Leon Spinks, vincitore di Ali e mondiale a 24 anni, lotta per la vita

Il sito TMZ.com ha scritto che l’ex campione del mondo dei pesi massimi Leon Spinks è in fin di vita in un ospedale di Las Vegas. La moglie Brenda ha postato su Facebook un messaggio che invita a pregare per lui.

Leon Spinks molti anni fa sfoggiava un gran testone e una finestra enorme nella dentatura, praticamente da quando era un ragazzino gli mancano tutti e quattro gli incisivi superiori. Ma ha sempre posseduto un sorriso contagioso, un omone pronto a giocare con i bambini, a scherzare con gli amici.
Ha scritto la storia con le sue mani, conquiste e tragedie gli appartengono. Non può incolpare nessuno per i peccati commessi, ha gran parte di merito nei successi ottenuti anche se qualcosa dovrà pur dovuto riconoscere ai suoi allenatori: Sam Solomon, George Benton, Emanuel Steward.
Ha vinto l’oro nei mediomassimi ai Giochi di Montreal 1976 battendo in finale, per kot 3, il cubano Sixto Soria. Nella stessa Olimpiade in cui il fratello Michael ha conquistato identica medaglia nei medi.

Ha poi imboccato il cammino del professionismo. Ha conosciuto troppo presto il successo, la popolarità universale, quella ricchezza che non aveva mai avuto.
Il 15 febbraio del 1978, a 24 anni e con un record di 6-0-1, è salito sul ring di Las Vegas e ha sconfitto per split decision in quindici riprese Muhammad Ali. Una sorpresa epocale, con i bookmaker che pagavano 10/1 le scommesse su di lui.
Ha battuto il mito ed è volato in orbita. Giornali, televisioni, radio, tifosi, ammiratori di tutto il mondo hanno voluto sapere chi fosse questo ragazzo dai capelli neri e ricci, dal fisico non certo da colosso e dall’andatura ciondolante.

Non era un fenomeno, ma a nessuno importava che lo fosse. Aveva sconfitto Ali e godeva di luce riflessa. Per guadagnarsi quella sfida, appena tre mesi prima, aveva superato ai punti e di stretta misura (46-44 per tutti e tre i giudici, sui dieci round) il riminese Alfio Righetti all’Hilton Hotel di Las Vegas, la stessa arena del mondiale.
Aveva una boxe veloce, mani rapide, buon movimento di gambe e pugno solido anche se non travolgente.

Ha vinto e perso, ha affrontato i migliori. Il titolo che si era messo in tasca era unificato. Aveva perso la fetta del WBC per non averlo difeso contro lo sfidante ufficiale Ken Norton. Aveva ceduto la parte della WBA, esattamente sette mesi dopo, allo stesso Ali che lo ha dominato ai punti.
Ha guadagnato bene, dicono attorno ai cinque milioni di dollari in carriera.
Ha perso tutto. Sul ring e fuori.

Bene i primi nove anni, chiusi con un record di 17-4-2, poi dal 1986 in poi il lento declino (9-13-1, con sette knock out subiti). È rimasto sul ring fino a 42 anni.
In mezzo ci sono un divorzio, la bancarotta, la perdita della casa, le notti trascorse in un triste ricovero di St Louis, l’avventura nel wrestling per mettere assieme qualche dollaro, alcuni arresti, le tribolazioni nate per avere continuato a combattere quando non aveva più difesa.
Le parole che si incastrano tra di loro, una diagnosi di dementia precoce, problemi all’addome complicati da una perforazione provocata da un osso di pollo. Due operazioni, i ricoveri nell’ospedale di Las Vegas dove si è nel frattempo trasferito.
E poi le tragedie di famiglia. La morte del figlio Calvin, ucciso da un colpo di pistola mentre tornava in macchina verso casa. E quella di uno dei fratelli.
La gioia di un mondiale tornato in famiglia, quello dei pesi welter IBF grazie a suo figlio Cory che lo aveva conquistato contro Michele Piccirillo il 22 marzo 2003, dopo che il pugliese lo aveva superato undici mesi prima.
Ha cercato e trovato spesso lavoro. All’accoglienza di un ristorante di Mike Dikta, star della NFL, a Chicago. Custode all’YMCA, autista di camion per McDonalds.
Il suo è stato un incessante vagabondare tra Missouri, Nebraska e Nevada. L’approdo a Vegas assieme alla nuova moglie Brenda Glur sembrava potesse fargli trovare un po’ di pace. Ma i problemi di salute non gli hanno concesso tregue.

È stata proprio Brenda a lanciare l’allarme lunedì scorso.

Cari amici… è passato un po ‘ di tempo. Comunque voi sapete come io creda nel potere della preghiera. Vi chiedo di inviare gentilmente alcune preghiere per il mio bellissimo 💓 marito Leon. Nella speranza che possa superare gli ostacoli che hanno attraversato il suo cammino. Vi vogliamo bene tutti e apprezziamo il vostro sostegno.

Così ha postato sul suo profilo Facebook.
In molti hanno raccolto il messaggio, personaggi famosi e amici.
E adesso Leon Spinks continua a lottare, disteso su un letto d’ospedale.
Ha 66 anni.
È nato a St Louis, Missouri, l’11 luglio del 1953.
Ha attraversato la boxe come una meteora, prima piena di luce, poi nel buio di sale di periferia. A Eugene, Trumbull, Nanimo, Davenport.

Ha combattuto anche in Italia, a Jesi, dove il 22 maggio del 1987 è stato messo ko al settimo round da Angelo Musone. È stata l’ultima volta che l’ho visto sul ring. Viso truce all’arrivo nelle Marche, sguardo un po’ cattivo sotto i riflettori della Tv. Solo e disperato quando era lontano da tutti. Ero nell’area davanti all’albergo che ci ospitava per una passeggiata dopo pranzo, quando lui aveva attraversato il cortile e silenziosamente imboccato la strada. Gli camminava accanto uno del clan, uno che aveva l’unico compito di rispondere alle sue domande se mai l’ex campione avesse avuto voglia di fargliene una.
Se ne erano andati in silenzio, lasciando tutto attorno un messaggio di infinita tristezza.
La sua discesa era appena cominciata.

 

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