
Eugene, Oregon, 19 luglio 2022
Hayward Field Stadium, esterno sera
L’uomo, in alto sulle gradinate, ha un cappellino con la visiera leggermente calata sugli occhiali da vista. I suoi capelli sono grigi. Sta parlando al microfono come fa in molti stadi del mondo, è la voce dell’impianto di Eugene 2022 fin dall’inizio della rassegna. Un ex maratoneta di 61 anni che racconta le imprese dei campioni da un paio di decenni. Il suo nome è Geoff.
“Duecentocinquanta metri al traguardo, Jake Wightman aumenta l’andatura, supera il norvegese Ingebbrigtsen, prende la testa della corsa…”
Una signora, capelli corti e ricci, esile ma con una grande carica nervosa da sfogare, urla senza sosta. Ha una bandiera britannica tra le mani, la stringe, la stropiccia, è tentata di alzarla sopra la testa, ma resiste. Il suo nome è Susan.
“Sì, sììì. Sìììììì!”
In pista un giovane di 28 anni sembra correre dentro un sogno.
Per la Gran Bretagna, Steve Cram è stato l’ultimo a vincere un campionato del mondo sui 1500 metri. Era il 1983. Seb Coe l’ultimo oro importante, a Los Angeles ‘84.
Lui si chiama Jack e corre come se non ci fosse un domani. Nessuno pensava potesse andare così forte. Non lo pensava neppure la federazione britannica che gli ha prenotato il volo di ritorno per oggi, un’ora dopo la cerimonia di premiazione della gara.
Corri Jake, corri.
Sul rettilineo finale Jakob Ingebbrigtsen, il grande favorito, lancia l’ultimo attacco.
Ci prova, sembra che… no, non ce la fa.
Jake taglia il traguardo, spalanca gli occhi, apre la bocca e urla.
“Oh my God!”
Il norvegese è secondo, ha gli occhi chiusi, sul suo volto è dipinta l’immagine della sconfitta.
Le telecamere dell’Hayward Field Stadium staccano dal vincitore, adesso l’obiettivo inquadra l’annunciatore e trasmette quell’immagine sul grande schermo dell’impianto.
Ha commentato gli ultimi metri stando in piedi, le mani dietro la schiena. Appena dopo l’arrivo un amico si è congratulato con lui.
Geoff si siede, poggia la testa sul tavolino. Dura un attimo, poi si tira su.
“Ora vi spiego perché la camera mi sta inquadrando. Jake Whigtman ha fatto la gara della vita, è mio figlio, io lo alleno. E ha vinto il campionato del mondo”.
La signora salta, sventola la bandiera britannica, urla la sua felicità. Poi, corre verso il marito. Susan è la mamma di Jake e sta piangendo di gioia.
Lui continua a scuotere la testa, a sbarrare gli occhi, sembra non credere a quello che è stato capace di fare. Vede il papà sul grande schermo.
“No, non ho sentito la sua voce. In quel momento dovevo conservare ogni stilla di energia per resistere e fare quello che nessuno pensava potessi fare. Papà quando lavora sembra non emozionarsi mai, dice che lo fa per essere imparziale, per raccontare le gare di tutti senza parteggiare per nessuno. Qualcuno lo chiama Robot. Spero che stavolta una po’ di emozione l’abbia provata”.
Se l’ha fatto, dice un testimone, l’ha mascherata bene.
Geoff ci scherza su.
“Quando l’ho visto andare in testa, ho pensato: conosco quel ragazzo, ha una faccia familiare”.
Imparziale fino all’ultimo, professionalità salva.
Ma non ha la sua solita voce distaccata, quando mezz’ora dopo chiama sul podio (nella premiazione anticipata a ieri sera, per salvare il volo di ritorno di Jake a casa) il campione del mondo.
“Medaglia d’oro, in rappresentanza della Gran Bretagna e Nord Irlanda, Jake Wightman”.
Poi, finalmente, Geoff, Susan e Jack posano per una foto ricordo sul campo dei miracoli…
La sceneggiatura della storia è mia. Le informazioni sulla finale maschile dei 1500 metri ai Mondiali di Eugene 2022, le ho lette in gran parte su The Guardian.