Estate del 2002. A Berlino ci sono gli Europei di nuoto. Incontro Franziska van Almsick: quattro argenti e sei bronzi olimpici, due ori e altre quattro medaglie mondiali, diciotto trionfi europei. Ma soprattutto la forza dirompente di una splendida ragazza salita sul palcoscenico a soli 14 anni, capace di trasformarsi in diva, scendere all’inferno e tornare a sorridere. Mi racconta tormenti, paure, sogni, nemici. E’ una confessione di dodici anni fa, ma resta viva anche oggi che quella ragazza ha 36 anni, un compagno e due figli.
FRANZISKA si è fatta tatuare sul corpo la storia di una vita. Sulla spalla sinistra c’è la testa di una pantera, il ricordo di quando aggrediva il mondo pronta a sbarnarlo, incurante dei pericoli. In fondo alla schiena, poco sopra il bacino, ci sono due ali d’angelo ed una scritta: “Destiny”.
Oggi Franziska van Almsick il destino lo aiuta dolcemente, arricchita dalle verità che le ha regalato l’esperienza.
La incontro a Potsdam, nel vecchio Centro Federale di Templiner See che un tempo ospitava le atlete della Germania Est e gli esperimenti di dottori che inseguivano il futuro senza porsi tanti domande.
«Non voglio pensare a quello che era. Oggi lo guardo con occhi diversi, è tutto così orribile qui attorno.»
E’ una donna nuova questa tedesca che a 14 anni (foto sotto con l’allenatore) stupì il mondo vincendo l’argento olimpico sui 200sl a Barcellona ’92. Dieci anni vissuti pericolosamente.
«Sono tanti i problemi che mi hanno accompagnata lungo il cammino. Non sapevo chi fossi, non capivo cosa volessi. E’ stato un periodo folle, pazzo, incredibile. Non era facile gestire le giornate di una quattordicenne che aveva tutto. Non credo di aver perso niente della mia giovenezza, anche se nessuno mi ha mostrato una strada differente per viverla in modo diverso. Non ho rimpianti, non cambierei nulla di quello che ho fatto. Tutti sbagliano, gli errori servono per crescere. Devi solo metterli lì e imparare. La Franzi di oggi mi piace, anche se dentro sento una grande malinconia.»
E’ sempre bella questa ragazza che è stata testimonial ideale per vendere prodotti alla gioventù tedesca. La ricordo a Roma, otto anni fa. Un Mondiale segnato dal suo nome, una storia incredibile. Per la prima volta Franziska acceta di raccontare i segreti di quella avventura entusiasmante e maledetta.
«Di Roma ricordo tutto, tranne la gara. Dopo la batteria ho saputo di avere segnato il nono tempo, ho capito che ero fuori dalla finale. Sono tornata in albergo piangendo e ho continuato a piangere per ore. Avevo 16 anni e il mondo mi stava crollando addosso. Ero impazzita, tutto sembrava così irreale. Dopo pranzo, l’allenatore mi ha detto che Dagmar (Hase) aveva rinunciato a gareggiare, mi ha detto che avrei avuto la mia occasione. “No”, gli ho risposto. “Non ce la faccio”. Lui mi ha convinto. Ero imbarazzata, sapevo quello che stavano pensando tutti quando sono salita sul blocco: ero la nona ed ero lì, quel posto non mi spettava. Mi sentivo davvero male. Poi è cominciata a salire la rabbia, tanta da rendermi incredibilmente aggressiva. Mi sono tuffata. La gara? Non ricordo niente. Ma ho ancora davanti agli occhi il tempo (1’56″78, record del mondo sui 200sl), ho dentro il cuore la sensazione di quel momento felice. Il più bello della mia carriera. Ma solo dopo la gara, quello che l’ha preceduto vorrei dimenticarlo.».
E’ andata su verso la Luna, Franziska. Ha messo in cassa medaglie, gloria, soldi, ricchezza. Poi ha cominciato a scendere lungo un burrone sempre più profondo. A mandarla giù erano gli altri, ma lei non faceva nulla per difendersi.
«Ero sempre forte a livello nazionale, vincevo di meno a livello assoluto. Qualche settimana fa sono tornata a segnare tempi vicini a quelli di una volta. E improvvisamente ho ritrovato il rispetto negli occhi della gente. Quando ero due secondi più lenta, mi sorridevano, ma avevano nello sguardo un’espressione di indifferenza. Qualcuno, sottovoce, diceva che ero grassa e lenta. Il fondo l’ho toccato a Sydney. Dopo l’Olimpiade ho pensato di smettere. Ero così delusa per il risultato, per quello che era accaduto, per come mi vedevo negli occhi degli altri. Era diventato un ambiente troppo duro per me. Mi sono detta: basta col nuoto, scappa da questo mondo.»
L’ha riportata sulla terra un ragazzo di 28 anni, Stefan Kretzschmar, un tipo che per lei ha lasciato la moglie. Un punk che va in giro con i capelli a cresta di gallo; il percing al sopracciglio sinistro, al naso e sul labbro; due orecchini per ogni lobo; anelli da un paio di etti su almeno tre dita; un tatuaggio di venti centimetri sul polpaccio, è il ritratto di Franzi; un pizzetto da diavolo e una maglietta a sfondo religioso con il volto di Gesù al centro. Non gli affideresti l’anima a uno così, Franzi gli ha dato il cuore e lui l’ha convinta che dentro il suo corpo c’era ancora tanta forza per provare a vincere come prima.
«Ho parlato a lungo con lui, abbiamo messo a nudo i nostri sentimenti. Mi ha convinto che non era troppo tardi per riprovarci. Anche oggi vorrei che il successo non scappasse, è normale. Ma non sono più disposta a pagare un prezzo troppo alto per averlo. Sono cresciuta, ho capito la mia vita, ho capito gli altri. Adesso so quello che voglio. Sono felice, la sconfitta non è poi così brutta come immaginavo.»
E’ tornata col primo allenatore, Norbert Warnatzsch, che l’ha guidata fino a undici anni. Ha ripreso a nuotare veloce come una volta. Ed ora è a Berlino, nella sua città, per ricominciare.
«Il destino mi ha messo davanti un’altra occasione e io devo prenderla. Non ne capitano tante nella vita. Mi sento come se avessi fatto un salto all’indietro nel tempo. Tutto ritorna. Ho un po’ di paura a nuotare qui, con gli amici e la mia famiglia in tribuna. Ma mi sento più leggera. Non solo nel corpo, anche nella mente.»
Ha una serenità malinconica Franziska. E’ come una bambina che, diventata grande, ha tolto il coperchio al vaso della vita e ci ha trovato delle verità che non avrebbe voluto conoscere.
«Non ho consigli da dare. Ho solo qualche considerazione. Prendete Jan Ullrich ad esempio. Tutta la Germania lo adorava, ma vedeva solo il ciclista. Tutti si sentivano in diritto di salire sulla sua bicicletta. Avevano dimenticato che non era solo un atleta, ma anche un uomo. A nessuno interessa l’uomo, tutti guardano il campione che vince. E quando cadi, rimani da solo.»
Saluto la van Almsick, raro esempio di popolarità longeva. Una nuotatrice il cui nome è ancora noto ovunque, anche se gli ultimi grandi risultati individuali sono datati 1996. Era giovane, bella e aggressiva. Ha appena 24 anni oggi quella bambina. E sembra così triste nella sua ostentata felicità.
Poi arrivano i giorni delle gare europee, nella sua Berlino in quell’umida estate del 2002.
La ballata di Franziska. Quella che ho vissuto nella piscina di Landsberger sembra una vecchia canzone popolare: assai più vicina a una favola che alla realtà.
Franziska si è svegliata con il mal di testa, qualche linea di febbre e un dolore forte allo stomaco. Era la paura che si stava impossessandosi del corpo. Era quella pressione, che credeva di essere ormai riuscita a dominare, che tornava padrona. Avrebbe voluto avere accanto Stefan. Ma Stefan era in ritiro a Magdeburgo.
E così Franzi si è sentita di nuovo sola. Avrebbe voluto scappare lontano. Tutti parlavano del record del mondo che avrebbe battuto. Lei era convinta che nella sua vita non ci sarebbe più stato un primato del mondo sui 200 sl. Quella gara l’aveva resa famosa, ricca. Il nuoto era diventato incredibilmente popolare in Germania. E aveva un solo nome, il suo. Per questo le compagne di squadra avevano cominciato a isolarla, a tenerla lontana. Sandra Volker, l’altra leader, non le rivolgeva neppure la parola. E quando è cominciata la discesa, nessuno le ha teso una mano.
Non certamente i giornali. I tabloid hanno scherzato, ironizzato, scritto con mano pesante dei suoi problemi di dieta. Il Berliner Zeitung è arrivato a dipingerla come un’autentica cicciona, ha pubblicato una caricatura con lei che non riusciva ad entrare nel costume ed un titolo “Franzi von Speck”. E allora la van Almsick ha avuto una reazione inaspettata: si è fatta fotografare in atteggiamento sexy da una rivista.
La piscina è a poche centinaia di metri dalla casa natale di Franziska, nell’ex Germania Est. Prima di uscire, la van Almsick ha chiamato il suo uomo, ha accarezzato il diamante che lui le ha regalato e che lei porta al naso, si è specchiata per vedere i due tatuaggi. Era il momento di scriverlo con le gambe e le braccia il destino. Ma occorreva un’ultima spinta, quella della testa.
L’ultimo aiuto, Franziska (foto sopra oggi, a 36 anni) l’ha avuto appena entrata in piscina. Tremila persone riempievano ogni sedia delle tribune e scandivano il suo nome. Quelle grida non l’hanno spaventata, ma le hanno fatto capire che poteva succhiare linfa dal tifo, dall’amore che la gente era tornata a regalarle.
La partenza è stato l’unico momento di incertezza. Poi ogni altra cosa è stata spazzata via: il terrore di non farcela, i brutti ricordi. Vuoto assoluto. Solo lei, l’oro e il record del mondo. Obiettivo centrato. Non c’è stato champagne a bagnare il trionfo, solo lacrime. Singhiozzi di gioia, salti di felicità. Poi ancora un pianto liberatorio, lungo, interminabile, mentre l’arena tremava per le urla della folla che aveva ritrovato l’eroina capace di riempire di orgoglio una nazione intera.
La ballata di Franziska è stata scritta in modo stupendo. Stupefacente. Da innamorarsene. E con me, sono tornati ad innamorarsi di lei milioni di tedeschi.
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