
I giornali vendono sempre di meno. Alcuni sono realizzati male. Perché molti giornalisti hanno perso la voglia di indagare. Perché in tante occasioni si accetta tutto quello che arriva attraverso lo schermo di un computer, senza verificare. Perché la curiosità che una volta era l’arma che aiutava a realizzare un buon articolo, oggi è considerata perdita di tempo. Perché si sono smarriti per strada i principi fondamentali del mestiere. Perché le redazioni hanno sempre meno giornalisti.
È chiaro che la considerazione non vale per tutti i quotidiani, generalizzare sarebbe peccato mortale. Ma ha solide basi in molti di loro. Vale soprattutto per i redattori che non perdono più di un minuto per realizzare un titolo. Prendiamo quelli di un paio di giorni fa su la quasi totalità dei giornali italiani, i telegiornali, i giornali radio, i lanci di agenzia.




Pugile nel titolo, nulla di più nel pezzo. Forse perché non lo è mai stato, ma anche se si trattasse davvero di un pugile, non sarebbe stato il caso di scrivere almeno due righe per dire come esercitasse il suo lavoro? Professionista o dilettante? Qualche giornale ha aggiunto amatoriale. Se fosse stato uno che faceva jogging per divertimento, il giornale avrebbe forse titolato: Maratoneta tenta di stuprare ragazza di 16 anni?
Il termine pugile non può essere usato come se fosse un’offesa, né tantomeno sinonimo di malvivente. È una professione, una scelta di vita. Il pugile merita rispetto. Chiaramente, se infrange la legge, va punito. Se il crimine diventa notizia, i giornali hanno il dovere di raccontarlo in ogni particolare.
Ma se anche fosse stato un pugile a commettere il reato, è comunque sbagliato titolare in quel modo. Non per omertà, ma per correttezza. I pugili, come tutti noi, sbagliano. Quando lo fanno, il giornalista deve scrivere che hanno sbagliato. Nascondere la realtà vorrebbe dire non fare un buon lavoro, non essere professionisti.
Detto questo, non mi sembra di avere mai letto titoli del tipo…
“Idraulico gambizza casalinga”
“Architetto uccide la moglie”
“Medico rapina una banca”.
Sento salire un’obiezione. Il pugile ha maggiore visibilità mediatica di un architetto o di un idraulico. Falso. Il pugile quando è nel suo contesto naturale, cioè su un ring, non trova alcun giornale che si occupi di lui. E se non genera interesse quando esercita la professione, se ne può dedurre che la boxe non è popolare e quindi non meriti spazio sul giornale.
Il dubbio è che in questo contesto non si cerchi la verità, quanto l’associazione boxe uguale violenza.
Il maledetto, da sempre funziona così, è quello che piace di più.
Da qualsiasi parte la si guardi la questione genera dubbi. I giornalisti hanno tirato in ballo il pugilato in modo frettoloso e poco professionale.
Molti pugili hanno storie tragiche alle spalle, vecchi legami con la malavita. Qualcuno ne è uscito, altri non ce l’hanno fatta a staccarsi. Alcuni pugili continuano a peccare, in tanti hanno ritrovato la strada giusta proprio grazie a questo sport. Pensate, ce ne sono addirittura tanti che non hanno mai commesso reati. Incredibile eh?
È la vita.
La boxe ha salvato molti ragazzi con alcuni fondamentali insegnamenti. Il rispetto delle regole e degli altri, cosa assai rara in una società moderna che perdona qualsiasi scorciatoia se finalizzata al raggiungimento dell’obiettivo. Il rispetto per il proprio corpo, consci che sul ring non si può bluffare. La cultura del sacrificio, consapevoli che solo facendola diventare parte della propria esistenza si possano realizzare i sogni. La capacità di incanalare la forza fisica attraverso un percorso strategico che richiede intelligenza e autocontrollo. E infine la certezza che la paura vada affrontata. La boxe è uno dei rari momenti della vita in cui si va incontro al dolore, anziché fuggirne, perché si sa che è l’unico modo per riuscire a farcela.
Mi chiedo allora perché un giornalista identifichi quasi sempre il pugile con il male assoluto.
Forse per ignoranza (mancata conoscenza dell’argomento), sicuramente per indolenza.