Il calcio in Tv va male.
Dalla ripresa del campionato di Serie A, nessuna partita ha fatto meglio di quelle trasmesse nell’era pre-Covid. L’audience media delle pay tv (nella giornata del 20 giugno) è stata di 56.000 spettatori per Sky Serie A, 26.000 per DAZN, 24.700 per SkySport Uno (fonte Corriere della Sera, elaborazione Geca e iPort Nielsen su dati Auditel). Numeri bassi.
Calcio a ripetizione.
Il mercato fa un’offerta a seconda di quale sia la domanda? Era vero una volta, ora non più. Perché a forza di nutrirci di pallone, ne siamo ormai sazi. O perlomeno, abbiamo affinato i nostri gusti, pretendendo solo materiale di qualità.
Il prodotto proposto offre uno spettacolo noioso. La ripetitività delle partite a breve scadenza contribuisce al calo di interesse, come sempre accade quando l’offerta supera la domanda. Ma c’è dell’altro.
In una situazione in cui si avrebbe bisogno di una guida attraverso il labirinto di un campionato no stop, l’aiuto offerto da chi va in video è deludente.
Se il telecronista si trasforma in radiocronista e ci racconta quello che già vediamo con i nostri occhi, la sua figura diventa ininfluente.
Davanti a un probabile fallo in area, deve dire chiaramente la sua verità. È questo l’aiuto che il telespettatore chiede, sapere quale sia l’opinione di chi si presuppone sappia più di lui.
Ma molti telecronisti preferiscono strillare per un tiro che finisce a cinque metri dalla porta, definire fantastico uno stop, esaltante un passaggio ravvicinato, prodigioso un intervento in anticipo. Siamo arrivati al punto che è obbligatorio ingigantire la normalità. Serve per continuare a tenere alto il livello di interesse. Ma siamo sicuri che i telespettatori siano così poco attenti nel giudicare il prodotto? E poi, se tutto è proposto come eccezionale, alla fine niente più lo sarà.
Lascio da parte gli errori sui nomi, lo scambio di persona (un giocatore preso per un altro), l’esaltazione anche per un fallo laterale. E passo ai commentatori tecnici.
Ci sono quelli bravi, è ovvio.
Bergomi, Marchegiani, Guidolin, tanto per citarne tre sul campo. Fuori diretta, credo che Stefano De Grandis e Paolo Condò rappresentino al meglio quello che dovrebbe essere il ruolo del giornalista in tv.
Hanno competenza, non sono supponenti, parlano usando un italiano pulito e non fanno uso né di termini gergali, né di frasi astruse al cui interno si trovano parole che non esistono nella nostra lingua. Non urlano, non insultano. Argomentano. Illustrano tecnicamente, fanno riferimenti storici, supportano con i fatti le loro interpretazioni. Non cercano il consenso, hanno il giusto ritmo nella narrazione. Appartengono a una razza in via di estinzione, quella dei commentatori televisivi ancora convinti che il protagonista delle trasmissioni sia lo sport, non il proprio ego.
E poi ci sono anche quelli che anziché spiegarci come e perché, ci raccontano quello che abbiamo già visto. Così facendo, abbiamo un doppione inutile. Telecronista e commentatore assumono a volte lo stesso ruolo dei sottotitoli, anziché quello di narratori dell’evento.
Vorrei poi chiedere quale sia il ruolo, quali le capacità professionali, la conoscenza tecnica, la percezione della notizia, il lampo sull’interpretazione della chiave di lettura di una partita di Diletta Leotta. Parliamoci chiaro, c’è un solo professionista che se dovesse insegnare in una scuola di giornalismo la citerebbe come esempio?
Per carità, il decadimento del mestiere non è certo imputabile a lei. È in buona compagnia.
Le urla di entusiasmo anche davanti alla noia assoluta, lo scandire del nome e cognome (presto, dopo un gol, arriveremo alla declamazione dell’intero albero genealogico) per un tocco in porta a due metri dalla linea, la diagnosi medica fatta a tre secondi dall’incidente pure essendo assai lontani dall’infortunato e non dotati di laurea in medicina, l’invenzione di slogan che solo chi li pronuncia è convinto che producano fidelizzazione e ammirazione. Questo e altro ci viene dispensato quotidianamente.
Sono anziano, mi ricordo i tempi in cui un direttore come Giorgio Tosatti ci diceva che il protagonista della narrazione è l’atleta, l’evento in sé. Non il giornalista che ne è testimone. Questo, l’ho capito da tempo, appartiene alla preistoria. Soprattutto in televisione.
Purtroppo però, i numeri ci dicono che la formula è logora. Andrebbe cambiata.
Sky ha grandi meriti. Dal punto di vista tecnico ci ha fatto scoprire uno sport come non l’avevamo mai visto. Ha avuto per qualche momento dei professionisti che ce l’hanno raccontato in maniera accattivante, prendendo quel minimo di distanza che rendeva più gradevole la narrazione.
Ma adesso sembra non basti più.
È accaduto ai quotidiani sportivi, sta accadendo alle televisioni.
Nessuno pensava fino a qualche anno fa che i giornali subissero crolli così catastrofici. Nei tempi delle vacche grasse si rideva davanti alle previsioni di una possibile scomparsa di testate storiche. Oggi sono sempre più convinto che, se il trend continuerà ad essere quello corrente, di quotidiani ne resteranno veramente pochi.
Ma anche calcio e televisione dovrebbero percepire l’allarme.
Il canone per la tv via cavo è alto, ci sono meno soldi nelle tasche degli italiani. Questo alza il livello delle pretese. Sia sotto il profilo dello spettacolo offerto che in quello della narrazione che lo accompagna. In video vada chi non è convinto che il personaggio più importante della storia sia lui, chi ha la forza di affrontare un’intervista sempre con la stessa decisione. Sia l’intervistato un nome importante, che un giocatore alle prime armi.
Perché certe domande e certe battute che ascoltiamo fare a atleti/allenatori di seconda fascia, non vengono ripetute con la stessa ironia o durezza a Conte o Sarri?
L’ironia è un fantastico strumento per raccontare lo sport. Ma va usata con accortezza, trasformare l’intero spettacolo in quella che a Roma si chiama cojonella, non contribuisce ad alzare il livello delle trasmissioni.
Quando si passava da un successo economico all’altro si facevano grandi feste, ci si autocelebrava. Ora si continua a ballare mentre il Titanic affonda. Mediaset Premium è scomparso, DAZN è stato inglobato (Sky offre gratuitamente l’abbonamento ai clienti EXTRA). Dal prossimo anno (dicono) cambierà tutto.
A chi come me paga l’abbonamento a prezzo pieno, basterebbe che diminuissero le urla e l’enfasi.
Non si conquista il pubblico solo perché si chiama per nome l’intervistato, perché si è amici del protagonista.
E poi, e la finisco qui, è mai possibile che su duemila partite trasmesse non ce ne sia neppure una cha sia stata brutta, ma davvero brutta? C’è? E allora ditelo. Fateci anche il piacere di dire che tizio ha sbagliato un gol clamoroso, caio ha commesso un fallo da rigore, che anche un fenomeno come Cristiano Ronaldo (cito il più forte di tutti) possa giocare una partita pessima, che anche un fuoriclasse come Gigi Buffon possa fare una papera. Non esiste il calcio perfetto. Le porte del paese delle meraviglie non sono più spalancate come un tempo.
Lottate per non farle chiudere.