Matteo Signani si racconta. L’anima del Giaguaro in dieci risposte

Il gancio sinistro con cui Matteo Signani ha messo ko Anderson Prestot, e riconquistato l’europeo dei medi, è stato uno spartiacque. Ha diviso i sogni dalla realtà. Il romagnolo ci ha restituito emozioni dai sapori antichi, nella tradizione di quei pugili che sul ring vanno avanti come bulldozer a caccia della felicità. Che è lì, quando arriva la conferma che sei stato tu il più bravo. Ho intervistato Matteo molte volte. Ho così pensato di selezionare dieci (mie) domande e altrettante (sue) risposte. Una sorta di punti chiave che ricordassero a chi gli vuole bene, a chi lo ammira e a chi (ci saranno anche loro?) lo detesta, il Signani pensiero. Il momento è arrivato, la magia di venerdì notte a Savignano sul Rubicone me lo ha fatto capire.

Il 18 marzo eri in Francia per la difesa dell’europeo medi contro Prestot. La mattina dell’incontro un ascesso ti ha costretto a rinviare la sfida. Come ti sei sentito in quel momento?
“Mi veniva da piangere. Mi tornavano in mente le ore passate in palestra, le privazioni a tavola, la tensione accumulata. Lo sconforto mi è preso quando ho capito che non c’era niente al mondo che potesse cambiare quella realtà. Per superare un momento davvero difficile sotto il profilo psicologico, bisogna essere atleti dentro”.
Oscar Wilde diceva: Amare sé stessi è l’inizio di una storia d’amore lunga tutta una vita. Potrebbe adattarsi all’occasione.
“Certo. Devi volerti bene per affrontare una vita da combattente. Puoi dire di essere un pugile se ti comporti come tale in ogni momento della tua esistenza. Non per un paio di mesi, ma ogni giorno dell’anno. Tutto questo ti aiuta psicologicamente. Sai che potrai concederti un brevissimo stop, ma dopo dovrai essere pronto a riprendere il cammino. È così che deve ragionare un pugile”.
È un po’ quello che dice il tuo motto.
“Le parole chiave della mia vita sono sangue, sudore e gloria. Credo riassumano il pugilato. Mi sono venute in mente un giorno, in palestra, durante la preparazione. Sputavo sangue, ero un bagno di sudore, ma in fondo alla strada vedevo la gloria. Allora mi sono sentito felice e ho pensato che la boxe era proprio uno sport magnifico. Perché senza sacrificio non c’è gloria. Sarebbe bello se tutti lo capissero, anche nella vita quotidiana”.
Dici spesso di preferire gli animali agli uomini. Scherzi, vero?
“Un po’ sì, ma non tanto. Mi succede soprattutto quando leggo quello che postano sui social. Basta che parli uno e tutti gli vanno dietro. Usano parole che sono più violente dei pugni, non hanno rispetto per nessuno. Andiamo sempre peggio, mi sto convincendo che siamo una razza in via di estinzione. E la discesa è cominciata da un bel po’. Vengo da una famiglia di montagna. Ho pochi amici veri, più altri amici. Ho una famiglia d’oro. Quando vedo che litigano tra fratelli, tra genitori, non riesco a capire come possa accadere. Il babbo e la mamma ci hanno dato i giusti punti di riferimento, i valori importanti. L’umanità mi piace sempre meno. Adoro gli animali. A loro non importa se sei ricco, povero, famoso o sconosciuto, campione d’Europa o novizio. Sono fantastici. I miei animali moriranno di vecchiaia. Se dovessi scegliere tra un cane e una persona ci dovrei pensare due volte (ride). Credo che il rispetto e l’amore per gli animali in genere, aiuterebbe l’umanità. I bambini andrebbero educati in questo senso. Quando stacco dal lavoro o dagli allenamenti e torno a casa, ritrovo la pace dei sensi. Gli animali ti danno un amore incondizionato”.
Perché ti piace così tanto la boxe?
“È lo sport più bello del mondo. Mi ha insegnato a rispettare il corpo. Sacrifici, sacrifici, sacrifici. Solo io e chi mi sta vicino sappiamo quanto devo soffrire prima di sentirmi soddisfatto. Spero che questa voglia, queste capacità resistano a lungo. Ma voi sapete quanto dolore deve sopportare un pugile per sostenere un match? Mi piacerebbe portarvi in palestra a vedere sudore e lacrime quotidiane, farvi venire con me in cucina e guardarmi mentre rispetto una dieta ferrea che dura da una vita. Amo la boxe, la gioia che mi regala. Ogni volta che entro in palestra mi sento come un bambino in una sala giochi. Questa emozione sul ring diventa la mia forza, il mio carburante. Sentire la gente che mi ringrazia per essere riuscito a commuoverli, a farli piangere di gioia, mi regala un entusiasmo infinito. Quando ho vinto in Francia, mi hanno chiamato subito la mamma e il papà. Lui è un signore all’antica, stavolta si è commosso. E questo mi ha reso una persona felice. È lo sport più bello del mondo”.
Come si fa ad amare la sofferenza, i sacrifici, ad andare incontro al dolore?
“Faccio una vita da monaco, anzi i monaci mi fanno un baffo. Torno a casa, mangio qualcosa, me ne sto con le mie belve. Poi vado a dormire, il giorno dopo sono più fresco del giorno prima. Sono un solitario, come tutti quelli che fanno la boxe. Quando un pugile comincia, dovrebbe sapere quale sarà la vita a cui sta andando incontro. A me piace, rifarei tutto quello che ho fatto. Non cambierei nulla. Sto bene, non mi manca niente. Posso dire di essere una persona fortunata. Ho visto realizzarsi i miei sogni di bambino. Ho un lavoro che amo. Faccio uno sport che amo ancora di più. Sono arrivato dove speravo”.
Anche i pugili hanno paura?
“Ci penso spesso, ma dirlo mi crea un attimo di panico. Fatico a non piangere. Sì c’è una cosa che mi fa davvero paura nella boxe. È il momento in cui dovrò smettere, Ci penso e tremo. Dura un attimo. Poi rivedo le vittorie europee e tutto passa. Ogni cosa ha un inizio e una fine. Non so quanto durerà ancora questa avventura, lasciatemela godere finché sono in cima”.
È l’unica paura da affrontare?
“No. C’è un’altra paura. Arriva alla vigilia di ogni sfida importante, quando sale la tensione. Con il tempo sono riuscito a sfruttare questa emozione, a incanalarla per trarne vantaggio. Arriva quando salgo sul ring. Deve essere così, perché quello stato emotivo migliora le mie doti. Aumenta l’attenzione, la concentrazione, mi rende prudente. Tensione e paura sono armi che sfrutto a mio favore, ne prendo i lati positivi. All’inizio non era così, ci sono voluti anni per arrivare a questo”.
Ecco, l’età. Sei un over 40 e non c’è giorno che qualcuno, parlando di boxe, non te lo ricordi. Ti scoccia?
“Beh, a dire la verità un po’ mi sta sulle palle. Anche perché mi sento in forma come non mai. Non è che uno sportivo, arrivato a quest’età, sia da buttare via. Più vado avanti e più sto meglio. Mi sembra di tornare indietro nel tempo, fra un po’ mi diranno che per entrare in palestra dovrò mostrare il consenso firmato dai genitori. Mi sento come Benjamin Button. Lo strano caso del Giaguaro… Quando sono solo in casa, mi faccio delle domande: Matteo, sei arrivato fino a qui, hai fatto tanti sacrifici, sofferto tante privazioni, perché buttare via tutto? Lo sai, non è che quello che guadagni ti possa cambiare la vita. Devo lavorare per andare avanti. E anche qui sono stato fortunato. Non avrei potuto fare quello che ho fatto senza la Guardia Costiera. È la mia forza, mi permette di fare quello che amo di più nella vita. Il pugilato. Io li ripago con le vittorie, il titolo europeo dei pesi medi e la dedizione sul lavoro. È un rapporto che va alla grande. Noi pugili non guadagneremo milioni di euro, ma le soddisfazioni sono enormi. Quando ti alzano il braccio a fine match, capisci che ogni minuto di sofferenza ha appena avuto la sua ricompensa”.
E poi ci sono le manifestazioni d’affetto dei tifosi, anche quelle riempiono il cuore. Non è così?
“A volte mi fermano per strada e mi dicono: Sei Matteo Signani, vero? Possiamo fare una foto? È a quel punto che mi gonfio tutto, pieno di orgoglio. Il petto sembra stia per esplodere. Poi, il signore a fianco di quello che ha chiesto una foto, dice: Matteo chi? È a quel punto che mi sgonfio…”

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