Questa è la storia di un omicidio per amore. Ma forse sarebbe più giusto dire di un lento omicidio causato da un tradimento. L’assassino è il tifoso di pugilato che ha tradito la sua passione iniziale (la boxe) per amare sè stesso.
DAZN sta facendo un buon lavoro con il pugilato. Trasmette riunioni di primo livello, sempre in diretta. Ha spesso dato i migliori incontri in programma sui ring di tutto il mondo. Eppure il popolo della boxe si lamenta.
“Il canale è a pagamento. Non è giusto!”
Chissà cosa diranno, probabilmente nei primi mesi del 2022, quando scopriranno che oltre al canone dovranno versare un extra per garantirsi la visione dei migliori match in pay per view…
È il momento di chiarire alcuni concetti base.
Punto uno.
Vedere il pugilato in televisione non è un bisogno primario.
Punto due.
Per allestire la trasmissione, comprare i diritti televisivi e promuovere l’evento, DAZN tira fuori dei soldi. Non ha un canone di abbonamento obbligatorio come la Rai, perché mai dovrebbe offrire gratuitamente il prodotto?
Certo, la PPV è sicuramente l’ennesimo colpo alla popolarità del pugilato, la porta aperta verso il buio.
La realtà racconta però anche altre storie.
Negli ultimi quindici anni le televisioni non si sono interessate più di tanto alla boxe perché i numeri dell’audience erano decisamente bassi.
La mancanza di abitudine a vedere spettacoli di qualità ha reciso i fili che legavano gli eventi all’utente. La rara possibilità di vedere i veri campioni ci fa sembrare tali quelli che non lo sono, è procedendo su questo sentiero che si è perso il gusto del bello. Ho sentito insulti rivolti a Floyd Mayweather jr, per il suo modo di combattere. Mi sono state rivolte parole di scherno perché ho definito Usyk un fuoriclasse. Anni di spettacoli di terza categoria hanno portato la nicchia della boxe a confondere i parametri di riferimento.
Il clan dei patiti è composto da pochi fedelissimi. Facciamocene una ragione. Sono pochi e iracondi, sono quelli che continuano a sparare a pallettoni sulle televisioni, sui giornalisti. Per offendere questi ultimi li chiamano giornalai. È solo l’ultimo abbaglio razzista di chi non ha rispetto per una categoria, quella dei giornalai: in crisi, sottoposta a orari di lavoro pazzeschi, con la pioggia e il caldo soffocante, in cambio di un reddito non esaltante. Così insultando non colpite i giornalisti, ma quei lavoratori instancabili che meritano solo rispetto. Ma credo sia pretendere troppo dai professionisti dell’offesa, perché per scegliere le parole bisognerebbe conoscerne il significato.
Gli iracondi si nutrono di insulti, ma non fanno neppure la fatica di leggere cinque righe. Mi è capitato più di una volta di registrare il fenomeno. Informo sulla la tv che manderà in onda un mondiale, dove si svolgerà, indico orari di dirette e repliche, giorno di trasmissione e numero del canale.
Poi leggo i commenti sotto l’articolo postato sui social.
“Ma lo trasmette qualcuno?”
“A che ora è il match?”
“Dove combattono?”
E se dal salotto di casa si passa allo spettacolo dal vivo, le cose vanno anche peggio. L’incasso è l’ultima delle voci nel borderò di un organizzatore, contribuisce al budget in modo irrilevante, impalpabile, quasi inesistente. Pochi, pochissimi, escono da casa, prendono la macchina, pagano il biglietto e si siedono in platea. Non lo vedono in tv, non lo vedono dal vivo. E il giorno dopo insultano il mondo intero.
Sento e leggo: “Avete visto in Inghilterra?”.
Ho visto. Nei palasport ci sono diecimila persone che hanno comprato il biglietto e quando si parla di audience parliamo di milioni di telespettatori. Da noi se si arriva a mille paganti e a 200.000 telespettatori si celebra ballando la samba per una settimana intera.
E, tanto per essere chiari: in Inghilterra ci sono quattro televisioni che trasmettono boxe, a pagamento. Due tv: BT Sport (legata a Frank Warren) e Sky Sports (ha contratti con più organizzatori, con una posizione di privilegio per Boxxer); due in streaming: DAZN (esclusiva con Matchroom di Eddie Hearn) e Fight Zone (ha rapporti con Dennis Hobson). Una sola Tv in chiaro, Channel Five che ha il punto riferimento in Hennency Sport. È stata la prima a trasmettere i match di Tyson Fury, questo spiega in gran parte la sua popolarità. Il mito nasce dalle Tv in chiaro, in Inghilterra, in Italia, nel mondo.
Da noi però manca l’elemento base. Lo spettatore. L’ultima volta in cui Italia 1, tempo fa, ha programmato in chiaro, l’audience era compresa nella forbice tra 200.000 e 300.000, con uno share calcolato attorno al 2 per cento. Non sono certo riscontri da scatenare scene di esultanza all’interno di un network nazionale.
È la realtà. E con la realtà bisogna fare i conti, i numeri non mentono.
Gli appassionati non hanno una percezione esatta della realtà. Parlano tra di loro e pensano che il pubblico della boxe sia composto da milioni di tifosi. In realtà sono sempre gli stessi che seguono il consiglio napoletano: facite ammuina. Fate confusione. Si muovono continuamente rinchiusi in una sorta di ghetto e sono convinti di essere al centro dell’universo. I giornali ignorano questo sport. Le televisioni nazionali non ne parlano quasi mai.
A seguire la boxe è rimasto un manipolo di fedelissimi, sempre gli stessi.
Sono pochi e riottosi. E hanno una visione distorta del loro amore.
Oggi si vive in un mondo in cui si regala più importanza ai vaneggiamenti che alla sostanza. Si è persa la capacità di ascoltare, a molti sembra una disponibilità inutile. Tutti sanno già tutto. Si è persa la curiosità che è una delle fonti del sapere. Si spiega, non si parla. E il mondo del pugilato fa parte della vita, quindi non è esente da questa deriva sociale. Amavano la boxe, ora amano sè stessi. Gli piace il suono delle loro parole, confondono la loro visione del problema con la verità.
Per i tuttologi in giro per l’Italia non esiste una programmazione accettabile, qualsiasi cosa la tv trasmetta. Questa è l’idea base che guida le loro analisi . Sono tutti convinti che l’unica soluzione possibile sia: la loro presenza alla guida delle trasmissioni, che così potrebbero diventare luoghi in cui parlare, parlare, parlare. Lo scrivono sui social lacerando la lingua italiana, senza rispetto per congiuntivi, verbi, punteggiatura e ortografia. Ah, se ci fossero loro…
Per costruire una speranza ci sarebbe bisogno di spalare il letame e continuare a spalare, con umiltà. La luce è una conquista per cui lottare, non un diritto divino. Il popolo della boxe continua a pretendere caviale e champagne. Gratis, ovviamente.
E anche adesso, che hanno il massimo che il panorama possa offrire, si sentono in dovere di inveire, non offrendo come contropartita un’audience degna di questo sport.
DAZN ha due milioni di abbonati, il 95% viene dal calcio, il resto è diviso tra tutti gli altri sport messi assieme.
Alla prossima, quando anche questa emittente in streaming opterà per la pay per view e la nicchia della boxe in Italia sprofonderà nel silenzio, avvolta dal buio…
Tutto vero. Però c’è un problema – se cosi’ vogliamo chiamarlo – “promozionale”.
Mi chiedo, cioè, se la TV a pagamento sia lo strumento più idoneo per rilanciare uno sport in grave crisi di visibilità come il pugilato. Voglio dire, l’appassionato è – o almeno dovrebbe esssere – disposto a pagare per vedere gli incontri. Ma di appassionati, al momento, ce ne sono pochi. E chi al momento è completamente disinteressato? Non è che il “segnale criptato” lo terrà ancora più lontano dal pugilato?
Intendiamoci, condivido pienamente il Suo articolo, però temo che ci sia anche un’ altra faccia della medaglia.
D’altra parte, per farLe capire a che livello siamo arrivati, Le racconto questa.
L’altra sera ho conosciuto un pugile dilettante. Si è molto stupito nel vedere che seguivo in maniera assidua il suo sport. Abbiamo chiacchierato un pò ed è venuta fuori una cosa – per me – sconcertante : questo ragazzo dava assolutamente per scontato che il pugilato fosse seguito solo da chi lo pratica o comunque gravita nell’ambiente, in una sorta di circuito autoreferenziale.
In buona sostanza pare che sia oramai più raro trovare un semplice appassionato da poltrona come il sottoscritto che non uno che i pugni ha il coraggio di darli e prenderli davvero!
E allora come si può pretendere di “vendere” un incontro di pugilato, televisivamente parlando?
P.S. Ho comprato il suo libro su Mazzinghi e spero in questi giorni di festa di avere il tempo per gustarmelo