Dieci anni fa, quella partita lunga tre giorni. Sfide infinite tra noia e magia

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Ci sono partite che sembra non debbano finire mai. Ci caschi dentro e ti ritrovi in una dimensione senza spazio, né tempo.
Il tennis per eliminare l’inconveniente ha inventato il tie break.
Ci ha pensato James Henry (Jimmy) Van Alen nel 1965.

Originario di Newport, nel Rhode Island, ha perfezionato nel tempo l’idea. Il primo passo è stato quello di assegnare il set a chi arrivava per primo a 21, con cinque servizi a testa. Proprio come nel tennistavolo. Poi ha spostato l’asticella. Set a chi arrivava per primo a 5. Terzo e decisivo passo, tie-break dal 6-6: vittoria per chi arriva a 7 ma con due punti di vantaggio.

Gli US Open l’hanno adottato nel 1970, Wimbledon nel 1979, la Coppa Davis dal 1989.
James Henry Van Alen è morto il 3 luglio 1991, il giorno in cui nella semifinale di Wimbledon Michael Stich ha battuto Stefan Edberg dopo tre tie-break.

Nel 2011 Samanta Stosur e Maria Kirlenko, agli US Open, hanno messo in piedi il più lungo tie-break femminile nella storia degli Slam. L’ha vinto la russa 17-15, dopo aver salvato cinque match point, due dei quali con overruled generati dall’intervento dell’occhio di falco: uno strumento che permette al Ministero della Difesa di seguire le tracce dei missili e ai chirurghi di guidare i laser nelle operazioni al cervello.

Nel caso del tennis il software garantisce un’elaborazione dei processi visivi in tempi brevissimi, traccia un’immagine tridimensionale del percorso della pallina e indica con precisione il punto di impatto con il terreno.
La partita che sembrava non dovesse mai finire è stata sicuramente quella di Wimbledon 2010 tra John Isner e Nicolas Mahut. Centottantatrè games, 70-68 l’ultimo set durato otto ore e undici minuti!

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Durante la seconda giornata di gioco, il tabellone che mostrava i punteggi sul campo è rimasto bloccato sul 47-47, poi si è spento. I programmatori IBM hanno detto che quello era il punteggio massimo programmato, ma che avrebbero provveduto a correggere il problema il giorno successivo.

Uno specialista ha lavorato sul sistema fino alle 23:45 per correggere i punteggi per il giorno seguente, ma si è avuto ugualmente un malfunzionamento dopo altri 25 game. Un evento straordinario.

Ma va sicuramente ricordato anche quanto accaduto il 24 settembre 1984 a Richmond, Virginia, in un torneo da 50.000 dollari.

In campo Vicki Nelson e Jean Hepner. Quest’ultima era avanti 11-10 nel tie break del secondo set. Il ventiduesimo punto appartiene ormai al mondo delle favole. Seicentoquarantatrè colpi, ventinove minuti. Ad essere onesti, bisogna precisare: “ventinove minuti di noia assoluta”. Lo ha sottolineato più volte John Packett, il giornalista del Richmond Times-Dispatch che è stato testimone oculare della vicenda. Una serie infinita di pallonetti, una grande paura di sbagliare e l’assoluta mancanza di coraggio per andare a cercare il vincente. Alla fine il colpo decisivo l’ha trovato la Nelson, che poi è caduta a terra in preda ai crampi, si è rialzata prima dell’ammonizione dell’arbitro, ha vinto il tie break e portato a casa la partita dopo sei ore e trentuno minuti. Record assoluto per le donne.

Il tie-break accorcia il gioco. Ma non è certo una scorciatoia. Roger Federer e Marat Safin ne hanno giocato uno lungo 26’ nella semifinale della Masters Cup 2004 a Houston (match allo svizzero 6-3, 7-6 con gioco finale 20-18). John McEnroe e Bjorn Borg ne hanno giocato uno nel quarto set della finale di Wimbledon 1980. È durato venti minuti e se lo è aggiudicato l’americano (18-16). Lo svedese ha poi vinto il quinto set e il torneo.

E’ il tennis, bellezza.

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