Arrendersi non significa sempre essere deboli.
A volte significa essere forti abbastanza da lasciar perdere.
(Marilyn Monroe)
Siamo quattro amici. Non siamo al bar, ma al tavolo di un ristorante della Garbatella. Si chiama Bistrot Matilde e dei bistrot parigini ha l’atmosfera. Solo che qui si mangia meglio del livello medio di quei locali francesi.
“Dario, ma tu l’ha visto quell’ultimo match di Tyson? ” Flavio, detto Er Pupilla, apre la discussione. Il soprannome gli viene dalla inevitabile dilatazione della medesima davanti ai funghetti. Non quelli allucinogeni, ma quelli trifolati. Si portava dietro la domanda da qualche giorno, ha aspettato che fossimo pronti per una chiacchierata tranquilla, davanti a un piatto di scialatielli allo scoglio, per farmela. Avesse aspettato altri dieci minuti, sarebbe stato meglio.
Fossi il commissario Montalbano, mi rifiuterei di rispondere.
Ma non lo sono, così gli chiedo di farmi finire gli scialatielli, prima che arrivi il secondo sarò pronto per ogni altro quesito.
“Non ero a bordo ring, non ero all’MCI Center di Washington. Ma ho visto il video, ho letto molto su quell’incontro”.
“E allora? Cosa dobbiamo fare: una richiesta in carta bollata? Dai, racconta!” Gino, detto Er Macarena, comincia a innervosirsi. Lo chiamiamo così perché ogni volta che ci troviamo davanti al bancone del bar, al momento di pagare la colazione, mette in scena la grande recita. La mano destra va a toccare la parte sinistra della giacca, poi ripete il movimento con l’altra mano a parte inversa. Quindi, mano destra sulla tasca destra, mano sinistra sulla tasca sinistra. Er Macarena, appunto.
“Kevin McBride non era certo un fenomeno. Veniva da Clones, in Irlanda. La stessa città di Barry McGuigan. Era stato un discreto dilettante, aveva partecipato per la sua nazione all’Olimpiade di Barcellona ’92. Era andato in Spagna pieno di speranze, era stato eliminato al primo turno. Ma aveva conosciuto Michael Jordan e Carl Lewis, gli era bastato. L’11 giugno del 2005, il giorno del combattimento, aveva un record di 32-4-1. Ma le cose migliori le aveva fatte in allenamento. Sedute di sparring per Ray Mercer, Riddick Bowe e Johnny Ruiz.”
“Era stato facile convincerlo ad affrontare Tyson?” nella discussione entra anche Mario, detto L’Esorcista. È l’unico che sia riuscito a far pagare il conto ar Macarena.
“Era bastata una telefonata. Era andata più o meno così.
Kevin ci sarebbe questo match contro Mike Tyson, te la senti?
Certo. Era il mio idolo da ragazzo. Quando lui è diventato campione del mondo io non avevo ancora fatto il primo match da dilettante.
Bene, allora è fatta.
Un momento. Quale è la borsa?
Centocinquantamila dollari.
Non sentite più nessuno, accetto”.
“Una vittima pronta al sacrificio” dice Er Pupilla.
“Non direi. Iron Mike veniva da due sconfitte per ko negli ultimi tre match. Non era più quello di una volta. E poi McBride aveva deciso di giocarsi al meglio quella possibilità. Si era allenato con Goody Petronelli, il maestro di Marvin Hagler. Si era anche affidato a un ipnotizzatore.”
“Per fare cosa?” domanda Er Macarena.
“Gli aveva dato alcune semplici indicazioni. Una soprattutto: Ogni volta che ti colpisce, tu lo guardi e sorridi“.
“Si fa presto a parlare” interviene Er Pupilla.
“Kevin si era messo davanti al letto, della sua stanza al campo d’allenamento, un poster gigante di Tyson. Un poster che lo ritraeva di spalle. Voleva che fosse l’ultima immagine che vedeva la sera prima di addormentarsi, la prima all’alba quando si svegliava. Preparazione dura, senza infortuni e fatta con totale dedizione. I soldi per il campus e gli sparring glieli aveva dati un amico.”
“Un grosso industriale?” stavolta la voce è quella dell’Esorcista.
“No. In realtà aveva un bar e quei dollari erano un vero e proprio sacrificio. Ma era stato un investimento per una giusta causa.”
“Centocinquantamila per McBride. E a Mike Tyson quanto andava?” ancora l’Esorcista.
“Cinque milioni e mezzo di dollari. Ma ne avrebbe presi solo 250.000. Gli altri erano spariti per le tasse, i debiti nei confronti dell’ex moglie Monica Turner e creditori vari.”
“McBride, la sua borsa l’aveva presa per intero?” l’Esorcista chiude così il trittico, manco fosse l’esattore delle tasse.
“Certo. Anche perché il giorno prima dell’incontro aveva convocato l’avvocato e gli aveva detto che se in suoi soldi non fossero stati in banca prima del match, lui non sarebbe salito sul ring.”
“Furbo il ragazzo, sapeva con chi aveva a che fare” sottolinea Er Pupilla.
“Era forte?” si intromette Er Macarena.
“Era grosso, Quasi due metri per 123 chili. Un omone, con un buon destro.”
“E il match? Come è davvero andato il match?” Er Macarena insiste.
“Tyson era lento, non portava le serie come una volta. E non aveva fiato per andare sino al termine delle dieci riprese previste. Al sesto round, la svolta. McBride era andato meglio fino a quel punto, ma due dei tre giudici avevano Mike in vantaggio di due punti. Tyson era senza energie, aveva capito che avrebbe dovuto risolvere la vicenda in quei tre minuti. Non ce l’avrebbe fatta ad andare avanti. Così aveva tentato di rompere un braccio all’irlandese, poi gli aveva dato una testata provocandogli uno spacco all’arcata sopracciliare sinistra e l’arbitro Joe Cortez gli aveva inflitto due punti di penalizzazione. Il giorno dopo il match, McBride avrebbe detto che Mike gli aveva anche dato un morso al capezzolo. “Per fortuna aveva il paradenti” aveva aggiunto. Nel finale di round un gancio sinistro di Kevin, che poi aveva scaricato tutto il suo peso sul rivale, aveva mandato al tappeto Tyson. Cortez aveva detto che si era trattato di una spinta. Il gong aveva chiuso la discussione. Quando però il gong era suonato di nuovo, Jeff Fenech che comandava l’angolo dell’ex campione del mondo aveva detto all’arbitro: “Basta. Finisce qui“. E finiva lì, quindici anni fa, anche la storia pugilistica di Mike Iron Tyson, il più giovane campione del mondo dei pesi massimi.”
“Come è andata a Kevin McBride dopo quel successo?” inevitabile la domanda der Pupilla.
“Grande popolarità. Titoloni sui giornali, interviste alla televisione. Poi tre match: due sconfitte per ko e una vittoria. Stop per tre anni, rientro sul ring. Un successo e tre sconfitte. Stop definitivo. Pugilisticamente non ha colto quello che sperava dopo il clamoroso successo su uno dei più popolari pugili di sempre.”
“E nella vita?” chiede l’incontentabile Macarena.
“Meglio, gli è andata meglio. Oggi vive a Brockton, la città di Rocky Marciano, assieme alla moglie Danielle. Hanno due figlie: Grainne, nata l’anno della vittoria su Mike, e Caoimhin, venuta al mondo tre anni dopo. Lavora per la Hoarty Brendan Tree & Landscaping Services, tira giù alberi come prima cercava di mettere giù gli avversari. Dice che è più facile. È contento.”
“La vittoria contro Mike Tyson è il più bel ricordo della sua vita?” chiude l’interrogatorio l’Esorcista, che è stanco di parlare e vuole lanciarsi sul salmone alla piastra con salsa guacamole, insalatina e semi misti.
“Probabilmente è così. Ma di quella sera Kevin dice che il momento più bello è arrivato a fine match, quando gli si è avvicinato Muhammad Ali. A fatica ha tirato una serie di colpi, poi gli ha sussurrato: “Tu sei l’ultimo, io sono sempre Il Più Grande“. Kevin quando lo racconta aggiunge: “Fantastico, i soldi non possono comprare tutto“. Un bel ricordo, dubito però che sia vero. Ali nel 2005 non era in grado di mimare la serie e neppure di parlare senza fatica. Ma come diceva un mio collega: Non rovinare una bella storia con la verità…”
Apro il palmo delle mani, le unisco e le apro per due volte.
Out. Il match è finito. È tempo di mangiare.
Mi aspettano i calamaretti affogati al rum su crema di ceci. E non è educato farli aspettare…