Antonio Cassano ha 31 anni. Domenica ha segnato due gol al Milan e spera che Prandelli lo porti ai Mondiali. Aveva 18 anni quando la Roma lo acquistava per 55 miliardi dal Bari. Il Corriere dello Sport mi aveva mandato in Puglia per raccontare la sua storia indagando tra i ricordi, inseguendo nel Borgo Vecchio il principino che non voleva farsi trovare. Avevo parlato con tutti: la mamma, il primo presidente, l’ex allenatore, la maestra delle elementari, il ristoratore di fiducia, gli amici. Ma non ero riuscito a parlare con lui che continuava a nascondersi. Qualcosa comunque l’avevo capita. Ve la racconto.
GIOVANNA Perrelli vive al numero 5 di via San Bartolomeo, una strada stretta stretta che sbuca in Largo Chiurla. Dall’altra parte c’è piazza Ferrarese, il Teatro Margherita, il mare. E’ in queste viuzze che Antonio ha cominciato a giocare.
«Aveva cinque anni e già rompeva le scarpe tirando calci a un pallone» racconta Giovanna, la mamma di Antonio Cassano.
Lei lo andava a cercare per le strade del Borgo Antico, gli portava da mangiare, gli ricordava che era ora di cena.
In prima elementare l’esordio in una squadra vera, quella del centro prevenzione minorenni “Lavoriamo insieme”. Il campo di calcio della cooperativa era a Fesca, la sede in strada San Giacomo.
Elementari e medie, Antonio le ha fatte quasi tutte lì. Aiutato dalla direttrice Anna Percoco e dall’assistente Pina Longobucco. Tutti uniti per uscire nel miglior modo possibile dalle trappole della Città Vecchia.
Il Borgo Antico oggi sta cercando una nuova immagine, i contributi della Comunità Europea hanno permesso di restaurare case e facciate, monumenti e strade. Il quartiere che si stringe attorno alla Basilica di San Nicola ed è separato dal mare da una lunga strada che disegna un lato del perimetro, è un fascinoso intrecciarsi di viuzze in cui è facile perdersi.
Il principino è nato qui, il 12 luglio del 1982. Il padre avrebbe voluto chiamarlo Paolinorossi. Così, tutto attaccato, in onore dell’uomo che aveva contribuito in modo determinante a regalare all’Italia il terzo titolo mondiale, conquistato appena il giorno prima in terra di Spagna. Non era stato un papà molto presente. Aveva limitato i suoi doveri al riconoscimento del figlio. Il mantenimento del bambino e della donna che lo aveva generato non li aveva ritenuti di sua competenza.
Giovanna Perrelli si è così attaccata a quella creatura ed ha lavorato per lui. Come bidella in una scuola elementare, come piccola commerciante nelle strade di quella Bari Vecchia di cui conosce ogni segreto. Si è lasciata aiutare dalla cooperativa “Lavoriamo insieme” e da chi aveva subito capito che quel bambino sarebbe diventato un campione.
Dicono fosse un piacere vederlo palleggiare con una lattina di Coca Cola, ammirarlo mentre si esibiva in piccole magie calzando degli stivali. Antonio si muoveva da padrone e portava nella tasca posteriore dei pantaloni corti la foto del suo idolo di allora, Diego Armando Maradona. Anni dopo avrebbe cambiato gusti, ma questa è un’altra storia.
I Cassano, un cognome molto comune a Bari, sono originari dell’omonimo paese delle Murge. Ma la radice del nome viene da Cassio: stirpe etrusca, molto popolare nell’Antica Roma. Il cerchio si chiude, ma è troppo presto per chiudere anche questa storia. Torniamo ai giorni in cui il bambino incantava spettatori occasionali.
Basta dare una veloce occhiata a una piantina del Borgo Vecchio per capire in quale labirinto rischi di finire un turista sprovveduto. Sono vicoli che finiscono in altri vicoli, strade che si intrecciano, tesori antichi e vecchi negozi. Braciole e scagliozzi, involtini di carne e fette di polenta alla brace. Il profumo del pesce, la tensione di chi non riesce mai a sentirsi tranquillo, la paura di uscire di strada.
Il piccolo Antonio ha camminato su un filo da equilibrista.
«Qualcosa di buono esce anche da qui» mi dice un vecchio signore che ha vissuto tempi duri.
Piazza Ferrarese, piazza Mercantile. In mezzo il Palazzo del Sedile, da una parte il mare, dall’altra il Borgo Antico. Sono state quelle due piazze i primi campi da gioco. La vecchia casa di Antonio è in un vicolo stretto che sbuca in Largo Chiurla, mentre dall’altro lato c’è Piazza Ferrarese trasformata spesso dal ragazzo in un campo di calcio per le esibizioni giovanili, il Teatro Margherita, il mare.
«In casa gli avevano costruito una sorta di campo di allenamento. Così mi hanno detto. Il disegno di una porta sulla parete e tutto attorno della gommapiuma per attutire i colpi del pallone» ci sussurra un ragazzo, chiedendo però l’anonimato. Certo è che la mamma ha sempre appoggiato le ambizioni del figlio.
«L’unica preoccupazione era andarlo a recuperare per strada. Non si stancava mai di giocare, anche quando aveva sfondato le scarpe a forza di prendere a calci il pallone.»
Quando aveva compiuto sette anni era arrivata la Pro Inter di Tonino Rana, l’uomo che Cassano chiama ancora oggi “presidente”. Una squadra vera. Calzettoni, pantaloncini, maglietta. Addirittura gli scarpini da calcio, altro che stivali. Senza quelle calzature ingombranti ai piedi, al piccolo Antonio sembrava di volare. Gol come ciliege, uno tirava l’altro.
Nella sede della Pro Inter c’è un piccolo “santuario” a lui dedicato.
«Era capace di fare anche settecento palleggi al giorno» dice estasiato Tonino Rana.
«Vederlo toccare la palla era una delizia. La accarezzava, non la colpiva. A nove anni l’ho portato a fare un provino alla Fiorentina, mi hanno detto: è troppo piccolo, ne riparleremo. E’ stato a Interello, di anni ne aveva undici, Marini lo aveva scelto. Poi è cambiato presidente, Moratti ha messo Mariolino Corso alla guida del settore giovanile e mi è stato detto che i ragazzi li prendevano solo dalla cintura milanese. Il Parma ci aveva addirittura mandato un contratto. Alla fine, è rimasto a Bari».
Antonio Spizzico, l’allenatore di quella Pro Inter, mette in fila una serie di aneddoti.
«Stava giocando, a un certo punto mi guarda e dice: mister adesso prendo il palo, quale vuoi quello di sinistra o quello di destra? Io gli dico: “non fare il cretino, pensa a fare gol”. E lui: “Mettere la palla in porta è facile, è così grande. Prendere il palo è più difficile”.».
E ancora: «Giocavamo a Polignano, lui aveva il torcicollo, perdevamo 2-0, era la finale di un torneo giovanile. Il presidente mi dice: toglilo, sta male. Ma lui non ne vuole sapere, ci guarda e fa: ora li sistemo io. Vinciamo 5-2. E Antonio segna tutti e cinque i gol.»
Non si ferma Spizzico.
«A Masciano affrontavamo una squadra bulgara. Li ridicolizzò al punto da farli piangere, per calmarli dovemmo comprare il gelato a tutti».
Torna Tonino Rana.
«Io non volevo che dai calci d’angoli si tirasse direttamente in porta. Antonio mi guarda e mi chiede il permesso di calciarne almeno uno come vuole lui. E va bene. Tira e mette la palla all’incrocio, sul primo palo. Aveva undici anni e si giocava su un campo regolamentare.»
Dai racconti degli uomini della prima società, con noi c’era anche il segretario Alberto Fracchiolla, il ritratto che viene fuori è quello di un grande talento, di un ragazzo vivace. Amante degli scherzi.
«Ne faceva fin troppi. Nascondeva le scarpe dei compagni nel gabinetto, bucava i bicchieri di carta della mensa, innaffiava ragazzi e dirigenti con la pompa. Ma attenti, sono tutte qui le mattate di Antonio da ragazzo. Non credete a quello che raccontano in giro».
Il talentuoso giocatore intanto, messo da parte Maradona, aveva intanto scelto l’Inter come squadra per cui tifare.
Niente fughe da emigrante dunque, si resta a casa. Per 15 milioni Antonio Cassano, classe 1982, passa al Bari. Ha 13 anni e un grande futuro, ma ancora non lo sa. O meglio, non ne è perfettamente sicuro. Che diventi un campione, lo pensa fortemente. Si porta però dietro l’arroganza e l’insicurezza, figlie delle sue origini.
Affronta la vita di petto, ma poi scappa quando si trova davanti al nuovo, all’imprevisto. E’ un principino che vive tranquillo solo nel suo castello. Sia esso il Borgo Antico o un campo di calcio. Il resto è terra straniera, va affrontato con diffidenza, senza mai lasciarsi coinvolgere.
Al Bari trova solo estimatori. Dai compagni di squadra Bellavista, Sibilano e Cardascio; a Carlo Regalia: un uomo che di calcio capisce come pochi; a Eugenio Fascetti: un signore che non si è fatto piegare da questo mondo e riesce a muoversi senza farsi condizionare; a Matarrese: un presidente che gli vuole bene.
Cresce Antonio. Coccolato in casa da Giovanna che è in pensione e con un milione e centomila lire al mese deve tirare avanti. Seguito con affetto dalla società che lo aiuta anche a studiare, portandolo fino al diploma di terza media.
Quando entro nella vecchia scuola elementare il mio sguardo finisce su un bambino che sfoglia le figurine, ne sceglie una. Me la mostra orgoglioso, poi la posa sul banco. E’ il penultimo banco della prima fila. Lì è stato seduto per un intero anno Antonio Cassano, il giocatore che oggi è ritratto sulla figurina.
La scuola elementare Nicolò Piccinni è in via Carducci. Al primo piano, poco più di dieci anni fa, c’era la Quinta sezione E. Oggi non c’è più il vetro sulla porta e le pareti sono state ridipinte di un verde pallido. Ma il resto è tutto uguale ad allora. La signora Anna Maria Violante Novelli era la maestra ed è lei ad accompagnarmi in questo viaggio nel tempo, alla ricerca delle radici del calciatore che sta entusiasmando l’Italia.
Racconta.
«Ha sempre avuto grandi aspirazioni. Mi diceva: “Io farò il calciatore. Ma non a Bari. Io giocherò con la Roma, la Juventus, la Nazionale”».
Parla di momenti di grande tenerezza.
«L’assegnazione dei posti era un problema, allora io facevo scrivere ai ragazzi su un biglietto il nome del compagno che avrebbero voluto avere vicino, nello stesso banco. Mentre stavo leggendo i bigliettini, lui mi si è avvicinato. “Me m’ha cercat qualcun?“. Mi ha scelto qualcuno?».
Ricorda qualcosa che ancora oggi le dà grande piacere.
«Dovevo assentarmi per qualche giorno, mio marito aveva avuto un grave incidente. Sono venuta in classe e l’ho detto ai ragazzi: per un po’ di tempo qualcun altro si sarebbe occupato di loro. L’ho sentito benissimo cosa Antonio ha detto al suo compagno e non l’ho dimenticato: “‘na volta tand c’avemm ‘ngarrat unne…“. Una volta che ne avevamo trovata una giusta…».
La signora Anna Maria mi parla di un ragazzo vivace, sensibile, difficile, bisognoso di attenzioni. Comunque generoso. Racconta di una recita di classe per Natale.
«Certo, anche lui ha partecipato. Cosa faceva? Non ricordo, forse il pastorello, forse uno dei Re Magi. Ci metteva un grande impegno».
In campo Antonio era decisamente più a suo agio, sapeva come farsi notare, sapeva come aiutare la squadra a vincere.
Diciassette anni, un’età in cui si comincia a disegnare il futuro. Si fantastica su quello che potrebbe essere. Il ragazzo del Borgo Vecchio è combattuto. Da una parte c’è questa culla calda in cui tutti lo trattano da principino, il rispetto degli amici, la sicurezza di essere un protagonista. Ma ci sono anche le paure di non uscire più, di non farcela a entrare nel mondo vero, senza la corazza di compagni fidati che ti proteggono.
E’ già un calciatore importante anche se guadagna ancora due milioni al mese. Più della pensione della mamma che ha lavorato per venticinque anni, ma assai meno di quasi tutti i giocatori della sua squadra.
Accanto al piccolo principe adesso c’è un signore. Si chiama Giuseppe Bozza e fa il procuratore dei calciatori. Si sono conosciuti durante il torneo di Viareggio, sono andati subito d’accordo. Beppe va bene anche alla signora Giovanna. Avanti così. Bozza tratta Antonio come un figlio e l’altro lo segue senza uscire di strada.
Dicembre 1999, storia di ieri. Esordio in serie A contro il Lecce, ma soprattutto il gol all’Inter: stop di tacco, pallone portato avanti di testa, dribbling a rientrare, due difensori lasciati sul posto, interno destro e pallone a fil di palo. Il mondo del calcio applaude la scoperta di un altro talento. La gente impazzisce e lui, pieno di una timidezza che sconfina nell’arroganza, scappa a casa. Da mamma.
Giovanna gli regala una catenina d’oro con la medaglietta di Padre Pio. Non è una donna fortemente religiosa questa signora bionda, ma ha una devozione particolare per i santi. Ha un rapporto diretto con loro, non le piaccono gli intermediari. E proprio durante una gita di chiesa a Roma si innamora della città.
Antonio abita a Poggiofranco, una zona residenziale, ma gran parte delle sue cose sono rimaste nella cameretta della casa di strada San Bartolomeo. C’è anche la videocassetta di quell’Inter-Bari. L’avrà rivista cento volte, spesso accanto alla mamma. Prima però le ha sempre fatto fare una promessa.
«Ma’, basta che non ricominci a piangere».
La signora si emoziona quando vede giocare il figlio. Per questo non è andata mai allo stadio. Solo tv: ha anche comprato l’abbonamento a Tele+ che trasmette le partite del Bari e si è spinta fino ad aspettare la “Domenica Sportiva” per sentire cosa dicono del suo ragazzo.
Antonio preferiscee “Controcampo”. Ma non è la struttura giornalista della trasmissione ad affascinarlo. A lui piace Luisa Corna e questo basta per fare una scelta definitiva. E’ una delle poche preferenze che ha confessato il piccolo principe. Le altre sono la passione per le canzoni napoletane da Nino D’Angelo a Gigi D’Alessio, e per le macchine. Il sogno è una Porsche.
Il gol all’Inter gli ha cambiato la vita. Un capitolo si è chiuso, quello del passato. Il lavoro in qualche ristorante per aiutare a scaricare le casse di pesce, il vagabondare nei vicoli del Borgo Antico rischiando di incamminarsi sulla strada sbagliata, le partite infinite in piazza con gli amici, la vita difficile di chi non è nato fortunato. Anche la parola “povero” è scomparsa dal vocabolario. I milioni di ingaggio sono diventati 300 l’anno e soprattutto è passato al secondo capitolo del libro, il futuro.
La Roma era entrata nella vita di Antonio attraverso una chiave che aveva scaldato di passione molti altri tifosi, Totti era diventato il nuovo idolo del principino barese. Francesco gli aveva anche regalato una maglietta. E quando il Bari era venuto all’Olimpico, Antonio aveva comprato 15 biglietti. Voleva che gli amici lo vedessero giocare sul prato dei sogni. Un mese prima era stato nella Capitale e con la Primavera aveva segnato una doppietta: rigore e gol da talento quale è, su lancio di Berardi. Anche in Serie A non si è fatto aspettare. Il gol l’ha segnato addirittura di testa, una rarità per lui. Poi è tornato nel regno di sempre a Bari, piazza Federico II di Svevia, via dell’Odegitria, la Cattedrale, il Borgo Antico. Casa.
L’annuncio non ha stupito, era atteso. Antonio Cassano, diciannove anni ancora da compiere, è della Roma per 55 miliardi e la comproprietà di D’Agostino. Al giocatore andranno 18 miliardi per un contratto quinquennale. Tutti nella Capitale: Antonio, la signora Giovanna ed Emanuele detto “il pecora” per via dei capelli non proprio lisci, l’amico fidato che dovrà aiutarlo nell’impatto con la metropoli.
Il prinicipino è in silenzio stampa, se lo rispetterà sino in fondo non rilascerà dichiarazioni fino a luglio. L’unica cosa che si lascia scappare è una frase tormentone.
«Sei felice? Io sì».
E perchè non dovrebbe esserlo. Ha reso felici una società, uno spicchio di mondo che di occasioni per gioire non ne ha avute poi tantissime. E soprattutto ha riempito di gioia gli occhi di una donna, sua madre. Ne ha viste di cose brutte nella vita la signora Giovanna, adesso è arrivato il tempo dei sorrisi.
Il bambino ha diciotto anni, ma potrebbe farsi male.
Inseguo la sua ombra all’interno della Bari Vecchia nel primo giorno del passaggio ufficiale alla Roma, parlo con la gente che lo conosce bene, che lo ha visto. Ma solo fino a un attimo prima del mio arrivo, perchè poi è scomparso nel nulla. Scappa Cassano, ha paura del nuovo, di quello che non conosce. Non vuole correre rischi, si sente braccato.
Ha bisogno di avere accanto qualcuno del clan, vuole gente che lo capisca al volo, che non gli crei trabocchetti.
«E’ un ragazzo semplice, spontaneo, genuino – racconta Onofrio, il ristorante preferito da Antonio – Non rovinatelo» mi fa. E parlando con me, parla a Roma intera.
La sera dell’annuncio ufficiale il talento barese ha festeggiato qui. Tre fette di “sorriso” in porzione speciale, una torta che ha ribattezzato così perché ha la forza di renderlo allegro. Il dolce e nulla più. Brucia calorie, è giovane, ma sa che è meglio non esagerare.
Ho inutilmente pedinato Antonio Cassano inseguendolo per tutta la città, il ragazzo è al centro di una grande favola e forse ha paura di svegliarsi. La sua prima giornata da fenomeno ha voluto viverla solo con la gente di sempre. I compagni di squadra, gli amici, Bari Vecchia. Per gli altri, ci sarà tempo.
Chiudo il mio viaggio lì dove l’ho cominciato.
Il bambino continua a sfogliare le figurine. Mi fa vedere Totti, Vieri, Kakà. E’ una sorta di ingenuo calcio mercato. La maestra mi mostra una vecchia foto di classe. Antonio Cassano è il primo della fila in alto a destra. Ha la faccia da furbetto, sembra stia pensando ad uno dei suoi scherzi terribili. La signora Anna Maria sorride.
«Lui sapeva già tutto», mi fa.
Vado via lasciando il ragazzino con i suoi amichetti, per loro quei tipi lì sono ancora solo figurine. Prima o poi qualcuno racconterà anche a lui la favola di un bambino di Borgo Vecchio diventato campione.