Fury, Joshua, Wilder, promoter e tribunali. Il mondo dei massimi è in pieno caos…

A chiusura di un articolo, pubblicato di poche ore fa, scrivevo: il pugilato mi ha abituato a non dare mai nulla per certo. Il popolo che lo abita è altamente imprevedibile. Puntuale è arrivata la conferma. E ora mi trovo a raccontare l’ennesima puntata di una storia a cui non mancano certo i colpi di scena. Il mondo dei massimi è in pieno caos.
La boxe ad alti livelli è difficile da gestire, anche perché non c’è nessuno, se non i tribunali, a fare rispettare le regole. Non illudetevi che lo facciano Wbc, Wba, Ibf o Wbo. La banda dell’alfabeto è assente anche nel momento in cui sul piatto c’è il suo titolo più prestigioso, quello unificato dei pesi massimi.
Comincio dalla fine.
Dopo essere rimasto a lungo in silenzio, Eddie Hearn ha scelto il sito di casa (matchroomboxing.com) per raccontare, in un video poco più lungo di sette minuti, la sua versione dei fatti.
Si può riassumere così.
“Per mesi i rappresentanti di Tyson Fury mi hanno raccontato che il ricorso all’arbitrato da parte di Deontay Wilder per ottenere un terzo match immediato con Fury non sarebbe stato un problema. Abbiamo trattato a lungo con gli organizzatori in Arabia Saudita, abbiamo messo assieme un affare gigantesco. E adesso sembra che debba saltare tutto. Voglio una risposta definitiva entro questa settimana, poi procederò in un’altra direzione”.
Cosa è accaduto lunedì 17 maggio 2021 di così sconvolgente?
Un ex giudice, Daniel Weinstein che è anche esperto in questioni legali riguardanti il pugilato, ha dato ragione a Wilder. E ha deciso che Tyson Fury dovrà affrontarlo entro il 15 settembre, a meno che le parti non si mettano d’accordo per un rinvio.
L’ex giudice ha deciso nel rispetto del contratto firmato in occasione del secondo match (22 febbraio 2020). 
Fury aveva contestato la regolarità della procedura, indicando la pandemia come causa di numerosi rinvii che avrebbero portato (a suo dire) al superamento del termine massimo previsto dal contratto stesso per il match. 
A quel punto mi ero chiesto quale forza potesse avere, al di fuori degli Stati Uniti, un arbitrato. Non il pronunciamento di un Tribunale americano, ma di un giudice privato su pugili nati e residenti nel Regno Unito (Joshua e Fury) come due dei loro tre promoter (Frank Warren ed Eddie Hearn). Non dimenticando che la sfida fra Anthony Joshua e Tyson Fury si sarebbe svolta in Arabia Saudita, non in territorio statunitense.
Non a caso per molte ore, mentre tutti gli elementi coinvolti nella disputa avevano tenuto un profilo basso, l’unico a parlare era stato Bob Arum, americano per passaporto e per lavoro, co-promoter del campione WBC. Era stato lui a dire che non avrebbe offerto soldi a Wilder per farsi da parte, era stato lui ad annunciare per il 14 luglio a Las Vegas il mondiale Tyson Fury vs Deontay Wilder III.
Gli altri tacevano.
Io rimanevo con molti dubbi.
Sapevo che il mondiale unificato valeva una montagna soldi, ma non credevo fossero abbastanza da spingere Joshua, Fury, Hearn e Warren a mettere a rischio la loro futura attività negli Stati Uniti. Dubitavo. Anche perché ero e sono convinto ci sia un’altra strada che potrebbe essere percorsa. L’arbitrato obbliga il campione del mondo ad affrontare Deontay Wilder, indicando anche la possibilità (in caso di accordo tra le parti) di un rinvio che vada oltre il 15 settembre. 
Eddie Hearn non vuole rinunciare a un affare assai vicino ai 200 milioni di dollari. Deontay Wilder è amministrato da Al Haymon, ma anche da Shelly Finkel. Quest’ultimo è una persona che non rifiuta la mediazione a prescindere. Potrebbe quindi essere lui spingere Haymon e Wilder ad accettare una soluzione che accontenterebbe tutti. La soluzione che, a mio avviso, è la più intelligente.
Un indennizzo, senza esagerare, e la stipula di un contratto che avrebbe il suo corpo principale in quello che ha già avuto l’avallo del giudice. Il nuovo accordo dovrebbe infatti prevedere, per il vincente di Fury vs Joshua, l’obbligo di affrontare Deontay Wilder entro una data da concordare tra le parti.
In questo modo il mondiale unificato (14 agosto in Arabia Saudita) sarebbe salvo. 
Ma un altro pretendente al titolo, o a un indennizzo riparatore, si è fatto avanti nelle ultime ore. Olexsandr Usyk, tramite i suoi avvocati John Hornewer e Patrick English, ha spedito una lettera alla Wbo. Minaccia causa, vuole andare in tribunale per mancato rispetto di impegni figli del regolamento.
La lettera si può riassumere così.
“Usyk è sfidante ufficiale da giugno 2019, in pratica quasi due anni. L’ultima difesa obbligatoria del titolo Wbo dei massimi è stata fatta nel 2018. La Wbo può scegliere due sole strade: imporre il mondiale Joshua vs Usyk prima della sfida con Tyson Fury, o dichiarare decaduto Joshua e nominare due co-sfidanti. Uno dei due sarebbe chiaramente Usyk”.
L’altro, aggiungo io nel caso si arrivasse a questo, dovrebbe essere Joe Joyce.
Ma la boxe è strana, non dimenticatelo.
Uno dei promoter di Usyk è Aleksander A. Krassyuk, che è anche direttore generale della società K2 dei fratelli Vitali e Wladimir Klitschko. E Krassyuk è co-promoter dell’ucraino assieme a Eddie Hearn. Potrebbe davvero opporsi al mega affare?
Hearn prepara comunque una soluzione alternativa, nel caso in cui Joshua vs Fury dovesse saltare. Il match con Usyk avrebbe meno presa sul pubblico chiamato a comprare la pay per view e non è detto che in estate l’Inghilterra dia il libera tutti per riempire lo stadio di Wembley. Il capo di Matchroom, per ora, medita e spera.
Seguite la pista dei soldi, avrete molte risposte.
Adesso bisogna solo aspettare. Credo sia giusto chiudere come ho fatto con il pezzo di poche ore fa. 
Penso che la soluzione più probabile sia quella che porta a Tyson Fury vs Anthony Joshua, il 14 agosto in Arabia Saudita. 
Lo so, nel discorso ci sono molti dubbi. Ma il pugilato mi ha abituato a non dare mai nulla per certo. Il popolo che lo abita è altamente imprevedibile.
Restate connessi.

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