Tyson in esibizione, la voce di Holyfield, Laila Ali. Tristezza!

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Laila Ali ha 42 anni.
Lavora come opinionista in alcuni talk show, è sposata con un’ex stella della NFL: Curtis Conway. Giura, e nulla fa pensare al contrario, di non avere particolare bisogno di soldi.

Eppure sfida e rilancia in ogni occasione la sfida a Claressa Shields, che di anni ne ha 25, è campionessa in due categorie e ha vinto due ori alle ultime due edizioni dei Giochi Olimpici.

La Shields è in attività, in forma e ha difeso la cintura lo scorso gennaio.

Laila Ali è 16 chili oltre il limite della categoria in cui dovrebbe battersi e non disputa un match da tredici anni.

La domanda è: perché insiste?

La risposta potrebbe essere nei cinque milioni di compenso che, secondo la Shields, avrebbe chiesto.

Ma da dove potrebbero arrivare quei soldi?
Dalla pay per view?
Davvero pensate che possa esserci mezzo milione di persone disposte a spendere una quota minima di dollari per vedere una signora di 42 anni, assente dal ring dal 2007, contro una delle più forti pugili pound for pound attualmente in circolazione?

Se perdesse la Shields sarebbe un disastro per l’immagine del pugilato femminile. Non credo accada.

Mike Tyson annuncia di voler tornare sul ring. Per carità, per un’esibizione di tre riprese e nulla più. Tanto per divertirsi. Anche se con Iron Mike sul ring, va bene: solo per qualcosa di simile a un allenamento, il divertimento potrebbe essere a senso unico. Soltanto suo.

Tyson tra poco più di un mese farà 54 anni, non disputa un match da 15.

Eppure i media americani hanno già messo su la terza sfida contro Evander Holyfield (57 anni, nove di lontananza dai combattimenti).

Mi sembra di rivedere Grudge Match, il film con Sylvester Stallone (67 anni all’epoca) e Robert De Niro (63). Non un capolavoro.

Anche qui mi domando: Perché?

Mancano i grandi protagonisti nella realtà e allora si va a cercarli nella narrazione che nasce dalla fantasia?

Due signori che fanno esercizio fisico, anche intenso, pur avendo complessivamente oltre 110 anni, sono uno spettacolo che ispira salute, freschezza atletica, voglia di mantenersi in forma. Ma andare a cercare altro, oltre a quello che un’ipotetica esibizione potrebbe rappresentare, mi sa tanto di tristezza.

Il passato non torna. Né per Laila Ali, né per Tyson, né per Holyfield. Nonostante i vari gradi di amore i loro tifosi possano regalare loro. Qui siamo più vicini al wrestling che a uno sport di combattimento. Lì ci sono sceneggiature, protagonisti che sanno recitare, bravi autori, coreografie colorate. Qui c’è agonismo vero.

Se il mondo della boxe continuasse a parlare di Tyson vs Holyfield come se fosse davvero la terza puntata della saga, vorrebbe dire che siamo davanti a un problema.

Non date retta a quelli che pensano che la boxe sia finita, che continuano a parlare di mancanza di talenti in giro, di spettacoli noiosi. Parlano così perché non conoscono quello di cui parlano. Non hanno mai visto Terence Crawford, Vasily Lomachenko, Teofilo Lopez, Saul Alvarez, Gennady Golovkin, Mikey Garcia, Oleksandr Usyk, Errol Spence jr, Naoya Inoue e tanti altri ancora.

L’unica colpa di questi campioni è quella di non essere universalmente popolari, al di fuori dalla cerchia degli amanti del pugilato. La pay per view ha portato tanti soldi (per pochi pugili), ma ha tolto popolarità a questo sport.
Anche da noi si segue da molti anni questo percorso, basta sostituire la tv via cavo alla pay per view.

Solo DAZN attualmente trasmette pugilato di prima qualità. Ha ascolti buoni, ma incredibilmente lontani da quelli di una volta. Anche perché non ci sono italiani a fare da protagonisti assoluti.

Audience quindi bassa, con la conseguenza di indebolire se non azzerare la forza di impatto del prodotto pugilistico.

Non avendo più campioni/personaggi di riferimento come lo sono stati nel passato Mazzinghi, Benvenuti, Loi. Ma ancora più vicini a noi Parisi, Rosi, Damiani, i due Stecca, Oliva, Nati, Kalambay. Non avendo riferimenti immediati, in molti si sono convinti che la boxe non esista più.

Anche perché dal 2000 a oggi i migliori dilettanti tali sono rimasti, tagliando così il rifornimento naturale al serbatoio inaridito del professionismo.

Negli Stati Uniti latita il mezzo per propagandare il pugilato. In epoche recenti HBO, ESPN, Showtime e adesso DAZN si sono sostituite a quello che una volta erano NBC, CBS, ABC. I tre grandi network che trasmettevano e trasmettono in chiaro. Un pubblico potenziale di 250 milioni di persone si è ridotto del 90%.

Oggi, escluso Mayweather vs Pacquiao che ha fatto 4,6 milioni di utenti, quando la pay per view supera il milione si balla per una settimana intera.

Roy Jones, un fenomeno del pugilato, ha fatto tutta la carriera sulle televisioni a pagamento. Con il risultato di diventare una leggenda per gli appassionati, una figura davvero poco nota fuori dalla nicchia degli innamorati della boxe.

Da noi manca il protagonista assoluto, il pugile in grado di vincere un mondiale e di difenderlo con successo. Così si sta lentamente spegnendo la fiammella dell’interesse, per questo sembra che la situazione sia universale.

Molti campioni, una popolarità relativa. È questa la situazione americana.

E allora ci si rifugia nel passato, nei protagonisti che suscitano ricordi forti.

La figlia di Muhammad Ali; il campione capace di conquistare il mondo intero con i suoi pugni e i suoi eccessi; il fuoriclasse a cui è stato staccato un lobo con un morso.

Si vive un passato a tinte forti, perché si rinuncia a capire, a conoscere il presente. La boxe ha ancora campioni di livello assoluto, gente che avrebbe potuto primeggiare in ogni epoca.

Ma a eleggerli come propri idoli sono sempre meno persone. Perché si hanno poche possibilità di vederli.

E allora eccoci qui a parlare della sfida di una signora di 42 anni, madre di due figli, e lontana dai combattimenti dal 2007; delle manifestazioni di rinomata esplosività di un cinquantatreenne; delle elucubrazioni tristi di un signore di 57 anni.

Ve lo confesso, a me tutto questo mette tristezza.

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