Joe Goossen è un californiano di 66 anni. Un allenatore di ottimo livello. Ha lavorato con Michael Nunn, Diego Corrales, Gabriel e Rafael Ruelas, Joel Casamayor. La boxe è un amore che condivide con l’intera famiglia. Sabato ha annunciato che preparerà Kubrat Pulev (28-1-0, 14 ko) in vista del mondiale Wba, Wbo, Ibf del 20 giugno a Londra contro Anthony Joshua (23-1-0, 21 ko).
Gooseen non ha mai avuto tra i suoi pugili un campione del mondo dei pesi massimi. Ha allenato Lionel Butler, Lance Whitaker, Dominic Guinn, Malik Scott. Ma nessuno di loro si è avvicinato al titolo. Joe si è detto fiducioso, un successo di Pulev sarebbe una sorpresa per tutti. Ma non per lui.
Ho incontrato i Goossen nel marzo del 1989 a Las Vegas. Ero lì per il mondiale medi tra Sumbu Kalamby e Michael Nunn. Così racconto di lui nel mio ultimo libro.
Musica rap nelle mie orecchie.
Michael Nunn danza sul tappeto del ring.
«Puoi vederlo allenare, ma niente interviste».
Dan Goossen è stato chiaro questa mattina quando l’ho incontrato nella suite che lo ospita all’Hilton Hotel. Ha 39 anni ed è il presidente della Ten Goose, una società che promuove eventi. Lo stemma del gruppo è un’oca all’interno di una stella. La famiglia Goossen è totalmente coinvolta nel pugilato.
Joe allena Nunn, suo fratello Greg lo aiuta. Greg ha un passato da giocatore professionista di baseball nei New York Mets e nei Los Angeles Dodgers. Ora lavora nel cinema come stuntman. Mike è l’avvocato del gruppo, Larry il contabile, Gordon l’esperto di tasse, Ellorie la segretaria.
Anche Ann, la mamma, dà una mano.
Al, il papà, stato detective della Omicidi di Los Angeles. Il suo caso più famoso è quello di Caryl Chessman, il bandito della luce rossa. Condannato a morte per rapina, sequestro e abuso sessuale, riuscì a ottenere ben otto rinvii dell’esecuzione in dodici anni di detenzione. Sulla sua colpevolezza ci furono molti dubbi.
Michael Nunn salta la corda, si muove veloce sul ring, colpisce a tempo di musica la pera veloce.
Gene Hackman, appoggiato sull’ultima corda, lo guarda con attenzione.
Nunn è passato professionista a fine ’84. Prima borsa 500 dollari, aggiunti allo stipendio da camionista formavano una cifra con cui poteva dare una mano a casa. I tifosi gli avevano subito regalato un soprannome. Dal quinto incontro da pro era diventato Michael Second To Nunn. Un giochino di parole che si basava sulla pronuncia americana (nan per Nunn): secondo a nessuno.
«Dillo al tuo amico, non potrà batterlo. Il vostro pugile è il migliore del mondo, dopo Nunn. Se l’italiano combatterà per sopravvivere perderà ai punti, se ci proverà perderà per ko. E io so che ci proverà».
Joe Goossen guarda estasiato il suo pugile.
Joe è un biondone, fisico scultoreo, abbronzato, movenze delicate. Unge di olio Nunn prima dell’allenamento e sussurra preziosi consigli.
Gene Hackman scioglie i bendaggi del suo amico e lo fissa carico di ammirazione. Dan Goossen mi guarda e fa un cenno di assenso con la testa.
L’americano è veloce con entrambe le mani, ha una boxe armoniosa, un fisico ben costruito. Con quelle gambe esili e i glutei nascosti dovrebbe fare tranquillamente il medio, nonostante i 188 centimetri di altezza.
«Visto? Te l’avevo detto, è proprio un fenomeno».
Sorrido.
«È un talento».
Il manager mi saluta e mi chiede cortesemente di uscire. È arrivato il tempo di lavorare sul serio, meglio non ci siano occhi indiscreti in giro.
Il cancelletto di ferro si chiude alle mie spalle.
«Ciao!».
Johnny Tocco saluta e torna dentro.
Certo che questo Nunn è proprio bravo…
Un solo colpo, un gancio sinistro sparato con potenza devastante ha chiuso il conto. Kalambay l’ha preso nella peggior maniera possibile. Fermo, a freddo, con il destro basso, senza difesa.
Nunn è un fuoriclasse. In 88 secondi ha dimostrato di aver personalità, capacità di inquadrare velocemente il match, di mettersi in azione senza tentennamenti, di possedere più potenza di quanto si pensasse.
Festeggia tutta la notte.
Joe Goossen, vestito in abito da serata agli Oscar, ciuffo biondo artificiale spettinato, sguardo da attore commenta con un ghigno soddisfatto.
«Un pugno, un milione di dollari. È così che mi piace».
In fondo alla sala Tom Cruise e Gene Hackman sorridono felici.
Joe passeggia come se sfilasse in attesa degli applausi.
Passa Sugar Ray Leonard.
«Nunn è forte, è stato molto bravo. Ma a me continua a piacere Kalambay».
(da Eravamo l’America di Dario Torromeo, editore Absolutely Free)