Dal 12 al 15 aprile (giovedì, venerdì e sabato alle ore 21, domenica ore 18) al Teatro Tram di Napoli (via Port’Alba, 30) va in scena Dentro i secondi, uno spettacolo diretto e interpretato da Antonello Cossia (attore, regista, autore, ha scritto e interpretato anche “A testa alta”. La storia portante, il filo rosso che unisce e guida, è quella del padre ex-pugile, atleta della nazionale azzurra che rappresentò l’Italia ai giochi olimpici di Melbourne in Australia, nel 1956). Testi di Franco Esposito e Dario Torromeo. Costumi: Annalisa Ciaranella, disegno luci: Angela Grimaldi, musiche a cura di Francesco Albano, produzione: Altrosguardo.
Protagonisti nell’ombra. Scudieri, accompagnatori preziosi dei primattori, spesso primattori anch’essi, mai avvezzi però alla prima pagina e al titolo a nove colonne.
Presenze fondamentali, essenziali, al fianco dei campioni, le cui vittorie sono sovente il prodotto del lavoro degli insostituibili: spalle preziose su cui poggiarsi quando la fatica diventa terribile, sparring, compagni d’avventura. Inamovibili, silenziosi, operosi, fedeli e fidati. Una vasta specie con connotati precisi. E oltre un secolo di opere risolutive: alcuni entrati con dolce prepotenza nella storia dello sport. Gunboat Smith, pugilatore all’inizio dell’altro secolo, si faceva prendere a pugni dal suo superiore: preparava il celebre Jack Johnson, l’odio dei bianchi d’America, alla conquista del mondo. E poi: Carrera e Milano, gli angeli di Coppi, Nobby Stiles il cattivo dell’Inghilterra che si prese la World Cup nel ’66; Lodetti e Bonini che correvano per Rivera e Platini…
Gli ultimi che diventano primi, e talvolta primi s’inventano davvero.
È l’immutabile magia dello sport.
Scrive Emanuela Audisio nella prefazione:
Sono i Sancho Panza dello sport. Gonfiano i sogni altrui, li rendono materia. Danno concretezza alle imprese, anzi le cucinano e le sfornano calde. Fanno nascere romanzi sportivi strepitosi. Sudano, lottano, si sacrificano. Anche se ad alzare le braccia è sempre Don Chisciotte, non il suo fedele servitore. Sono l’ombra che lascia la grandezza. Sherpa di salite anche esistenziali. Nessuno ha mai capito chi glielo fa fare: troppa timidezza, disagio, generosità, masochismo. Danno il loro meglio agli altri, ai campioni che li sfruttano e li ricompensano con una carezza di gloria.
Ecco un estratto del capitolo dedicato a Jimmy Ellis, amico e sparring di Muhammad Ali.
Era l’estate del Settantuno.
«Ciao campione»
«Ciao campione».
«Stavolta saremo rivali»
«Jimmy lo so che sei forte. Per diventare mio sparring devi essere veramente bravo».
«Ali ti rispetto, ma cercherò di batterti».
«Coraggio amico, andiamo a divertirci».
Jimmy cercava di mostrare all’altro la sua bravura, voleva fargli vedere quanto fosse migliorato. Centinaia di round di sparring gli avevano svelato ogni segreto di Ali. Poteva intuire quando sarebbe partito il jab sinistro, quando avrebbe provato a entrare con il diretto destro. Avrebbe potuto, ma non era riuscito a farlo.
Ali era tornato indietro nel tempo. Volava come una farfalla e pungeva come un’ape. Poi nel quarto round piazzava un destro che faceva tremare l’intero corpo di Ellis. Da quel momento il match viveva nell’attesa del colpo finale, con una storia che sembrava essere stata scritta molto tempo prima.
Nella dodicesima ripresa un montante sinistro di Ali centrava l’amico, lo scuoteva, rendeva traballanti le sue gambe.
Un’altra serie lo portava sull’orlo dell’abisso. A quel punto Ali si fermava, aspettava che accadesse qualcosa, che qualcuno ponesse fine a quella mattanza. L’arbitro Jay Adson capiva al volo il drammatico momento e chiudeva l’impari sfida.
«Ali perché ti sei fermato?»
«Ho visto nei suoi occhi una grande sofferenza».
«Ti sei fermato perché era un tuo amico?»
«Mi sono fermato perché è un uomo, come me. E io non voglio uccidere un uomo sul ring».
«È stato un match facile?»
«Sono stato in gamba, ho battuto il peso massimo più forte del mondo dopo di me».