Dicembre 1964, Palasport di Roma.
Mondiale superwelter unificato WBC, WBA
Sandro Mazzinghi b. Fortunato Manca punti 15.
Anche se tifa Coppi, Sandro è assai più simile a Bartali. Scarmigliato, generoso, devoto a santa madre fatica, tutto cuore e rabbia agonistica. Un toro scatenato di casa nostra. Ma anche uno a cui non sta mai bene niente.
«L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare».
È il motto di famiglia, il marchio di Ginettaccio. Un pensiero che Mazzinghi col tempo ha fatto suo.
E questo a molti non piace, perché il campione è così anche fuori dal ring. Tutta sostanza e poca diplomazia.
Si fatica a entrare in sintonia con lui.
Alla stampa a volte piace essere blandita. O, perlomeno, ama sentirsi sulla stessa lunghezza d’onda del soggetto da raccontare. Con lui è quasi impossibile. Per questo può accadere che non gli perdonino alcun peccato. E a volte se ne inventino qualcuno pur di non riconoscere il suo valore.
E adesso che sta arrivando Fortunato Manca, si sentono voci di dissenso che presentano lo sfidante come una vittima sacrificale.
Il sardo di Monserrato ha distrutto il favorito Francois Pavilla il 9 ottobre mettendolo ko in sei round e conquistando così l’europeo. Il 6 novembre Mazzinghi ha fulminato Ortega.
Rino Tommasi, che è uno specialista nel genere, ha realizzato subito l’idea che una sfida tra i due sarebbe il meglio che si possa offrire al pubblico prima del grande confronto tra Sandro e Benvenuti.
Difficile la trattativa con Umberto Branchini, manager dello sfidante. Quattro milioni di borsa risolvono il problema. Ancora una volta ha ottenuto il meglio per un suo pugile. Non a caso lo chiamano “Il Cardinale”, un soprannome regalatogli dal giornalista Sergio Roscani per la sua competenza, per il modo di gestire le situazioni. Anche le più complicate. Raramente perde la calma. Ha tatto e cultura. Parla inglese, francese, spagnolo e portoghese. È il primo manager moderno della nostra boxe. Ha contatti ovunque, si tiene informato, spende milioni in bollette telefoniche. Stavolta si è battuto più che in altre occasioni perché crede fortemente nelle qualità di Manca.
«È dotato di un fisico fantastico e di una scelta di tempo eccezionale, pur non essendo velocissimo. Ha pareggiato con Visentin che è stato formidabile antagonista, più che formidabile protagonista. È arrivato assai vicino a Duilio Loi. Ed è un degno campione d’Europa, titolo conquistato con un’impresa straordinaria».
Sconcerti si accorda per sei milioni di lire. A Mazzinghi va più che bene.
Palasport esaurito, 17.000 spettatori e 44 milioni di incasso. Un successone.
Manca è un ottimo pugile.
Quando è impegnato in casa i sardi si stringono attorno al ring e tifano da pazzi per lui. C’erano venticinquemila persone allo stadio Amsicora di Cagliari il giorno in cui, sotto una leggera pioggia, ha pareggiato in 12 round contro Bruno Visentin per il titolo italiano dei welter. I ragazzi avevano scavalcato i muri di cinta per vederlo combattere. Non avevano i soldi per il biglietto e si dovevano arrangiare. C’erano trentamila spettatori quando ha perso ai punti in 15 riprese contro Duilio Loi, l’unico capace di mandarlo al tappeto da professionista, nell’europeo dei welter.
Sopracciglia folte, sorriso contagioso. E sul ring grande ritmo, fisico robusto, ottima scelta di tempo, resistenza ai colpi e pugno pesante. Un avversario davvero pericoloso. Ha scoperto la boxe ammirando Joe Louis mentre si allenava al Poetto, guardando Primo Carnera al cinema. Si è allenato con Lello Scano, il principe dei maestri. Uno che poneva la disciplina davanti a ogni cosa.
Ha lavorato per un periodo al Touring Club dove faceva il fattorino, quando gli hanno proposto un contratto è scappato via. Lui voleva tirare cazzotti su un ring.
Ha girato l’Italia intera e visto un po’ di Europa. Adesso è pronto per la grande sfida.
Quello contro Mazzinghi è un incontro feroce, sfiancante, a tratti crudele.
Sembra si stiano battendo per la loro stessa vita. I colpi girati sono le armi migliori. Ganci e montanti, al mento e al corpo, sparati in successione.
Guardi Sandro e vedi che avanza cercando un continuo contatto fisico, deve picchiare senza sosta per succhiare energie al combattimento. A chi lo osserva per la prima volta la sua potrà sembrare una tattica scriteriata. In realtà è il solo modo di battersi che conosce, il pugilato per lui è questo. Una battaglia dove dare tutto in ogni secondo che si rimane sul ring. Un corpo a corpo in cui ognuno di quei colpi corti potrebbe risultare decisivo. Una metodica opera di demolizione che richiede coraggio, fisicità e preparazione.
Davanti alla solida difesa di Manca, Sandro fatica a trovare il pugno risolutore e spesso si fa portare fuori strada sino a mancare il bersaglio.
Guadagna un discreto vantaggio nelle riprese iniziali, poi subisce quando il match va oltre la metà della distanza prevista. Nel finale consolida la supremazia, anche se Manca è sempre pericoloso, pronto a replicare in ogni momento.
Quando suona il gong che annuncia la fine della quattordicesima ripresa, all’angolo del campione si dannano l’anima per convincerlo a violentare la sua indole, a farsi prudente.
«O’ Sandro sei avanti di almeno tre punti. Non rischiare».
Guido ci prova, ma non sembra ottenere risultati apparenti.
«Un colpo e via, un colpo e via. Niente bagarre» urla Sconcerti.
Tutto attorno è una bolgia.
L’arbitro Giorgio Tinelli chiama i due a centro ring per l’ultimo round.
Gong.
Mazzinghi si lancia all’attacco.
«Saaandrooo!»
È più un grido disperato che un richiamo alla prudenza quello che Guido lancia.
Attacca il campione, reagisce lo sfidante.
Un gancio, un altro ancora.
È uno scontro entusiasmante. Il pubblico sembra impazzito. Applaude, si alza, si rimette a sedere. Grida, impreca, incita.
Montante destro, gancio sinistro. Un altro montante.
La gente è in delirio. Sembra siano saliti tutti sul quadrato.
Diciassettemila pronti a combattere sino a quando non sentiranno il gong che annuncia la fine di quel fantastico match.
Bam!
Il colpo di Manca centra Mazzinghi alla mascella e l’intero scenario cambia all’improvviso.
Gli occhi di Sandro si appannano, gli sembra che tutta la folla, che prima era attorno a lui, sia sparita. Adesso non sente più le urla dei tifosi. Guarda le persone delle prime file di ring e le vede altissime e magre, poi quei corpi si accorciano sino a diventare piccoli, sempre più piccoli, addirittura minuscoli. Nella testa del campione c’è una grande confusione. Le gambe sono deboli, non rispondono ai timidi stimoli che il cervello cerca di comunicare.
Accade di nuovo. Quel senso di vulnerabilità provato contro Charley Austin torna prepotente e maligno.
La disperazione è dietro l’angolo. Sandro accusa vistosamente, cerca rifugio alle corde, è intontito e barcollante.
Fortunato Manca sembra un gigante dalle mille braccia.
La fine è vicina. Mazzinghi lo sente, lo sa. Ma ha uno scatto di orgoglio. Si danna l’anima, stringe i denti, recupera lentamente energie e riesce a chiudere quell’ultima e maledetta ripresa.
Il verdetto ai punti è suo, con margine chiaro.
È ancora campione del mondo, ha vinto la prima sfida per il titolo tra due italiani. Dovrebbe essere felice, ma non ce la fa.
«Fortunato Manca è un pugile duro, potente, con un grande cuore. Come me. Ho vinto il match sul filo del rasoio. In alcune riprese, soprattutto nell’ultima, ha saputo mettermi in difficoltà con dei colpi potentissimi. Ma sono abituato alla battaglia e nulla riesce a esaltarmi di più di una sfida condotta su quei ritmi. Ho faticato tanto, ma ce l’ho fatta».
Reso l’onesto omaggio al rivale, torna lentamente nello spogliatoio.
Lì, seduto su una panca, si ritrova in compagnia di tutti i dubbi messi assieme negli ultimi mesi.
Ha bisogno di fermarsi, di riposare, di recuperare.
Il tarlo che lo tormenta non smette mai di lavorare.
Giorno e notte gli ripresenta le stesse domande.
Ha appena scoperto di essere vulnerabile. Prima si sentiva una roccia che niente e nessuno poteva scalfire. Una sorta di supereroe che poteva andare incontro a qualsiasi pericolo senza temere né il dolore, né la sconfitta.
Adesso nella mente si è sviluppato uno stato emotivo di insicurezza, qualcosa di assai vicino alla paura.
(da “Anche i pugili piangono” di Dario Torromeo, edizioni Absolutley Free, 224 pagine, 15 euro)