
Simona Galassi*, hanno aperto le Olimpiadi alle donne quando eri già una professionista. È accaduto a Londra 2012. È una competizione di cui senti la mancanza?
“Ai Giochi ho pensato a lungo. La prima volta che ne ho parlato, è stato con Enza Jacoponi durante Mondiali di Scranton nel 2001. Il CIO aveva ipotizzato la possibilità di inserire la boxe femminile ad Atene 2004. Per questo sono rimasta dilettante per tanto tempo. Quando ho capito che anche a Pechino 2008 non ci saremmo state, sono passata professionista. Peccato. È il sogno di una vita che non si è realizzato. Per me l’Olimpiade è l’essenza di quello in cui credo, lo sport ai massimi livelli, quello che amo”.
Quattro ragazze, giovanissime, hanno conquistato la possibilità di disputare i Giochi di Tokyo 2020.
“Risultato pienamente meritato. Sono contenta per loro, per il pugilato, per le donne che praticano la boxe”.
Partiamo dalla Testa, cosa mi dici di lei?
“Mi ricordo le prime volte in cui mi chiedevano di Irma. Dicevano che era una grande campionessa, ma i successi erano arrivati solo a livello giovanile. Non mi piaceva parlare di lei. Mi sembrava una campionessa annunciata, che non aveva ancora dimostrato di esserlo. Poi, si è qualificata per l’Olimpiade di Rio 2016 ed è uscita al secondo match. Ho pensato: è la sua grande opportunità per dimostrare che è una fuoriclasse. Da questa esperienza può imparare tanto. Può trasformare la sua carriera, può vincere fino a diventare una grande protagonista. Ma può anche uscirne male, distrutta. I fatti hanno dimostrato che lei ha imparato la lezione. Non si è accontentata di quello che il talento avrebbe potuto darle. Ha lottato contro sé stessa, ha modificato atteggiamento. Sul ring ha saputo adattarsi alle esigenze del match, ha cercato la tattica migliore per ogni rivale. E adesso affronterà l’Olimpiade più forte, con maggiori certezze della prima volta”.
Angela Carini, argento ai Mondiali, va in Giappone con grandi speranze.
“Ho visto alcuni video dei suoi allenamenti e qualche match. Mi è piaciuta. È giovane, ma ha esperienza. Avere tanti match alle spalle significa affrontare alla pari rivali che una volta potevano contare su un centinaio di combattimenti mentre noi ci fermavamo a poche decine. E poi ha un’ottima tecnica. Si muove bene sul ring, mi ha fatto una buona impressione, il suo è un pugilato piacevole da vedere. Possiamo contarci”.
Giordana Sorrentino e Rebecca Nicoli hanno 21 anni e l’esuberanza della gioventù.
“Giovanissime, hanno avuto l’occasione della vita. E se la sona giocata alla grande. Se mi è concessa una parolaccia, dico che probabilmente hanno pensato: ‘fanculo tutti. Io me la gioco, poi vediamo. Mi è piaciuta la loro determinazione, quella che sfiora l’incoscienza, ma senza lasciarsi dietro alcun rimpianto. Non avevano niente da perdere, hanno lottato per ottenere quello che sembrava impossibile. Avevano un’unica possibilità e hanno saputo sfruttarla. Brave, no? Hanno abbandonato qualsiasi atteggiamento calcolatore. La gioventù, per le atlete che valgono, ha questo vantaggio. Non stai lì a pensare ogni attimo come sarà il futuro della tua carriera, pensi solo a vincere il match che stai combattendo. Ricordo benissimo quella sensazione, era estremamente piacevole. La prima volta che l’ho provata è stata ai mondiali americani. Ero pronta a tutto, mi mangiavo anche i sassi. Così hanno fatto Giordana e Rebecca, così dovranno fare in Giappone”.
Quattro azzurre all’Olimpiade. Gli uomini restano a casa. Perché?
“Non ho mai generalizzato, non ho mai affermato: gli uomini sono così, le donne sono così. Dico solo che le donne mi sembra abbiano una tecnica migliore. Forse nasce da quella che chiamerei pignoleria. È nel carattere femminile andare a cercare i particolari per migliorarli. Noi non pensiamo solo alla forza fisica. Cerchiamo anche l’estetica del gesto. E alla fine aggiungiamo il nostro temperamento. Non vale per tutte. Ma vale per le quattro che hanno staccato il pass”.
Eppure si dice che nello sport si trovano spesso donne insicure, atlete che non si sentono all’altezza.
“È vero. Accade. Come accade tra gli uomini. Ma credo che il campione o la campionessa escano da questi schemi. Cercano sempre di dare il massimo, non fanno calcoli”.
Quale è la differenza sostanziale tra dilettantismo e professionismo?
“Parliamo solo da punto di vista agonistico. Il resto sarebbe troppo lungo e difficile da spiegare. Da dilettante, la difficolta sta nel fatto che devi entrare subito al massimo livello della prestazione. Hai poco tempo per riparare. Se vedi che qualcosa non va, devi essere velocissima nel cambiare. Ti muovi su tempi stretti. In tre round ti giochi tutto. Il professionismo ha tempi più lunghi”.
Quando senti che sta arrivando la tensione nel corso di un torneo?
“Per quanto mi riguarda, non la notte prima del match. Ho sempre dormito tranquilla. La grande tensione arrivava immediatamente prima di salire sul ring, negli spogliatoi. Ma si scioglieva al suono del gong. Pensieri negativi ne avevo, cercavo ottimizzarli. Sono maniaca della preparazione. Nei miei primi mondiali sono arrivata a scrivere uno schema delle azioni che avrei voluto eseguire in combattimento. Avevo lo stomaco chiuso. Ma cercavo di nascondere tutto, non volevo concedere vantaggi alle mie avversarie”.
Nel libro che racconta la tua vita, A modo mio, hai detto: La boxe è piena di nemici invisibili. Chi sono?
“Il primo sei tu stessa. Tante persone parlano, giudicano, ma alla fine non hanno mai provato quello che prova chi accetta di confrontarsi con sè stessa, con le sue paure, le sue insicurezze, con i pensieri che vorrebbe allontanare. La boxe è uno sport difficile, credo la possano capire in pochi”.
Il pugile è sempre solo sul ring?
“Fino a un certo punto. La battaglia che fa è una battaglia per vincere i propri limiti. E questo spesso ti fa sentire sola. Per esperienza personale dico però che un maestro di cui puoi fidarti ciecamente è un grande aiuto per non sentirti sola contro il mondo intero. La volta in cui mi è capitato di non avere al mio angolo una persona che non mi conoscesse a fondo, è stato tremendo. C’era un maestro bravo, di cui avevo grande stima. Uno che mi ha detto cose che nessuno dei miei maestri mi aveva mai detto. Ma io avevo bisogno di altre parole, di conforto, di stimoli. Quell’uomo all’angolo non mi ha aiutato, mi ha buttato ancora più giù. Non mi conosceva. Il tuo maestro è l’unica persona che non ti fa sentire sola sul ring”.
In una scala di valori, come collocheresti oro ai Mondiali dilettanti, conquista del mondiale professionisti e oro olimpico?
“Credo che metterei la vittoria ai Giochi nel mezzo. Ma è un giudizio che mi riesce difficile dare, perché mi manca uno dei parametri di riferimento. Un’Olimpiade non l’ho mai fatta, quindi non so realmente che sensazioni possa regalare. So quanta fatica ho fatto nel professionismo. Fatica umana, intendo. È stata una conquista che riguarda più la vita che lo sport. È per questo che per me quel titolo ha un valore ancora più grande. L’ho portato a casa con determinazione, resilienza, forza. Lo metto sopra qualsiasi cosa”.
* Simona Galassi, La regina di Romagna. Nei dilettanti campionessa del mondo a Scranton 2001, Antalaya 2002, Podolsk 2005. Ottantasei match, 85 vittorie e 1 sconfitta. Tre europei: 2003, 2004, 2005. Professionista dal 2006. Campionessa del mondo mosca Wbc (2008/2011), supermosca Ibf (2011/2012). Campionessa europea mosca 2007, 2013, 2014. Ventisette combattimenti, 23 vittorie, 3 sconfitte, 1 pari.
