supermassimi, uno che avevo messo giù tre volte. Un brutto colpo, una botta terribile da assorbire. Ma ho pensato: mi hanno sottratto quello che era mio, adesso ai Giochi mi compenseranno. E invece ho perso contro Harrison, che era davvero forte, ma che in avvio di match ha goduto di un punteggio un po’ generoso. Così mi sono ritrovato costretto ad attaccare e ho finito per fare il suo gioco.


Ad Atlanta sei stato messo ko da Rubalcaba. Ricordi ancora quel pugno?
Una mazzata. Ma non sono stato male per il dolore, quello poi passa, quanto per la delusione che quella sconfitta aveva provocato. Sono stato bastonato sul ring, bastonato quando sono sceso dal ring, bastonato dopo. Un disastro.
La vittoria più bella da dilettante?
Quella contro un ungherese in un torneo in Ungheria.
Bella perché?
Nello spogliatoio lui mi guardava, poi diceva qualcosa ai suoi amici e ridevano tutti assieme. Non sono mai salito sul ring così incazzato. Dopo due riprese era tutto finito.
Il tuo agriturismo si chiama Alla Madonna. Il nome lo ha davvero scelto tua madre?
Io volevo chiamarlo Mal’ora, con il disegno di una luna che cala nel bicchiere. Mamma ha detto che era meglio Alla Madonna. E così è stato.


Vedi qualche novità nel tuo futuro?
Non riesco a vedere più in là della mia pancia, figuriamoci se riesco a vedere il futuro.
In una vecchia intervista, quando ti chiedevo il sogno della tua vita, mi rispondevi: Essere un pensionato. E quando ti chiedevo il perché, dicevi: Per non fare niente.
Mi sa che dovrò rinunciare al progetto. Purtroppo ho cinquant’anni e devo ancora metterne assieme molti di contribuiti. Credo che quel sogno non si avvererà. Ma io continuo a pensare che sarebbe stato davvero bello.
Chiudiamo la nostra chiacchierata con un riferimento culinario. Quale è il piatto che ti piace di più cucinare e quello che ti piace di più mangiare?
Una risposta sola per le due domande. Le lasagne al ragù.
Dammi la ricetta.
Viene qui a mangiarle. È un piatto semplice, senza avventure in campi sconosciuti o ingredienti misteriosi. Ma bisogna saperlo fare…
Grazie Paolo, alla prossima.
Ciao Dario, le lasagne ti aspettano.

Paolo Vidoz, cinquant’anni lo scorso agosto. Da dilettante, bronzo all’Olimpiade di Sydney 2000, ai Mondiali di Budapest ’97 e Houston ’99. Oro ai Goodwill Games e ai Giochi del Mediterraneo. Da professionista 28 vittorie (15 per ko) e 11 sconfitte (9 delle quali negli ultimi 15 match). Campione italiano ed europeo dei pesi massimi. Ha disputato l’ultimo incontro il 16 dicembre 2011. Ha un agriturismo al civico 424 dello Stradone Mainizza a Lucinico (Gorizia).

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