Agrigento, gennaio 1987
Tre lunghe cicatrici, su gamba, petto e braccio, disegnano il corpo. Gli ricordano il momento in cui ha incontrato la morte. E l’ha sconfitta.
Era il 12 settembre del 1981, El Gato perdeva ai punti contro Claude Noel ad Atlantic City, in palio c’era il mondiale WBA dei leggeri.
Regalava una casa alla mamma e con il resto della borsa organizzava una grande festa.
Musica, balli, cibo e alcol per tutta la notte.
Poi saliva sulla nuova Mustang gialla assieme a quattro amici e si tuffava nella notte.
Lo scontro con il camion era violento. Una carambola pazzesca. La Mustang veniva distrutta, morti tutti gli occupanti.
Il corpo di Rodolfo Gonzalez detto El Gato riposava nell’obitorio dell’ospedale, steso su un tavolo di marmo e coperto da un lenzuolo bianco. Accanto a lui giacevano altri quattro cadaveri, quelli dei suoi amici.
Il padre entrava nella sala mortuaria, si avvicinava al tavolo, alzava leggermente il lenzuolo e scoppiava in un pianto dirotto, singhiozzi che laceravano l’aria.
“È lui. È il mio ragazzo, aveva solo ventidue anni!”
Poi si copriva il volto con le mani e si bloccava, non aveva la forza di fare un solo passo.
Un medico gli poggiava un braccio sulla spalla e lo accompagnava lentamente verso l’uscita.
«Ahiii».
Un flebile lamento, un suono che veniva da lontano.
Il padre riconosceva la voce del figlio.
Si girava, correva, urlava.
«È vivo! È vivo! Aiutatelo!».
El Gato respirava ancora.
Aveva una mano fratturata in più punti, l’anca lussata, un versamento al polmone sinistro e cento tagli su tutto il corpo. Ma era vivo.
Lo operavano d’irgenza, lo riportavano in questo mondo, lo salvavano.
Un anno dopo tornava sul ring.
E adesso Rodolfo El Gato Gonzalez è in Sicilia per sfidare Patrizio Oliva, in palio il mondiale WBA dei superleggeri.
L’aereo atterra a Catania in perfetto orario.
Patrizio Oliva e Rocco Agostino salgono in macchina e imboccano la strada che porta ad Agrigento. All’altezza di Enna il camion articolato che si accingono a sorpassare si allarga improvvisamente sulla sinistra, occupa la carreggiata, diventando improvvisamente un pauroso ostacolo.
Per evitare lo scontro, l’autista della Thema su cui viaggia il campione schiaccia violentemente il freno. L’auto sbanda, ma ce la fa. Passata la paura, riprendono la corsa verso la meta.
Mentre passeggiamo fuori dall’hotel, Patrizio mi racconta un aneddoto.
«Tu dici che non dovrei essere superstizioso. Senti questa storia. Mercoledì alle 7 di sera, lo so perché è scattato l’allarme, i ladri sono entrati in casa mia a Varcaturo, vicino al Lago d’Averno. Hanno sfondato una finestra, hanno rubato un collier d’oro e se ne sono andati. In quel momento la segreteria telefonica aveva registrato sette chiamate. E mercoledì era il 7 gennaio…».
C’è misticismo, una carica a metà tra fede religiosa e fanatismo nel cuore del Gato. Ogni notte fa lo stesso sogno, si rivede disteso su quel tavolo di marmo.
Era morto, è tornato a combattere e si prepara ad affrontare un mondiale.
Ripensa spesso agli anni della gioventù. A quelle mattine nel quartiere de Los Doctores, nella pancia del ginnasio Margarita, a picchiare e a essere picchiato. Da quelle parti ogni seduta di sparring è una battaglia senza risparmio. Molti dei ragazzi, fatta una veloce doccia, escono dallo spogliatoio e tornano in strada per continuare a lottare.
Ha bisogno di soldi, e questa è una buona motivazione per fare bene.
Patrizio, dicono, potrebbe invece ritenersi appagato.
Ma lui continua a ripetere: «Ho ancora fame».
E allora sul ring saranno ad armi pari.
El Gato è un mancino impostato in guardia normale. Porta bene il gancio sinistro, è un attaccante e fa male con entrambe le mani. Ha aggressività ed è ben preparato. È l’avversario più forte in circolazione.
Viene da tredici vittorie consecutive negli ultimi tre anni, otto prima del limite.
Patrizio ha una grande scelta di tempo. Veloce di braccia, coraggioso, dotato di notevole intelligenza tattica. Velocità di esecuzione e mobilità dovrebbero essere le chiavi per portare a casa la vittoria.
È pronto a mettere in trappola El Gato.
È appena cominciata la giornata che ci porterà al match.
Sette messicani con sombreri e chitarre suonano sotto l’albergo che ospita Oliva e Gonzalez.
Assolto il dovere del peso, i protagonisti si mettono in posa per la foto di rito. El Gato mostra la mano sinistra aperta e alza due dita della destra.
Sette.
Patrizio sorride.
Gong, si comincia.
Lacrime rosse segnano il volto di El Gato. È caduto anche lui nella trappola. Le saette di Oliva gli spaccano le arcate sopracciliari. Troppo bravo il ragazzo napoletano per lui. Un buon torero può vincere la corrida, anche contro un toro forte e ruggente come Gonzalez.
Neppure la maledizione del numero 7 riesce a rovinare la festa.
Un gancio sinistro, neppure tanto potente, centra Patrizio al collo. Il campione va al tappeto, per la prima volta dopo 99 match da dilettante e 48 da professionista.
È la settima ripresa.
A fine match Patrizio viene verso la mia postazione a bordo ring, si appoggia alle corde e mi dice sorridendo…
«E tu continui a dirmi che non devo crederci…».
Ma ci vuole altro per fermare il ragazzo.
I colpi di Oliva tagliano l’aria, finiscono la corsa sul volto del messicano ogni volta che abbozza un attacco.
Ansima Gonzalez, sembra un pesce in cerca di cibo nell’acquario. Ha un gancio sinistro che fa male, non c’è bisogno di prenderlo in faccia per capirlo.
Il più delle volte però colpisce l’aria. L’altro è imprendibile.
Indietreggia, rientra, anticipa.
Tre messicani, con la faccia segnata dal sole e dalla sofferenza, siedono appena dietro di me. Si sono portati uno striscione, due raganelle e una tromba. Non hanno tempo per suonarle.
Sinistro, sinistro, destro.
Eccola qui la musica che ascoltiamo sotto il tendone. A mettere in fila le note è un maestro del ring. Troppo veloce, troppo abile per Gonzalez e per chiunque altro nella categoria.
Oliva chiude con un segno sulla faccia. Due graffette a suturare la ferita. Lo zigomo destro è nero e gonfio. A provocare il taglio è stata una testata involontaria di Gonzalez, nel sesto round. Per fortuna l’angolo è riuscito a tamponarla con abilità.
Il campione mostra orgoglioso i segni della battaglia, si sente un guerriero che ha resistito ai momenti difficili e ha portato a casa la vittoria.
I tagli sulle arcate sopracciliari del Gato fanno paura. Sono il segno della disfatta. Mi è sembrato che Patrizio a volte addirittura giocasse. I colpi dello sfidante erano maligni. Anche nelle ultime riprese, quando boccheggiava, era in grado di mettere a segno il pugno giusto. È il rischio che si affronta quando si sale sul ring con un picchiatore, contro il numero 1 di tutte le associazioni mondiali.
Il gancio sinistro del napoletano è stato la cosa più bella vista questa sera. Quando Gonzalez partiva, Patrizio faceva un piccolo spostamento laterale e poi lasciava partire il colpo che nove volte su dieci centrava il bersaglio. Il diretto destro completava l’opera.
Uno spettacolo.
# Il match Oliva vs Gonzalez, trasmesso il 10 gennaio 1987 in prima serata da Rai2, ha registrato un’audience di 9.881.000 spettatori con il 38.6 di share.
(da ERAVAMO L’AMERICA di Dario Torromeo, 270 pagine 15 euro, Edizioni Absolutely Free)