
La corsa verso il calo di popolarità del pugilato prosegue.
Il CIO, attraverso il presidente Thomas Bach, ha annunciato che presto farà sapere se la boxe sarà presente nel programma dei Giochi di Parigi 2024.
Questo per quel che riguarda il dilettantismo.
Il professionismo non sta meglio.
A breve diventerà ufficiale. Le televisioni (ESPN+, DAZN, Fox, Showtime, Sky Sports) cancelleranno la possibilità di vedere le grandi sfide pagando il solo abbonamento. La rivincita tra Oleksandr Usyk e Anthony Joshua dovrebbe essere il primo evento a segnare il nuovo corso.
Attualmente DAZN vende un abbonamento mensile, riservato solo alla boxe, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Nel primo caso il prezzo di partenza era di 1.99 sterline, oggi è arrivato a 7.99. Nel secondo, l’emittente chiedeva 9.99 dollari, adesso ne pretende 19.99.
Ma il problema non è sul costo del canone, il problema è (soprattutto) altrove.
Canelo Alvarez aveva un accordo per dieci match dietro un compenso totale di 365 milioni di dollari. Poco dopo avere firmato il contratto, ha chiesto il cambio dei termini dello stesso, tornando a negoziare match per match. Adesso ha lasciato DAZN e si è diretto verso Showtime che ha trasmesso la sfida con Caleb Plant facendo pagare la PPV 69.99 $ per la soluzione standard, 79.99 $ per chi avesse preferito l’HD.
In settembre è scaduto il contratto di Anthony Joshua con Sky Sports. Deve essere rinegoziato e, a inizio 2022, c’è la rivincita con Usyk.
A DAZN servono i soldi, la pay per view è l‘unica strada per farne tanti.
“È inevitabile” ha detto Eddie Hearn, il boss di Matchroom.
Questo porterà a un ulteriore, vistoso calo di visibilità del pugilato, a una riduzione degli utenti, a un drastico ridimensionamento della popolarità di questo sport.
Pagare 80 dollari negli States e 20 sterline (per Canelo) che diventeranno 80/90 per Joshua e Tyson Fury in Gran Bretagna, non è alla portata di molti, soprattutto nell’attuale periodo di recessione.
D’altronde i numeri della PPV indicano un trend negativo.
All’inizio erano i network in chiaro, poi è arrivato il circuito chiuso nei cinema con numeri che oggi sembrerebbero il frutto di un creatore di bufale, e invece raccontavano la realtà.
Cinquanta milioni di spettatori per Ali vs Foreman (Kinshasa, 30 ottobre 1974).
Cento milioni per Ali vs Frazier III (Manila, 1 ottobre 1975).
La pay per view, Mayweather escluso, non supera i due milioni da quasi vent’anni. Per la precisione dall’8 giugno 2002 con Lewis vs Tyson. Oggi, se si supera il milione, si balla per una settimana. Questa è l’audience della PPV. Uno spettacolo per pochi intimi.
Dall’analisi delle cifre se ne deduce che il caos attorno alla boxe, il moltiplicarsi di enti, categorie e titoli, la crescita della spesa per vederla, ne ridurrà non solo la popolarità ma ne metterà addirittura in pericolo a lungo termine la stessa esistenza. Meno soldi per la maggior parte dei protagonisti, meno spettacoli di prima categoria per gli appassionati, meno promozione nel mondo.
La boxe è già oggi uno sport di nicchia, non se ne garantisce la sopravvivenza vendendo a prezzi accessibili solo gli eventi di medio interesse. Sono i grandi match a catturare l’attenzione, a divulgare il messaggio. Se diventeranno uno spettacolo per pochissimi, le conseguenze potrebbero essere devastanti.
In Italia non stiamo per niente bene.
L’abbonamento mensile a DAZN (l’unica che al momento trasmette il pugilato con continuità nel nostro Paese) costa 29.99 euro e raccoglie circa due milioni di abbonati (fonte calcioefinanza.it). Finora i match si sono visti con il solo versamento del canone. Si dovrebbe continuare su questo piano per gli eventi di medio livello. Per i grandi confronti, le mitiche sfide, a partire da metà dicembre si dovrebbe passare alla PPV anche da noi.
Tyson Fury, Usyk, Canelo, Joshua e altri campioni del loro calibro probabilmente si potranno vedere solo dopo ulteriore esborso di moneta.
In quanti continueranno a seguire gli eventi?
Il futuro del pugilato è nero. E per pochi intimi.