Anno 2001, vigilia del Mondiale. Assieme a Paolo Scalera continuavo a girare l’Italia per raccontare agli innamorati della moto i loro eroi. Avevamo incontrato Max Biaggi in un bar che frequentava con tanta assiduità che potevi pensare fosse il suo ufficio. Questa è l’intervista che gli ho fatto in un freddo pomeriggio romano. Resiste nel tempo. E il merito è tutto suo.
HA l’aria più serena del solito Biaggi, è come se finalmente avesse messo in ordine ogni cosa. Si racconta con meno freni del solito, lanciandosi nella chiacchierata come fa quando è sulla moto. Aggressivo, ma sempre totalmente razionale.
Max, c’è un desiderio che vorresti fosse esaudito, oltre quello di vincere il mondiale?
«Al momento direi di no. Di sogni è meglio averne uno per volta. Atrimenti quelli che hai prima dell’ultimo perdono importanza. Il desiderio deve essere ambizioso, importante, ma realizzabile.»
Come quello di guidare una Formula 1?
«Chissà. Tifo Ferrari da sempre. L’unico che poteva deviare il mio amore per la rossa era Ayrton Senna: un mito, qualcosa di unico. Adesso che ci penso, un sogno l’avevo: Senna su una Ferrari, sarebbe stato davvero fantastico.»
E il sogno legato alla Roma?
«Il momento si avvicina, ma per festeggiare aspettiamo l’ultima partita.»
Cambieresti la possibilità di conquistare un titolo nel mondiale con quella di giocare nella Roma dello scudetto?
«Sì. Per la felicità di tutti i romanisti, per Roma che amo in modo particolare, per come i romani vivono il calcio. Per un anno lascerei il motomondiale e mi toglierei lo sfizio dello scudetto in giallorosso. Un anno in prestito, poi tornerei sulla mia 500.»
Che sensazioni regala la vittoria del motomondiale?
«E’ la cosa più bella che possa capitare a chi ha fatto di questo sport tutta la sua vita. Anche se Agostini è imprendibile con tutti quei titoli che ha vinto, sono orgoglioso di essere il primo italiano dopo di lui.»
Raccontaci, come si sta in sella ad una 500?
«E’ un cavallo di razza che corre veloce, ma ogni tanto va più veloce di quello che ti aspetti e se non stai attento ti sbalza giù in un attimo. Se volessi dare un’idea più precisa ad un profano, gli direi di immaginare le prestazioni di una Formula Uno con due ruote. Sulla pista del Mugello la Ferrari e la mia 500 come velocità di punta erano separate solo da qualche chilometro. E’ chiaro: la quattro ruote fa la curva più veloce, ma se dividi le frazioni uscita curva e metà rettilineo la velocità è simile. Senti che la moto sprigiona un’energia da ogni sua componente: dalle fibre di carbonio, attraverso la sella, la carenatura. Tutta quella potenza arriva fino a te. E magnifico!»
Cosa ti dà fastidio nel mondo delle moto?
«Le voci, il falso, chi vuole ritagliarsi addosso un personaggio che non è il suo. Alla fine, la verità salta fuori. Chi si costruisce un modello finto viene scoperto e quando questo accade, tutto quello che hai fatto non ha più il peso di prima. Farsi scoprire è una grande delusione, soprattutto per i propri tifosi.»
Il rivale in pista è un nemico?
«Certo. Se non riuscissi a vederlo così, difficilmente riuscirei a mettergli le ruote davanti.»
Sai perdonare?
«Se può perdonare Dio, abbiamo il dovere di farlo tutti noi. Ma, devo essere sincero: se mi hanno fatto una cattiveria grossa, non mi sento di dire così su due piedi che sarei pronto a perdonare»
Quale è il tuo vizio più grande?
«Il cellulare. Non vivo senza, ovunque vada devo averne uno che funziona.»
Quanto paghi di bolletta?
«Tre milioni al mese. Tanto eh?»
Altre manie?
«Curo molto la preparazione atletica. Non mi sono mai preparato bene come stavolta. L’anno scorso, purtroppo, l’incidente di Valencia con un buco di cinque centimetri agli adduttori, mi ha bloccato. Sentivo un dolore pazzesco, era impossibile guidare. Ero triste, amareggiato, mi sentivo come uno che vuole sfidare Tyson a mani nude. Sai già come andrà a finire. Quest’anno sono stato fortunato, ho fatto un passo avanti rispetto al passato. Ho costruito una palestra sulla terrazza della mia casa di Montecarlo: tapis rullant 2.20×90, solo quello costa 14 milioni, e poi bicicletta, manubrio, panca, bilancere. Non manca nulla.»
Hai parlato di dolore, cosa permette a un motociclista di sopportarlo?
«La voglia di vincere è più grande del dolore. Nel ’97 mi sono rotto la clavicola il venerdì. Al sabato non ho girato, la domenica ho provato a fare la gara, tutti mi davano per spacciato. Mi sono fatto rimettere la clavicola nella sua sede naturale, mi sono bendato, ho fatto 52 iniezioni e sono andato in pista. Ho chiuso settimo e con quei punti ho vinto il mondiale. Mi sono rotto il polso destro in Inghilterra, ma ho vinto ugualmente. Solo l’incidente di Valencia mi ha frenato. La gamba è un punto chiave, non riesci a guidare, la moto non gira. E poi io non voglio più fare iniezioni. Preferisco essere lucido. Il dolore riesco a sopportarlo bene, credo sia una dote naturale.»
C’è un’occasione che rimpiangi di non avere preso al volo?
«Non dico che nella vita ci si debba accontentare, ma devo avere almeno il buonsenso di ammettere che nei miei panni sono molti quelli che si troverebbero bene. Mi reputo uno fortunato.»
C’è qualcuno a cui devi un po’ di questa fortuna?
«A mio padre, a mia cugina Fiorella, a un fratello di mio padre: uno zio che da ragazzo ho sempre ammirato ed ho preso anche da esempio.»
Hai un ricordo d’infanzia più forti degli altri?
«Da sei a quindici anni ho fatto il boy scout. Ogni volta che andavamo al campo c’era da organizzarsi: montare la tenda, fare il canalino attorno al perimetro della tenda, fare cambusa. Dovevi riconoscere gli ordini impartiti in codice Morse dal fischietto del capo. E’ stato un periodo molto bello e istruttivo. Avevamo la sede dentro la chiesa. Sono cattolico, credente, anche se non più assiduo frequentatore della Messa. Penso che Colui che ci ascolta, possa farlo in una chiesa come in qualsiasi altro posto.»
Da bambino quale era il tuo giocattolo preferito?
«Adoravo lo skateboard. Il primo me lo hanno regalato a Natale, era tutto americaneggiante, con la bandiera Usa disegnata su. Andavamo al Pincio, mettevamo le lattine in fila e poi dovevamo fare lo slalom. Passavo delle ore assieme agli amici.»
Quanti di quegli amici sono ancora con te?
«Quasi tutti, con mia grande soddisfazione. Li chiamo da qualsiasi parte del mondo io mi trovi. Ogni tanto organizzo una rimpatriata, l’anno scorso ho affittato un aereo da venti posti, li ho caricati su e li ho fatti venire a Brno. C’erano tutti: Riccardo, Vincenzo, Frizzi, la ragazza, due del mio Fan Club, mia cugina, mio padre, mio zio. E’ un modo per sentirli vicini. Gli amori vanno e vengono, anche il denaro può andare e venire. L’amicizia rimane sempre. Vivo in un mondo in cui devi imparare a sopportare anche la finzione. Faccio fatica a riuscirci. E’ per questo che chi mi incontra, si trova davanti due persone diverse. La prima è diffidente, chiusa, in difesa. Vuole capire perchè sei lì. Ma se mi accorgo che non ci sono doppie intenzioni e che l’incontro è sincero, mi apro totalmente e scopro l’altro Max. Purtroppo nel mondo della moto trovare una persona sincera è molto difficile. Così preferisco stare e fare da solo, anche se tutto questo brucia sulla mia pelle.»