
Il ring è un teatro, la rappresentazione che si svolge su quel palcoscenico è sempre drammatica. E stato così anche stavolta. Un mondiale massimi con una doppia chiave di lettura. Si dirà che Derek Chisiora ha avuto grande coraggio. Sul ring l’uomo che non riesce a gestire il coraggio con la giusta dose di paura, paga un pegno troppo alto. Sembrerà un paradosso, non credo lo sia.
Sessantaseimila persone hanno visto Tyson Fury martellare di colpi lo sfidante. Ha piazzato un’infinità di montanti, lo ha centrato con decine di ganci, ha infilato diretti da fargli girare la testa. Ogni volta che la campanella segnava la fine della ripresa, il campione tornava all’angolo senza avere il minimo dubbio, se non la preoccupazione di fare troppo male a un amico.
L’altro, Derek il guerriero, camminava verso lo sgabello malfermo sulle gambe, si sedeva e la sua faccia rivelava quello che aveva dentro. Un’infinita tristezza, un dolore che cresceva ogni minuto di più, la preoccupazione per l’occhio destro che cominciava a chiudersi, la consapevolezza che i suoi colpi non scuotevano il campione. Tutto questo messo assieme non bastava però a farlo rinunciare.
All’angolo di Fury una sola persona non riusciva a rasserenarsi. Paris, la moglie, aveva lo sguardo carico di tensione. Non muoveva un solo muscolo della faccia, non esultava quando il marito andava a segno, quando centrava una combinazione da applausi. Anche lei non vedeva l’ora che il dramma arrivasse all’ultimo atto, aspettava che calasse il sipario e chiudesse così la rappresentazione.
Ma Chisora continuava a venire avanti. Anche adesso che, dopo nove riprese, Fury aveva trasformato il suo corpo in una sorta di punching ball umano. Testa bassa, messa lì quasi a fare da bersaglio ai montanti dell’altro, e pochi passettini in avanti. Voleva la corta distanza, voleva agganciare il rivale. Ma quello lo stoppava con il jab, lo puniva con gli uppercut.
In platea, a bordo ring Olexander Usyk guardava attento, mi sembrava un tantino preoccupato. Poi si accorgeva della telecamera, sbarrava gli occhi di fuoco, ma non pronunciava una parola.
Alla fine di quella nona ripresa il dramma si prendeva un attimo di tregua. L’arbitro scozzese Victor Laughlin si avviava a piccoli passi verso l’angolo di Chisora. Chiedeva al coach e al pugile se pensassero di finirla lì. Non se ne parlava, Derek non è tipo da arrendersi.
Ci pensava l’arbitro a interrompere il martirio.
Dopo 2:51 della decima ripresa finalmente si poteva allentare la tensione.
Tyson Fury ha vinto. E un gigante di 2.06 per oltre 120 chili di peso. Quando si appoggia al rivale e come se un armadio a quattro ante ti stia cadendo addosso. Quando danza sulle punte, tremi in attesa che parta. E quando lo fa capisci perché oggi nella categoria c’è un uomo solo al comando. Il suo nome è Tyson Fury.
Oleksandr Usyk, Joe Joyce? Chiunque ci provi partirà da sfavorito. Potrà giocarsi le sue occasioni, ma partirà da sfavorito. Non ci voleva un rivale della caratura di Chisora per capirlo. Lo sapevo da tempo.
RISULTATI – Massimi (mondiale WBC) Tyson Fury (33-0-1; 121,900 kg) b Derek Chisora (33-13-0; 118,300 kg) kot dopo 2:51 della decima ripresa; (mondiale WBA) Daniel Dubois (19-1-0; 109 kg) b Kevin Lerena (28-2-0) kot dopo 2:59 del terzo round; 104,800 kg); leggeri (europeo) Denys Berinchyk (17-0, 61.120 kg) b Yvan Mendy (47-6-1; 61,050 kg) UD 12 (117-112, 116-112, 115-112) UD 12; mediomassimi: Karol Itauma (9-0, 7 ko; 80,330 kg) b Vladimir Belujsky (12-6-1; 80,100 kg) kot dopo 1:18 dell’ottavo round; superpiuma: Isaac Lowe (22-2-3) b Sandeep Singh Bhatti (8-5-0) p. 6; Royston Barney Smith (4-0) b. Cruz Perez (3-4-0) kot dopo 1:58 del primo round.
