Breheme e i calciatori in bancarotta

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ANDREAS Breheme è solo l’ultimo caso di una lunga serie.

Ha giocato nella grande Inter di Trapattoni, è stato una delle colonne del Bayern, ha segnato il rigore che ha regalato alla Germania la Coppa del Mondo a Italia ’90.

Ha guadagnato milioni di euro.

Il 9 dicembre dovrà presentarsi davanti a un tribunale di Monaco per rispondere di bancarotta. Ha chiesto prestiti per 345.000 euro, ne deve ancora restituire poco meno di 200.000.

Investimenti falliti, una disastrosa gestione commerciale, mancanza di un lavoro fisso negli ultimi nove anni. Divorzio e alimenti alla moglie Pilar, la loro storia è finita nel 2010. Ipoteca di 400.000 dollari sulla loro villa di Monaco.

È il riassunto di una serie di disastri finanziari.

Franz Beckenbauer ha chiesto aiuto per lui, un eroe del calcio tedesco.

Ha risposto solo Oliver Straube, giocatore del SpVgg Unterhaching quando Breheme ne era team manager dieci anni fa.

Posso offrirgli un posto nella mia ditta che si occupa della pulizia degli impianti igienici. Dovrà imparare che le cose che veramente contano sono il lavoro e la vita reale. Per me questo è un aiuto.”

Non so se l’ex terzino goleador accetterà.

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Per rimediare soldi si è esibito in un reality televisivo. Uno di quei programmi in cui mandano alcuni personaggi nella giungla senza cibo né assistenza e li obbligano a superare prove tipo mangiare genitali di animali, entrare nudi in grotte piene di insetti e di topi.

Quella dei calciatori ricchi e famosi che si rovinano dopo il ritiro dall’attività è un problema molto diffuso.

Il sindacato dei giocatori professionisti tedeschi ha pubblicato una statistica secondo cui il 75% dei calciatori una volta smesso di giocare non sa guadagnarsi da vivere al di fuori del loro sport.

La XPro, l’associazione che tutela gli ex giocatori inglesi, afferma che il 60% dei calciatori ha problemi finanziari entro cinque anni dal ritiro. Il 20% finisce in bancarotta, il 33% divorzia.

Le abitudini dispendiose del periodo in cui sono in attività non vengono abbandonate quando smettono di giocare e non hanno più altre fonti di reddito fresco, lo stile di vita diventa così superiore alle loro possibilità. Ma non è solo questo a provocare disastri.

Gli investimenti a rischio e la voglia di pagare meno tasse sono le due principali cause dei dissesti.

In Premier League nel 1992, anno in cui è nata, lo stipendio medio annuo era di 77.000 sterline. Oggi gira attorno a 1,3 milioni di sterline.

Tutti questi soldi in mano a giovani ragazzi trasformano il calciatore in un obiettivo da sfruttare per procuratori di affari senza scrupoli.

I calciatori, non solo in Inghilterra ma anche nel resto del mondo, vivono di calcio e bella vita sin da giovanissimi. Una larghissima percentuale non sa nulla di finanza e si fida della prima persona che si propone di moltiplicare i suoi soldi o magari di fargli pagare meno tasse.

La conclusione in molti di questi casi è disastrosa.

Se a questo aggiungete i problemi legati al divorzio, e il conseguente esoso esborso di alimenti, vi accorgerete che non è così facile fallire velocemente.

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In un mondo in cui la soglia della povertà è stata sfondata più volte in basso, in una società in cui la disoccupazione giovanile avanza galoppando e in Italia arriva a superare il 40%, in un universo del lavoro che non riesce a proporre panorami che ispirino un minimo di ottimismo, il calciatore che finisce rovinato non può raccogliere certo pietà.

Ma penso che sarebbe un errore mettere via il problema con una scrollata di spalle. Non è il singolo caso, non è il fatto in sé a destare apprensione. Ma il problema nella sua totalità. Il peso sociale che ha e la filosofia di vita che l’ha generato dovrebbero indurci perlomeno a qualche riflessione.

Viviamo in una società che azzera i valori positivi.

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Guadagnare in fretta, senza curarsi troppo di quello che si lascia per strada è l’unico obiettivo che una grandissima percentuale di giovani si pone. Si arriva al successo, quando non si finisce prima travolti dai propri sogni, privi di qualsiasi scudo. Strappati alle famiglie in giovanissima età, poco attenti allo studio, fuori dalla realtà dei comuni esseri mortali, i calciatori vivono in un universo parallelo. Quando smettono piombano nella vita di tutti i giorni e scoprono che per andare avanti non basta prendere a calci un pallone.

Il caso Breheme è solo l’ultimo di una lunghissima lista. Ci dobbiamo chiedere in quale società siamo finiti se il sogno di una ragazza è fare la velina e quello di un bambino è diventare calciatore.

Guadagnano milioni, poi arriva un agente finanziario disonesto e il mondo diventa improvvisamente buio.

Le piaghe sociali sono altre, lo so. Ma non posso essere d’accordo con chi archivia il problema con un insulto o con un articolo pieno solo di nostalgia.

 

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