Guardando le prime partite di calcio in tv, dopo lo stop per la pandemia, ho scoperto che i calciatori possono tranquillamente violare norme che gli altri sportivi e i normali cittadini sono obbligati a rispettare.
Possono:
scambiarsi le magliette sudate a fine partita;
bere in due o tre dalla stessa bottiglietta d’acqua;
sputare anche senza rispettare la distanza sociale;
abbracciarsi dopo un gol, fino a creare simpatiche ammucchiate.
L’inizio gara è l’unico momento in cui il protocollo COVID viene rispettato.
Entrano prima gli arbitri.
Poi la squadra ospite.
Poi la squadra di casa.
Per evitare contagi, per impedire contatti. Dicono.
Ma quando l’arbitro fischia l’inizio del gioco, come direbbe Il Gladiatore, si scatena l’inferno. Tutto è concesso, tutto è permesso. Esattamente come nei giorni in cui di questo maledetto coronavirus non conoscevamo l’esistenza.
Negli occhi resta solo la comica, volgare ipocrisia dei saluti con i gomiti.
Almeno questa potevano risparmiarcela.
Leggo sull’ANSA: “Niente ripresa del calcetto e altri sport da contatto a livello amatoriale o di società sportive dilettantistiche. È questo, secondo quanto si apprende, il parere espresso dal Comitato tecnico scientifico (Cts). Relativamente alla possibile ripresa degli sport di contatto il Cts conferma che, “in considerazione dell’attuale situazione epidemiologica nazionale, con il rischio di ripresa della trasmissione virale in cluster determinati da aggregazioni come negli sport da contatto, debbano essere rispettate le prescrizioni del distanziamento e della protezione individuale“.
Non sono un virologo, né tantomeno uno scienziato. Quelli del Comitato tecnico scientifico per me esprimono verità assolute. Non ho sufficienti nozioni specifiche per permettermi di contestarli.
Loro dicono che con il rischio di ripresa della trasmissione virale in cluster determinati da aggregazioni come negli sport da contatto, debbano essere rispettate le prescrizioni del distanziamento e della protezione individuale.
E io ci credo.
Poi però mi ricordo quello che ci hanno ripetuto fino allo sfinimento, e mi viene un dubbio.
Ci hanno raccontato che ogni decisione sarebbe stata presa avendo bene in mente una priorità: LA SALUTE.
Ma la salute degli atleti nel calcio non è salvaguardata.
Ci sono più occasioni di contagio nei 90 minuti di una partita che in settimane di vita sociale.
Non discuto la legittimità delle regole, dei divieti. Le accetto, perché ho un senso di educazione civica che non mi permetterebbe mai di alzare il coefficiente di rischio degli altri solo per una mia convinzione.
Mi chiedo però: perché i calciatori possono ammucchiarsi a ogni calcio d’angolo, rotolarsi in gruppi di quattro/cinque in terra dopo un gol, bere dalla stessa bottiglietta, sputare a ripetizione anche in vicinanza di altri giocatori, scambiarsi magliette sudate e gli altri sport non possono neppure riprendere la loro attività?
Non mi meraviglio.
La pandemia ha solo confermato quello che già sapevo. Il calcio e i suoi lavoratori non appartengono a questo mondo. Per gli altri ci sono rigide regole, per loro i suggerimenti sono scritti sull’acqua.