Sono un uomo fortunato.
Io la mia vita ho deciso di viverla come l’ho sognata.
Rubo la frase a Bernard Tavernier (Una domenica in campagna, film del 1984).
Da bambino sognavo di scrivere e viaggiare. Sono riuscito a fare entrambe le cose, il lavoro mi ha aiutato.
Ci si chiede spesso perché qualcuno senta il bisogno di scrivere.
Per sè stesso? Per soddisfare una passione? Perché ha qualcosa da dire?
Credo che sia un po’ per tutte queste cose assieme.
Ho la fortuna di emozionarmi ancora, di essere curioso. L’età e le vicende della vita non mi hanno tolto la gioia di piangere, ridere, esaltarmi e intristirmi.
Frequentando Meo, ho capito che la sua storia doveva diventare un libro. Il problema era conservare nel racconto la stessa carica emotiva con cui mi era stata donata. Ho cercato di conferire alla narrazione la forza romantica originale. Se c’è un’atmosfera di magia, è merito di Meo. Le incertezze mi appartengono.
Mi hanno chiesto: È un libro di boxe?
Ho risposto come faccio sempre in questi casi.
Non esistono libri di boxe, di calcio, di guerra, di viaggi. Esistono i libri.
La boxe, il calcio, la guerra, i viaggi sono il mezzo per raccontare una storia. Ci si mette a nudo davanti al lettore, sperando di trovare un punto di contatto con lui.
Non so se con I GORDINI ci sia riuscito. Ma so che un signore che non ho la fortuna di conoscere, Bruno Baraccani di Cotignola, ha scritto un affettuoso messaggio a Meo. È la più bella recensione che un mio libro abbia mai avuto. Gliene sono profondamente grato.
Ha confessato che quelle pagine hanno raggiunto il suo cuore.
E questo è un complimento che vale più di qualsiasi premio uno scrittore possa sognare di vincere.
Grazie.
“Saputo che stava per uscire “I Gordini, una fameja ad fénòmen”, dedicato al mio compaesano Meo Gordini, per noi cotignolesi Bartolomeo Gordini è MEO, solo Meo, l’ho subito prenotato. Tutti i giorni passavo per vedere se era arrivato, impaziente di leggerlo, di rivivere l’epopea di un uomo che a Cotignola (ma ovviamente non solo) è sinonimo di pugilato, come sua figlia, pure se per Terry noi cotignolesi siamo solo parte della storia di suo babbo. Ma noi cotignolesi, come andiamo fieri dei genitori, andiamo fieri dei figli. Certo, non possiamo vantarci che Terry Gordini sia figlia diretta di Cotignola, ma possiamo pur sempre vantarci che è la figlia di Meo, cotignolese Doc.
Quando il libro è finalmente arrivato l’ho subito letto.
L’ho fatto con gli occhi di chi si apprestava a leggere la storia di uno sportivo: dati, statistiche, qualche aneddoto, a cui magari avevo assistito personalmente. Ho trovato invece di più, molto di più. Per me leggere “I Gordini, una fameja ad fénòmen” non è stato leggere un libro di sport, o almeno non solo leggere un libro di sport. Per me leggere “I Gordini, una fameja ad fénòmen”, non è stato leggere una biografia, o almeno non solo leggere una biografia; per me leggere “I Gordini, una fameja ad fénòmen”, è stato leggere una poesia, un libro di poesie.
“Il maestro innamorato”, “La palestra dei passi perduti”, “La Casa di carta”, “Il cieco che amava la boxe” e gli altri capitoli del libro per me non sono stati semplici titoli di capitoli, ma già loro stessi poesie, che mi preparavano e invitavano a leggere il libro col cuore, prima ancora che con gli occhi, con la mente che poi ne è rimasta completamente avvolta e coinvolta, mai rimanendone deluso.
Forse sarò strano io, ma per me leggere “I Gordini, una fameja ad fénòmen” è stato emozionante e commovente. Non è stato neanche leggere un libro, ma è stato come essere al bar, di notte, quando di ritorno da una delle gaudenti notti di quand’eravamo giovani, prima d’andare a letto ci si fermava a tirar ancora più tardi al bar. Essere ancora lì e trovarci Meo che ci racconta una storia, una bella storia.” (Bruno Baraccani)
La foto è di Carlo Landucci, il libro è “I GORDINI, una fameja ad fénòmen”. Ho scritto la storia di Meo; Flavio Dell’Amore quella di Michele: il papà di Meo, ciclista che ha corso tre Tour de France e sei Giri d’Italia negli anni Venti.