Mazzinghi racconta Robinson e Benvenuti la guerra, il Covid-19

A Sandro Mazzinghi sono legato da sincero affetto. A lui e alla sua famiglia. Per questo spesso mi viene voglia di ascoltare le sue parole. Sandro non è mai banale, nelle sue frasi trovo una saggezza antica. Il tempo gli ha regalato la saggezza degli anni. In un mondo che urla, lui sussurra verità di cui dovremmo custodire il ricordo. Dieci domande, altrettante risposte. Da leggere per capire ancora di più un personaggio che ha scritto la storia dello sport italiano. E anche della società che ha attraversato da protagonista.

 

Sandro, quale è stato il campione che hai amato di più?

“In realtà sono stati due. Rocky Graziano l’ho ammirato davvero. Ricordo, avevo sei o sette anni quando vidi il film sulla sua vita interpretato da Paul Newman: “Lassù qualcuno mi ama”. È stato da quel momento che ho inseguito il sogno di diventare campione del mondo. L’altro è Sugar Ray Robinson, il più grande. L’ho anche conosciuto, ho ricevuto da lui elogi che non potrò mai dimenticare. Venne a vedermi a Roma, in occasione del match contro Gonzales. Dopo l’incontro, che vinsi per ko alla quarta ripresa, salì sul ring e mi disse: “Sandro devi venire in America. Li avresti il tuo grande pubblico, gli americani amerebbero un guerriero come te”. È stato il più bel complimento che abbia mai ricevuto. E a farmelo era stato un campione che ho amato tanto”.

Quale è stato il rivale più forte che hai affrontato?

Ne ho incontrati tanti di pugili forti. Da Bo Hogberg, lo svedese dagli occhi di ghiaccio, a Gomeo Brennan, che mi tirò un montante destro al mento e mi fece saltare tutti e quattro i denti inferiori. Ma il più forte in assoluto, è stato  il coreano Ki So Kim: quarantacinque minuti di pura follia. È stato il mio match della vita. Incontri così, ne puoi fare solo uno”.

Tu e Nino. Come era il vostro rapporto ieri, come è oggi?

“Io e Nino, è una bella domanda. Siamo stati grandi rivali, non c’è dubbio. Due caratteri totalmente diversi, con tecniche diverse, ma sempre con un obiettivo comune: quello di diventare campioni. Oggi, nonostante tutte le vicende che ci hanno visti protagonisti, ci rispettiamo. Abbiamo oltre 80 anni, ad ottobre saranno 82 anche per me, e mi sento di dire che la nostra è stata una bella storia, un’affascinante “storia di boxe”. Forse unica nel suo genere. Le nostre vite vanno lette come insegnamento per tutto quello che abbiamo fatto per il pugilato e per il nostro Paese”.

Quale è il ricordo più bello della gioventù, fuori e dentro la boxe?

“La gioventù… La mia gioventù non è stata certamente spensierata. Ho dovuto rimboccarmi le maniche presto per portare un pezzo di pane a casa, ho fatto mille lavori: dal manovale al falegname. Sai, ho ancora una valigia di cartone, come usavamo a quel tempo, con dentro gli attrezzi del mestiere. Quando la guardo, mi commuovo. Ma un ricordo bello ce l’ho anche io. Avevo tanta voglia di fare e di diventare qualcuno, tutto questo mi dava una grande spinta. Quella spinta che solo da giovani si prova, perchè da giovani si ha tutto: la voglia, la grinta, i sogni. Bisognerebbe non dimenticarlo mai”.

E un ricordo della guerra?

“Io l’ho vissuto quel periodo terribile. Ho attraversato da bambino i giorni della guerra, me la ricordo ancora e solo chi c’è passato sa cosa vogliano dire quei momenti terribili, quando ti cadono le bombe addosso e non sai dove scappare. Abbiamo passato anche questo, e fino a qui ci siamo arrivati”.

Il Covid-19 ti fa paura?

“Questa pandemia ci è caduta addosso come un bombardamento in tempo di guerra, perché questa è una guerra con tutte le sue vittime. La maggior parte sono anziani. Anche io ho avuto paura, spero tanto che finisca presto e l’Italia riesca a rialzarsi. Penso a questa crisi economica che porterà nuovi poveri, anche qui in Toscana ci sono tante aziende che sono al collasso, ma siamo un popolo forte. Ci vorrà del tempo, ma ci riprenderemo. Questo è il mio augurio”.

Quali sono gli acciacchi che l’età ti ha regalato?

“Gli acciacchi caro Dario, ci sono e si fanno sentire. Ho avuto una carriera dispendiosa e ho subìto colpi dalla vita non indifferenti. Prima o poi il conto arriva, ma io sono un uomo forte, combatto anche questo, lottare è nel mio DNA. Come hai scritto nel tuo bel libro che amo tanto: I MAZZINGHI SONO NATI PER COMBATTERE, è quello che ho sempre insegnato anche ai miei figli”.

Come vedi il pugilato italiano di oggi?

“Dario, cosa vuoi che ti dica? Non possiamo paragonare il pugilato di oggi a quello dei miei tempi, è cambiato tutto. Stile, tecnica, allenamenti. Io mi allenavo sei o sette ore al giorno, facevo 20 km di footing tutte le mattine. Mi alzavo alle 5:30. Oggi si fanno i pesi e i pesi non vanno fatti, perché aumentano la massa muscolare e diventi più lento. Comunque, qualche atleta buono c’è, quello che manca è il personaggio, il trascinatore che ti travolge e ti porta con sé. È questo che manca al nostro pugilato”.

Vuoi dirci due parole sulla tua famiglia? 

“Per me la famiglia viene prima di tutto, ho sempre sognato come l’avrei voluta. E alla fine il sogno si è realizzato. Ho due figli che mi adorano, ho mia moglie Marisa: senza di lei non so se sarei rimasto il Sandro di sempre. È  una donna fantastica, mi è stata al fianco anche nei peggiori momenti della vita. Non posso chiedere di più, ringrazio il Signore di avermi dato una famiglia sana ed unita”.

Chiudiamo questa chiacchierata con i tuoi luoghi. Cascine di Buti, Pontedera, la Toscana. Che puoi dirmi?

“La Toscana è una regione che conosco per filo e per segno. Per me è stupenda. Voglio bene a Pontedera, la mia città. La porto sempre nel mio cuore, anche se non ci vado spesso. Ho scelto di abitare a otto chilometri di distanza, in un paesino in campagna molto carino, confinante la provincia di Lucca. Ho costruito la mia casa a Cascine di Buti, qui abito con la mia famiglia, ci sto da dio. Pensa, pensa 20 minuti da Lucca centro, 30 minuti da Montecatini Terme, 45 dalla Versilia. Sono zone rilassanti, lontane dal caos della città, posti dove ancora si gode di buona aria. Non è poco, visti i tempi in cui viviamo. Passo qui la mia vecchiaia con l’affetto dei miei cari e dei tanti tifosi che ancora mi vogliono bene. Tutto questo mi riempie di gioia”.

Sandro Mazzinghi, classe 1938.
Esordio il 15 settembre 1961.
Ultimo match il 4 marzo 1978.
Sessantanove match: 64 vittorie, 3 sconfitte, 2 no contest.
Campione europeo dei superwelter, due volte campione del mondo nella stessa categoria.
A ottobre 2019 è entrato nella Hall of Fame della Boxe italiana.

 

 

 

 

4 pensieri su “Mazzinghi racconta Robinson e Benvenuti la guerra, il Covid-19

  1. Io ho fatto il ciclista,ma il mio primo sport e’ stato il pugilato, e lo tengo nel cuore, E con Agostino Cardamone,ci ha dato belle sodisfazione. Per me Sandro e’ stato il miglior pugile, in assoluto, mai un passo indietro, ed e’ per questo motivo, che a distanza di anni gli amanti di questa splendida disciplina lo ammirano. Grazie per quello che hai fatto. in bocca al lupo per il tuo nuovo lavoro.Un carissimo saluto al Dott.Dario B. palato fino del pugilato,e formidabile,”Con le Barzellette” che io ricordo ancora. Carissimi saluti. Vittorio De Martino.

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