
Ieri sera mi chiama un amico, il solito.
“Ho letto la notizia che hai scritto sulla riunione di sabato a Manchester, quella in cui parli di un programma pieno di sfide che hanno legami con l’Italia”.
-E…
“Volevo dirti che non finisce lì. Nel match clou, all’angolo di Daniel Blenda Dos Santos, che fa l’Internazionale Wba dei mediomassimi contro Joshua Buatsi, c’è un italiano. E ha una bella storia da raccontare”.
-Dammi un numero di telefono, al resto penso io.
Chiamo Manchester.
Giovanni Boggia risponde al terzo squillo.
Mi presento.
-Un amico comune dice che ha una bella storia da raccontare.
“Bella non direi, diciamo drammatica”
-E riguarda?
“Daniel Dos Santos, un mio pugile”
-Prima di andare avanti, mettiamo assieme alcuni punti fermi. Lei parla molto bene l’italiano, ma ha uno strano accento”.
“Io sono francese, di nascita. Ma sono anche italiano”.
-In che senso?
“Dipende”.
-Dipende da cosa?
“Da come lei consideri le origini”.
-Mi sto perdendo per strada.
“Provo a chiarire. Mio padre è venuto in Francia il 20 dicembre del ’56. Io sono nato lì alcuni anni dopo dopo”.
-Allora è francese.
“Da bambino ho sempre parlato quasi italiano”.
-Che vuol dire quasi italiano?
“Che parlavo il sanpaolese”.
-E che lingua sarebbe?
“Il dialetto di San Paolo Civitate, provincia di Foggia, dove i miei sono nati e hanno vissuto”.
-Fermi tutti. Conosco un cittadino illustre del posto. Ero a Detroit per la sua sfida con Thomas Hearns, a Formia per quella con Luis Acaries, a Londra per la vittoria contro Maurice Hope, a Rennes per quella vinta in quindici secondi su Claude Martin. Conosce Luigi Minchillo?
“Lo conosco così bene che a tutti dico che è mio cugino. Quando ci parliamo al telefono lo facciamo in sanpaolese. In realtà il francese l’ho imparato solo quando ho cominciato ad andare a scuola e l’italiano l’ho studiato con un insegnante privato”.
-E l’ha imparato benissimo.
“Ma non mi trovo a mio agio, mi sembra di parlare una lingua straniera. È come se parlassi in inglese, tanto per dire…”
-Ha sempre fatto l’insegnante di pugilato?
“Quasi”.
-Ancora con questo quasi, che vuol dire?
“Che ho praticato la boxe da dilettante, una quarantina di incontri. Poi è venuto a mancare il mio maestro e io ho preso il suo posto nella palestra. A quel punto il pugile si è fatto da parte. Sono diventato insegnante alla BCO Pont”.
-È stato all’angolo di Ivan Mendy, il Leone di Pont-Sainte-Maxence, campione del mondo. A Manchester guiderà Daniel Dos Santos. È lui il protagonista della storia drammatica che mi sta per raccontare?
“Direi proprio di sì”.
-Cosa gli è capitato?
“A 13 anni picchiava come una furia. Voleva fare il pugile. In casa c’era già un campioncino. Non di boxe, ma di calcio. Era il fratello, aveva 18 anni e giocava da professionista. Aveva appena firmato un contratto con l’Amiens in Ligue 2. Viaggiava, Belgio, Olanda. Poi, improvvisamente è morto. Daniel era in pullman, tornava a casa dalla scuola. Un amico lo ha avvicinato e gli ha detto: “Hai saputo? Alla radio hanno appena detto che tuo fratello è morto”. Così, di botto. Lui è impazzito dal dolore. Ha perso contatto con la realtà. A 15 anni era già grosso, 1.90 di altezza, è entrato in un’organizzazione coinvolta in un brutto giro. Viveva assieme a uomini molto più grandi di lui. Era sempre triste. A 18 anni era nella nazionale francese di pugilato, poi ha provato a fare il paracadutista. Un giorno ha litigato con un tizio, ha perso il controllo dei nervi. Ha preso un’arma e ha sparato. Il proiettile ha rimbalzato per terra e ha colpito quell’uomo. C’è stato un processo, Dan è riuscito a dimostrare che non aveva alcuna intenzione di ferire o, ancora peggio, di uccidere. L’arma era impugnata al contrario. Lo hanno condannato a cinque anni di carcere. È uscito dopo tre anni e mezzo”.
-E…
“Una volta libero, è diventato un’altra persona. È tornato a studiare, ha preso il diploma, si è sposato, ha avuto due figli. La prigione gli ha fatto bene, gli ha fatto capire che doveva cambiare strada”.
-E adesso fa il pugile professionista. Con quali prospettive?
“Ha disputato 15 match, li ha vinti tutti, otto prima del limite. È bravo tecnicamente e picchia duro. Ha tempo per raggiungere traguardi importanti”.
-Ha trent’anni, è un po’ grande…
“Se nel pieno della gioventù passi quasi quattro anni in prigione, la strada del recupero non può essere veloce. Per carità, il carcere era la punizione per avere commesso un reato, ma il tempo senza attività resta comunque quello”.
-E lei…
“Io faccio il maestro di boxe come professione. In Francia siamo fortunati. Sono impegnato in una grande palestra, a Pont-Sainte-Maxence 50 chilometri a nord di Parigi, assieme ad altri tre allenatori. Il locale è enorme, abbiamo settecento iscritti. Riceviamo sovvenzioni dal comune e dalla provincia. Si può lavorare tranquilli. Aveva ragione mio padre”.
-Cosa le diceva?
“Ti ho portato nel posto più bello del mondo”.
-Nessuna nostalgia dell’Italia?
“Scherza? Io non so stare senza l’Italia, senza San Paolo Civitate dove torno quasi tutti gli anni. La pandemia mi ha bloccato, come ha bloccato il mondo intero. Mi restano le telefonate con gli amici, il dialetto, le chiacchierate con mio cugino Minchillo. Appena ci restituiscono la libertà torno in vacanza lì”.
-Nel futuro immediato c’è un match. Daniel Dos Santos, la Pantera, contro Joshua Dubois, anche lui imbattuto e dal pugno pesante: 13 match, 13 vittorie, 11 per ko. Cosa accadrà?
“Il mio è bravo, forte, capace di lavorare con la tecnica giusta. Vedremo…”
Sabato alla Manchester Arena ci sarà un po’ d’Italia.
Giovanni De Carolis darà l’assalto al vacante europeo supermedi dontro Lerrone Richards. Nell’europeo dei massimi leggeri Tommy McCarthy, che ha sconfitto Fabio Turchi, difenderà il titolo contro Alexandru Jur. Mentre Gamal Yafai, che ha tolto la cintura continentale dei supergallo a Luca Rigoldi, se la vedrà con Jason Cunningham.
Nella storia di quella sera l’evento principale avrà come protagonista Daniel Blenda Dos Santos, al suo angolo ci sarà ancora una volta Giovanni Boggia. Cittadino francese, ma con le radici ben piantate a San Paolo Civitate, Foggia, Puglia, Italia.