
Un giochino estivo per appassionati. Niente fantasy match, non mi sono mai piaciuti. Un incontro vero, duro, spietato, drammatico. Due pugili in incognito, non li nomino mai e non sono quelli nella foto. Racconto il loro combattimento chiamandoli il Nostro Amico e l’Altro. Non credo che per questo il racconto perda la sua tensione emotiva. A chi avrà la pazienza di leggerlo, chiedo di provare a indovinare i nomi dei protagonisti. Buon divertimento…
Il Nostro Amico è scarmigliato, generoso, devoto a santa madre fatica, tutto cuore e rabbia agonistica. Uno a cui non sta mai bene niente. E questo a molti non piace, perché lui è così anche fuori dal ring. Tutta sostanza e poca diplomazia. Si fatica a entrarci in sintonia.
E adesso che sta arrivando l’Altro, si sentono voci di dissenso che presentano lo sfidante come una vittima sacrificale. L’Altro è quello che ha distrutto un francese che minacciava sfracelli, lui l’ha messo ko in sei round.
La trattativa con il manager dell’Altro è stata difficile. Alla fine hanno avuto quel che chiedevano. Quel manager lì raramente perde la calma. Ha tatto e cultura. Parla inglese, francese, spagnolo e portoghese. Ha contatti ovunque. Stavolta si è battuto più che in altre occasioni perché crede fortemente nelle qualità del suo pugile.
«È dotato di un fisico fantastico e di una scelta di tempo eccezionale, pur non essendo velocissimo. Ha pareggiato con uno dei migliori sulla piazza».
Palasport esaurito. Un successone.
Quando l’Altro combatte in casa i suoi tifosi si stringono attorno al ring e tifano da pazzi per lui. C’erano venticinquemila persone allo stadio il giorno in cui, sotto una leggera pioggia, ha pareggiato contro un rivale di grande rispetto, in palio il titolo italiano dei welter. I ragazzi avevano scavalcato i muri di cinta per vederlo combattere. Non avevano i soldi per il biglietto e si dovevano arrangiare. C’erano trentamila spettatori quando ha perso ai punti in 15 riprese contro un fuoriclasse del ring, l’unico capace di mandarlo al tappeto da professionista.
Sopracciglia folte, sorriso contagioso, fisico robusto. E sul quadrato grande ritmo, ottima scelta di tempo, resistenza ai colpi e pugno pesante. Un avversario davvero pericoloso. È pronto per la grande sfida.Quello contro il Nostro Amico è un incontro feroce, sfiancante, a tratti crudele.Sembra si stiano battendo per la loro stessa vita. I colpi girati sono le loro armi migliori. Ganci e montanti, al mento e al corpo, sparati in successione.
Guardi il Nostro Amico e vedi che avanza cercando un continuo contatto fisico, deve picchiare senza sosta per succhiare energie al combattimento. A chi lo osserva per la prima volta, la sua potrà sembrare una tattica scriteriata. In realtà è il solo modo di battersi che conosca, il pugilato per lui è questo. Una battaglia dove dare tutto in ogni secondo dell’incontro. Un corpo a corpo in cui ognuno di quei colpi corti potrebbe risultare decisivo. Una metodica opera di demolizione che richiede coraggio, fisicità e preparazione.
Davanti alla solida difesa dell’Altro, il Nostro Amico fatica a trovare il pugno risolutore e spesso si fa portare fuori strada sino a mancare il bersaglio.
Guadagna un discreto vantaggio nelle riprese iniziali, poi subisce quando il match va oltre la metà della distanza prevista. Nel finale consolida la supremazia, anche se l’Altro è sempre pericoloso, pronto a replicare in ogni momento.
Quando suona il gong che annuncia la fine della quattordicesima ripresa, all’angolo del Nostro Amico si dannano l’anima per convincerlo a violentare la sua indole, a farsi prudente.
«O’ ganzo, sei avanti di almeno tre punti. Non rischiare».
Il coach ci prova, ma non sembra ottenere risultati apparenti.
«Un colpo e via, un colpo e via. Niente bagarre» urla il manager.
Tutto attorno è una bolgia.
L’arbitro chiama i due a centro ring per l’ultimo round.
Gong.
Il Nostro Amico si lancia all’attacco.
«Che fai! Maledizioooneee! Copriti!»
È più un grido disperato che un richiamo alla prudenza quello che il coach lancia.
Il Nostro Amico attacca, l’Altro reagisce.
Un gancio, un altro ancora.
È uno scontro entusiasmante. Il pubblico sembra impazzito. Applaude, si alza, si rimette a sedere. Grida, impreca, incita.
Montante destro, gancio sinistro. Un altro montante.La gente è in delirio. Sembra siano saliti tutti sul quadrato.
Diciassettemila pronti a combattere sino a quando non sentiranno il gong che annuncia la fine di quel fantastico match.
Bam!
Il colpo dell’Altro centra il Nostro Amico alla mascella e l’intero scenario cambia all’improvviso.
Gli occhi del Nostro Amico si appannano, gli sembra che quel mare di folla, che prima era attorno a lui, sia sparita. Adesso non sente più le urla dei tifosi. Guarda le persone delle prime file di ring e le vede altissime e magre, poi quei corpi si accorciano sino a diventare piccolissimi. Nella sua testa c’è una grande confusione. Le gambe sono deboli, non rispondono ai timidi stimoli che il cervello cerca di comunicare.Accade di nuovo. Quel senso di vulnerabilità provato contro l’americano torna prepotente e maligno.La disperazione è dietro l’angolo. Il Nostro Amico accusa vistosamente, cerca rifugio alle corde, è intontito e barcollante.
L’Altro sembra un gigante dalle mille braccia.
La fine è vicina. Il Nostro Amico lo sente, lo sa. Ma ha uno scatto di orgoglio. Si danna l’anima, stringe i denti, recupera lentamente energie e riesce a chiudere quell’ultima maledetta ripresa.Il verdetto ai punti è suo, con margine chiaro.
Dovrebbe essere felice, ma non ce la fa.
«Lui è un pugile duro, potente, con un grande cuore. Come me. Ho vinto il match sul filo del rasoio. In alcune riprese, soprattutto nell’ultima, ha saputo mettermi in difficoltà con dei colpi potentissimi. Ma sono abituato alla battaglia e nulla riesce a esaltarmi di più di una sfida condotta su quei ritmi. Ho faticato tanto, ma ce l’ho fatta».
Reso l’onesto omaggio al rivale, torna lentamente nello spogliatoio.
Si siede su una panca e si ritrova in compagnia di tutti i dubbi messi assieme negli ultimi mesi.
Ha bisogno di fermarsi, di riposare, di recuperare.Il tarlo che lo tormenta non smette mai di lavorare.Giorno e notte gli ripresenta le stesse domande.
Ha appena scoperto di essere vulnerabile. Prima si sentiva una roccia che niente e nessuno poteva scalfire. Una sorta di supereroe che poteva andare incontro a qualsiasi pericolo senza temere né il dolore, né la sconfitta.
Adesso nella mente c’è una strana sensazione di insicurezza, qualcosa di assai vicino alla paura.