Ha avuto tanto amore,
anche se era solo sesso.
Rocco è il figlio di Giuseppe e Maria.
Nasce a Genova, è a Napoli nel periodo della guerra. Frequenta l’università della strada.
A otto anni si guadagna da vivere facendo la borsa nera, scambia secchi di alluminio con sacchi di grano. Nel primo dopoguerra sposa Carla, hanno due figlie.
Cammino lentamente con lui lungo le strade di una Genova battuta dalla pioggia.
Saliamo i gradoni che ci portano davanti al ristorante gestito da un uomo che ha il pugilato nel cuore.
Ci sediamo a tavola e ordiniamo le stesse linguine al pesto che hanno reso felice Frank Sinatra, presidenti e papi. Mentre mangiamo, Rocco Agostino racconta e io ascolto in silenzio.
Questa è l’incredibile storia di Angel Robinson Garcia.
È un grande, ma ancora più grande è la sua dipendenza dal sesso. Non c’è notte che non faccia l’amore. Con una o più donne. Non può farne a meno, il sesso per lui è come il cibo. Indispensabile.
È un giramondo, ha vissuto a L’Avana, Miami, Barcellona, Napoli, Genova, Parigi, New York, Las Vegas e chissà in quanti altri posti ancora. Non riesce a sentirsi a casa in nessun luogo. La voglia di non sprecare neppure un secondo della vita lo porta a lanciarsi nei guai senza stare tanto a pensarci su. Basta che in fondo al cammino ci sia una donna.
Alto, fisico da sciupafemmine, volto d’angelo. Le fa impazzire.
Gli piace boxare e sul ring se la cava davvero bene, ma la cosa che gli piace di più è l’amore. Quello fisico. Non è un uomo di molte parole, promesse non ne ha mai fatte. Ama il contatto dei corpi, le notti consumate in un’esplosione dei sensi, il piacere dato e ricevuto.
Sesso, sesso e ancora sesso.
E non sta certo lì a porsi dei limiti sul dove o sul quando.
Prima di salire sul ring, dopo il peso, a fine match, durante gli allenamenti. Potrebbe esibirsi anche in un Palazzetto pieno di gente. Niente e nessuno riuscirebbe a fermarlo. Il sesso è l’aria che lo aiuta a vivere.
Rino Tommasi è un organizzatore di successo e si è messo in testa una strana idea. Vuole mettere in piedi una sfida tra il cubano e Bruno Arcari. Prima però c’è un problema da risolvere.
Angel Robinson Garcia è ospite della Modelo, la vecchia prigione di Barcellona. È rinchiuso in quelle celle dove sono stati confinati rivoluzionari e controrivoluzionari, anarchici, franchisti e oppositori del regime, protagonisti delle prime lotte sindacali e delinquenti che hanno segnato la storia della mala in città.
Il manager spagnolo Pedro Caballero telefona ad Agostino, il procuratore di Arcari, dicendogli che è riuscito a convincere il direttore dell’istituto di pena. Garcia godrà di una breve licenza, ma Rocco dovrà firmare un documento in cui si impegna a farlo rientrare in carcere dopo 48 ore.
Agostino accetta e vola a Barcellona con l’aereo privato di Massimo Del Prete: il direttore del Palasport di Genova, che sarà la sede dell’evento.
Il 28 aprile del ’67 il cubano sale sul ring e perde ai punti in dieci riprese contro Arcari. Va così bene che Rocco gli propone di lavorare con lui appena tornerà ad essere un uomo libero.
Un paio di settimane dopo Angel Robinson Garcia dorme in una pensione di via XX Settembre a Genova. Si allena duramente, ma trovarlo dopo le otto di sera è un’impresa disperata. È capace di andare fino a Verona per bere un caffè, di guidare sino a Milano per passare la notte in discoteca.
Diventa amico di alcuni uomini della Mobile e trascorre molte serate con loro. Ma almeno tre volte a settimana sono proprio quegli agenti a portarlo in cella. Oltre a essere un bel ragazzo, è sessualmente superdotato. E non si stanca mai di mostrare quella che ritiene la sua qualità principe. Le signorine dell’angiporto fanno a gara per averlo con loro. Smaniano, si agitano. Una situazione che non piace ai protettori che tutte le notti si mettono a caccia di quel tizio che si diverte con le loro donne senza tirare fuori una lira.
Una sera d’inverno si danno appuntamento in cinque.
Lo trovano, lo circondano. Pensano di essere riusciti a metterlo alle strette.
C’è umidità in giro, un freddo pungente che entra nelle ossa. Sarebbe stato meglio per tutti starsene in casa, lontani da quei vicoli del porto.
Angel racconta spesso questa storia a cui fa seguire una grossa risata, subito dopo arriva una tosse catarrosa figlia delle quaranta sigarette che spazzia via ogni giorno.
Quegli omoni hanno le facce incattivite da anni di soprusi, sono decisi a risolvere la questione una volta per tutte. La luna piena buca per un attimo la nebbia e illumina con un timido fascio di luce volti che parlano di violenze inflitte e subite.
Provano ad attaccarlo tutti assieme. Finiscono con il culo per terra, lamentosi e doloranti, stesi dai colpi da professionista di Garcia. Ganci, diretti, montanti. Un pugno alla volta, assestato con la stessa precisione che usa sul ring nelle serate baciate dalla buona sorte. Alla fine li ha tutti ai suoi piedi.
Qualcuno vede lo spettacolo dalla finestra, se lo gode sino in fondo, poi alza il telefono e chiama la polizia. Gli agenti sono in zona, meno di un minuto e arrivano.
Angel è una furia scatenata, per fermarlo devono prenderlo a randellate sulla nuca.
È un uomo difficile da gestire, anche perché oltre al sesso ha una passione per l’alcool. Gli piace bere, soprattutto vino.
Ma è un campione e a Rodolfo Sabbatini viene un’idea. Fargli incontrare Carmelo Bossi, con cui ha già pareggiato a Barcellona. Passa l’incarico a Silvana che è la sua segretaria da trent’anni.
“Chiama Rocco, passamelo”.
L’ufficio è al numero 1 di via G.B. Vico, in un vecchio palazzo a due passi da Piazza del Popolo. La stanza di Sabbatini è tre passi sulla destra. In qualsiasi momento del giorno puoi sentire, al massimo del volume, la voce roca del promoter. Combina affari con tutto il mondo, ma in qualsiasi lingua parli c’è sempre quello strano accento made in Pigneto che lo rende inconfondibile.
Rodolfo, c’è Rocco al telefono.
“Ciao, Rocco, come stai?”
Bene. Dimmi.
“Mi piacerebbe che Angel Robinson Garcia affrontasse Carmelo Bossi sui dieci round”.
Piacerebbe anche a me, ma…
“Che c’è? Soldi? Tre milioni bastano? Non credo abbia mai preso una borsa così alta in tutta la sua vita”.
Non è questo il problema. Tre milioni andrebbero bene, ma…
“Aho! Mo me so stufato! Non mi piacciono gli indovinelli. Quale è il problema?”
Angel è in prigione.
“Meglio”.
In che senso?
“Se è in prigione vuol dire che recentemente non ha fatto stravizi, vuol dire che è in peso, che è carico e ha voglia di menare le mani. Perfetto. L’unico problema è tirarlo fuori, il match è fra tre settimane”.
Vedrò cosa si può fare.
Rocco chiama una vecchia conoscenza al Ministero di Grazia e Giustizia. E ottiene un accordo sotto la sua completa responsabilità. Il pugile potrà uscire tre ore ogni pomeriggio per allenarsi. Il vecchio manager dovrà andare a prenderlo e dovrà riaccompagnarlo in carcere. Angel finirà di scontare la pena giusto una settimana prima del combattimento. Si può fare.
Il piano sembra perfetto.
Garcia si allena.
Una settimana prima della sfida è davanti al portone blindato del carcere ad aspettare il manager.
Rocco va a prenderlo alle 10 del mattino. Lo fa salire in macchina e lo porta a Roma. Per cinque giorni il cubano mangia solo spaghetti in bianco, senza sale, senza sugo. Alla fine è in perfetta forma.
Per quattro riprese si difende bene. Si deve arrendere alla quinta, ma solo per colpa di una ferita.
È il 14 luglio del 1967.
Garcia odia fermarsi in un posto. Ama la vita da zingaro, da nomade sempre alla ricerca di nuove avventure. Se gliene propongono una ci si lancia senza starci tanto a pensare. Niente lo spaventa. pronto ad andare ovunque ci siano un ring, un avversario e qualche soldo per scacciare la fame.
Lo chiamano a Santiago di Cuba per un match contro Chico Morales.
Arriva sul posto dopo molte ore di pullman. In città stanno ancora festeggiando il Carnevale, le strade sono piene di turisti, gli alberghi non hanno una stanza libera. Assieme al maestro Richie Riesgo se ne va in giro per cinema, guardando lo stesso film, rubando ogni volta qualche preziosa ora di sonno. Alla fine decidono di riposarsi su una panchina del parco.
La mattina dopo Angel fa il peso, è perfettamente nei limiti della categoria. Entra in un pub fumoso, pieno di odori, suoni e povera gente. Ordina una robusta colazione. Uova, pancetta, salsicce e un po’ di formaggio. Latte freddo e tanto caffè. Divora tutto con calma, non ha fretta. Non sa dove andare.
Mandato giù l’ultimo boccone accompagnato da un sorso di caffè ancora bollente, torna in quei cinema dove ha già trascorso parte della notte. Esausto, si addormenta su scomode sedie di legno, ignorando voci e immagini che arrivano dallo schermo, godendo sino in fondo del buio in sala.
La sera sale sul ring e batte Chico Morales.
Il match non risulta nel record ufficiale di Garcia. Da quelle parti capita spesso che i combattimenti, anche se regolarmente disputati, non vengano registrati. Sui fatti c’è la testimonianza di Richie Riesgo che ripete sempre la stessa versione.
“Questa storia è vera dalla prima all’ultima parola”.
Molti soldi passano tra le sue mani, quasi mai arrivano però nelle sue tasche.
Affronta i migliori. Quindici campioni del mondo, tra cui Roberto Duran, Josè Napoles, Carlos Hernandez, Wilfredo Benitez, Ismael Laguna, Esteban De Jesus, Ken Buchanan.
Rimane sul ring per ventitrè anni, oscillando dai pesi leggeri ai welter, combattendo in tutti i continenti. Disputa 250 match da professionista, anche se solo 239 finiscono nel record ufficiale (138-80-21, 55 ko).
Interpreta sempre lo stesso copione.
Va a Miami, entra nella Fifth Street Gym di Chris e Angelo Dundee. Si allena con autentici fuoriclasse. E quando il capo riceve un’offerta per farlo combattere contro Rafiu King a Parigi, lui lo segue senza fare una domanda. È il 20 novembre del 1961.
Racconta il manager italo-americano.
“Quella volta ho commesso un errore. Gli ho lasciato una notte libera. L’ho rivisto dieci anni dopo”.
Parigi è fatta per lui. Vino, donne e divertimento. Nel tempo libero, boxa. Sposa la figlia di un commerciante, per qualche mese cambia vita, diventa un uomo di casa. Ma dura poco. Gli manca la libertà di decidere ogni momento cosa fare, gli manca il gusto di cambiare donna ogni notte.
Fa amicizia con molti personaggi dello spettacolo, gli vogliono bene Jean-Paul Belmondo e Alain Delon.
Passano gli anni.
Una notte a Parigi, un po’ per gioco un po’ per curiosità, Belmondo decide di tornare in metro a casa assieme ad alcuni compagni d’avventura.
Scendendo giù nei corridoi che portano al binario incrocia un uomo di colore. Se ne sta disteso. Poggia il corpo stanco su un vecchio cappotto logoro, accanto a lui c’è una bottiglia di vino quasi vuota. Non degna di uno sguardo la gente che lo sfiora ignorandolo, badando solo a non calpestarlo.
Con orgoglio restituisce a quelle persone la stessa indifferenza. Gli occhi del barbone sono acquosi, vuoti. Il gruppo di amici comincia a deriderlo. Bebel coglie un lampo in quello sguardo, si accorge che quel barbone così malmesso è uno che conosce. Un pugile, o meglio lo è stato, uno che l’ha entusiasmato più volte sul ring del Palais des Sport.
Quel barbone è Angel Robinson Garcia.
Lo convince a farsi aiutare. L’ex fighter gli chiede di tornare a Cuba, da dove è scappato tanti anni prima, nel momento stesso in cui Fidel Castro ha messo al bando il pugilato professionistico. Nell’isola ha lasciato il ricordo di un atleta di talento che valeva i migliori del mondo. Ma anche l’immagine di un uomo senza regole, sospeso dalla commissione locale per avere dato più volte scandalo. E poi c’è ancora in sospeso una vecchia questione per un pugno tirato sul muso di un soldato castrista. Riportarlo a Cuba non sarà semplice.
Ma Belmondo è amico del Leader Maximo. A forza di insistere, dopo decine di lettere e altrettante telefonate riesce a convincerlo a rilasciare un visto di ingresso per quel campione senza pace.
Angel parte per un ritorno alle radici.
In Europa ha entusiasmato chiunque amasse la boxe, ma spesso non ha rispettato le regole.
Garcia si è goduto quelli che lui pensava fossero gli unici piaceri della vita.
Sesso e alcool ne hanno compromesso carriera e salute. Fegato e reni sono andati in sofferenza. Chissà dove sarebbe arrivato se solo avesse percorso sentieri meno pericolosi.
Ha vissuto come aveva sognato.
“Non si può scegliere il modo di morire. E nemmeno il giorno. Si può soltanto decidere come vivere” canta Joan Baez. È esattamente quello che ha fatto Angel Robinson Garcia, morto povero e in solitudine l’1 giugno del 2000 all’Avana. Lì dove era nato sessantatré anni prima.
L’ultima foto mostra un volto segnato da decenni di abusi, uno sguardo triste, due sopracciglia su cui spiccano vecchie cicatrici. Un vagabondo del ring che ha vissuto godendo l’attimo fuggente, senza mai pensare di doverne rendere contro alla vita.
(estratto dal libro Non fare il furbo, combatti di Dario Torromeo, Absolutely Free Editore)
Una storia avventurosa e affascinante, questa di Angel Robinson Garcia.Raccontata in maniera sublime, emozionante, coinvolgente, da un grande giornalista e scrittore come Dario Torromeo.