Franco De Piccoli oggi festeggia 82 anni.
Ripropongo un articolo scritto qualche tempo fa.
A lui ho dedicato molte pagine de “L’Oro dei Gladiatori”
Roma 1960, la magica Olimpiade della boxe italiana.
Franco De Piccoli ha il naso schiacciato e lo sguardo da duro.
È nato a Campalto, alle porte di Mestre. In una zona di campagna, ma con la gioia di avere la laguna sempre davanti agli occhi.
Mamma Uliana trasportava viveri con la barca.
La guerra era appena scoppiata quando Franco, un bimbo di appena tre anni, aveva rischiato di morire per un fibroma alla nuca. I medici lo avevano giudicato inoperabile. Ma Uliana era una che non si arrendeva mai. E così aveva caricato il piccolo sulla barca e l’aveva portato all’ospedale civile di Venezia. Aveva pianto, urlato, pregato, spinto fino a quando i medici si erano convinti ad operarlo di gran fretta. E l’avevano salvato.
Quando era un ragazzino il calcio gli era entrato nel sangue. Giocava da mediano, a volte da attaccante. Un mancino di piede, come poi lo sarà di pugno. Le passioni giovanili sono violente ma durano poco. E così il calcio era stato messo da parte in favore di un’altra disciplina affascinante, anche se più faticosa.
Si era comprato una bicicletta e aveva anche provato a pedalare come facevano i suoi idoli. Ma aveva già un fisico ingombrate, era fin troppo robusto.
Meglio dedicarsi ad altro. Le balere stavano diventando sempre più popolari. Ce ne erano tante anche nella zona di Venezia.
Ballare era divertente. E Franco (foto sopra con Musso e Benvenuti, i tre ori del pugilato a Roma ’60) si lanciava senza problemi. Il sabato al “Bagiggi” di Spinea era diventato un appuntamento fisso.
In quel locale era stato notato dal proprietario, uno che organizzava anche riunioni di pugilato. Gli aveva chiesto se volesse provarci.
Il primo match è datato 6 marzo 1955, a Spinea. Vittoria per ko in appena quaranta secondi contro Trevisan, un trevigiano di Susegana.
L’approdo in maglia azzurra era arrivato nel ‘57, per conquistare un posto nella squadra olimpica doveva confrontarsi con un altro veneto, Giorgio Masteghin. Fisico statuario, sfiorava i due metri e aveva una discreta potenza.
Nel ’58 De Piccoli perdeva a finale dei campionati italiani proprio contro Masteghin. Ma nel 1959 e nella stagione olimpica si sarebbe preso una doppia rivincita.
I primi convocati in nazionale erano stati 52. Si erano poi ristretti a 40 per la selezione al PalaEur romano. Erano ancora venti quando erano andati in ritiro, dal 10 al 25 luglio del ‘60, a Roccaraso. Ossigenazione in quota, qualche svago, poi tutti a riposo all’Albergo Reale. Su quei monti DePiccoli aveva trovato la tranquillità. Passava il tempo a cogliere fiori e a pensare.
Aveva nascosto a tutti il suo piccolo grande dramma. Prima di partire si era infortunato alla mano destra. Una forte contusione.
«A me basta il sinistro», ripeteva come una sorta di mantra.
Il 31 di agosto era il giorno dell’esordio olimpico. Franco aveva un montante devastante. Aveva potenza e scatto. E aveva giurato che alla fine dei Giochi avrebbe avuto al collo la medaglia d’oro.
Venneman, il suo rivale all’esordio, si era arreso dopo 1:30 dal suono del primo gong.
All’Olimpiade di Roma l’eroe di Campalto era arrivato dopo dure selezioni contro Masteghin. Aveva vinto il torneo “Giovani colossi” battendo Sante Amonti, Vogring, Saraudi, Scattolin.
In quell’Olimpiade del ‘60 il rivale più pericloso si chiamava Andrey Vasilyevich Abramov. Nel momento in cui il nome del sovietico era stato sorteggiato nella sua parte del tabellone, De Piccoli aveva subito pensato di essere un uomo sfortunato. Lo avrebbe affrontato al secondo match.
Andrey Vasilyevich Abramov aveva più di 300 match alle spalle e per due volte aveva conquistato l’ europeo. Lo chiamavano “l’orso russo”. Era avvolto da fascie muscolari possenti, un lottatore dallo sguardo di ghiaccio e dai capelli alla Marlon Brando. Era uno che picchiava e non si fermava mai.
Ma De Piccoli non lo temeva.
Il gancio sinistro al fegato con cui aveva centrato il russo nel primo round era stato una roba da paura. Il favorito del torneo era sull’orlo del burrone, a un passo dal ko.
Per uscire da una sorta di prigionia tecnica, il campione dell’Est aveva attaccato senza prudenza. Era stato a quel punto che era arrivato il gancio sinistro al fegato di De Piccoli. Era accaduto sul finale del primo round. Centro, bingo! Abramov si era piegato, soffriva, barcollava.
L’arbitro contava: “7, 8…“.
Il sovietico si inginocchiava verso l’angolo. Stava per dichiarare la resa? Il gong l’aveva salvato. E quando era cominciato il secondo round quello si era rialzato e aveva ripreso a combattere con più rabbia di prima.
Erano stati tre round intensi. E alla fine il successo era andato all’italiano.
Franco al Villaggio Olimpico divideva la stanza con Nino Benvenuti. Sulla parete di quella che sarebbe diventata la “stanza dell’oro” c’era un poster di Vittorio Tamagnini, oro ad Amsterdam 1928 nei leggeri.
-Ehi Nino, chissà se anche noi…
«Dai Franco, possiamo farcela.»
-Sarebbe davvero un sogno
In semifinale, avrebbe affrontato Josef Nemec che aveva vinto due medaglie di bronzo agli Europei.
Nella seconda ripresa l’azzurro sparava un gancio sinistro di incredibile violenza. Il guantone si apriva in due. Il match era sospeso.
Era più veloce De Piccoli, per salvarsi Nemec ricorreva al clinch. Legava, abbracciava e poi riprendeva a combattere. Un gancio sinistro dell’italiano lo centrava sul volto, lo metteva in difficoltà. Poi, tutto scivolava via su un piano di equilibrio. Era stato un match difficile, ma alla fine era stato vinto con pieno merito da De Piccoli (sotto con Benvenuti) che era così approdato in finale.
Solito dialogo all’angolo azzurro.
-Franco, hai paura?
«No, signor Rea. Difendo l’Italia.»
-Vai e faje vedè chi sei.
Si poteva cominciare. Erano bastati 40 secondi a Franco De Piccoli per piazzare una combinazione vincente. Il primo gancio sinistro, era stato magistralmente doppiato da un diretto destro. Entrambi al volto del sudafricano che era stato contato dall’arbitro polacco Neundig. All’“8″, Bekker aveva fatto segno che si poteva continuare. Era pronto a riprendere quella sfida ormai diventata impari. Decisione poco saggia.
De Piccoli lo travolgeva di pugni. Accorciava la distanza e piazzava colpi alla figura, poi al volto. Lentamente Daan si piegava verso il tappeto. Fletteva prima il busto, poi gli cedevano le gambe e lui era giù. L’arbitro contava fino al knock out tecnico dopo 1:30.
Franco De Piccoli era campione olimpico. Piangeva il gigante azzurro. E con lui piangevano molti degli spettatori del PalaEur. Quel ragazzone li aveva conquistati.
Un uomo semplice, un contadino arrivato dalla laguna veneta aveva appena preso Roma in pugno.