UN MARCHIGIANO non sposato, un uomo di 40 anni con un figlio, una bella villa ad Ascoli Piceno e una bacheca piena di titoli mondiali.
Romano Fenati si vede così nell’anno di grazia 2036, lo ha raccontato al giornalista di Panorama che lo intervistava.
Di lui Valentino dice che “Guida con una semplicità disarmante, come se fosse tutto facile.”
Il diciottenne marchigiano è il futuro del motociclismo italiano, la grande speranza. In pista sa farsi amare dai tifosi e odiare dai rivali. Non molla di un centimetro, non si tira mai indietro. È un concentrato di energia con quel fisico compatto e tanta grinta. Non a caso lo chiamano “cinghialetto”.
Corre in Moto 3, quella che una volta era la 125, per Sky Team VR46. Non mi dilungo sul significato della sigla, sin troppo evidente.
Valentino è il boss, ma anche l’idolo, il consigliere. Gli ha spiegato un segreto fondamentale per avere successo. In pista si vince con la testa, più che con il coraggio o la tecnica. La scuola della Federmoto gli ha insegnato il resto, mettendogli tutto a disposizione compreso uno psicologo che lo ha istruito su come trasformare il negativo in positivo. Miracoli della mente, appunto.
Romano ha scoperto subito il lato avventuroso del motociclismo.
Ricordo che nel corso di un’intervista a Damon Hill, campione del mondo di Formula 1 e grande appassionato di moto, ero rimasto affascinato dalla risposta ad una mia semplice domanda.
-Quali sono le differenze per un pilota alla guida di una F.1 o di una moto?
“Quando sei sulle due ruote senti il vento, sei un’unica cosa con il mezzo, affronti le curve con l’intero corpo. Sei davvero protagonista della tua avventura. Un’emozione unica che la F.1 non riesce a darti sino in fondo.”
Tutto questo Fenati l’ha capito immediatamente.
A livello inconscio oserei dire che l’ha capito addirittura la prima volta che è salito su una moto. A quattro anni, quando il nonno, con il suo stesso nome, l’ha portato sulla pista di Giulianova provocando la disperazione della mamma.
“Siete due pazzi!”
Sabrina voleva che il figliolo, una volta cresciuto, prendesse in mano una racchetta e si divertisse con il tennis. Non certo che rischiasse di fracassarsi le ossa correndo su due ruote.
Ma alla passione non si comanda.
Primo tentativo dunque a quattro anni.
Prima gara ufficiale a 7.
Primo incidente a 8, clavicola sinistra fratturata.
Sarebbero seguite le rotture dell’altra clavicola, polsi, braccia, dita.
La mamma avrebbe continuato a disperarsi e lui a consolarla, promettendole che sarebbe stato più prudente.
Adesso, a 18 anni, è protagonista in Moto3.
Domenica ha vinto ad Alcaniz dopo avere chiuso al diciannovesimo posto il primo giro. Insegue il sogno della Moto GP, anche se lui a domanda risponde: “Il mio sogno? Vincere più mondiali.”
Capito il soggetto?
L’anno di grazia è stato il 2012, che è stata anche la stagione di qualche rimpianto. Eccitante a Jerez, deludente in Malesia. Esordio da paura con un secondo posto in Qatar, secondo capitolo da sballo con una netta vittoria in Spagna. Poi la chiusura del mondiale sul sesto gradino.
Regala emozioni il giovanotto.
Se gli chiedi quale sia il suo difetto più grande, non sta a pensarci su e confessa con un mezzo sorriso: “Do in escandescenze con una velocità eccessiva.” Più di quella con cui ingaggia un duello col nemico di turno.
In moto è fuggito da quello che era il mestiere di famiglia. Se non le corse non gli avessero dato una mano oggi dividerebbe gli studi al Liceo Linguistico di San Benedetto del Tronto con un turno di lavoro nel negozio di ferramente della mamma.
Un tipo precoce. A due anni la prima impennata con una minibici.
Un Derbi Gpr 50 la prima moto: presa e modificata, era il cinquantino più veloce di Ascoli.
A 15 la prima volta in amore.
In pista non ha paura, ma quando sale su un aereo non è che sia proprio sereno. E se arriva una turbolenza allora cominciano le preoccupazioni.
Come lo capisco…
Ha da qualche mese una ragazza, va in discoteca, si diverte quando può con skateboard e snowoboard. La musica gli piace d’annata: Pink Floyd e Gun’s N’ Roses. Vorrebbe imparare a suonare la chitarra, per ora riesce a mettere assieme qualche accordo. Promette di migliorare.
Caviale e champagne?
No, preferisce pennette all’arrabbiata e acqua. L’unica cosa a cui non può proprio rinunciare a tavola.
Gareggia con il numero 5. Una scelta nata dall’amicizia con Michael, anche lui pilota con le Junior GP, che ha dovuto rinunciare al mondo delle corse per un infortunio. Correva con il 5.
Cinghialetto dunque come soprannome principale. Ma c’è anche Fenny. A dire la verità non gli piaceva proprio, diceva che gli ricordava un nome femminile. Ma un giornalista televisivo l’ha detto in telecronaca ed è diventato così ufficiale da essere quello del suo sito FennyFive.
Un giovanotto simpatico, un lottatore sui ring d’asfalto, un talento delle due ruote.
“Prima o poi un fenomeno doveva pure uscire.”
L’ultima parola è ovviamente del Dottore, impossibile fare obiezioni.