Mike Tyson sconta tre anni di prigione a Plainfield per lo stupro di Desirée Washington. Sei mesi dopo il rilascio torna sul ring contro Peter McNeely. A Las Vegas è il 19 agosto 1995, in Italia è già la mattina del giorno dopo. Questo è il racconto di quella sfida.
Vinny Vecchione viaggia da trent’anni con due fedeli compagni: il sigaro e un cappello che somiglia proprio tanto a una coppola siciliana.
Se ne sta su una sdraio a prendere il sole nella piscina dell’MGM Grand, per niente spaventato dai 40° all’ombra.
Appena lo vedo noto una cicatrice sulla spalla destra.
“È stato il colpo di una calibro 22” mi dice stiracchiando un sorriso.
Come è successo?
“Business, affari”.
Un settimanale di New York ha scritto che è un gangster. Lui non ha risposto, ha preferito tacere. La nonna era di Napoli, ma Vecchione nel nostro Paese c’è stato solo una volta: il 4 gennaio del ’74, ed era sotto falso nome.
Si faceva chiamare Paul Poirer, come un pugile che allenava. Quel giorno era stato sconfitto per ko in meno di tre round a Milano da Ennio Cometti.
Primo e ultimo match.
“Ero troppo furbo per andare avanti”.
Da tempo fa il manager, da cinque anni guida Peter McNeeley.
Il pugile è sdraiato accanto a lui. Il sole picchia forte, il caldo è insopportabile.
E sabato c’è Tyson.
Il giovanotto non sembra preoccuparsi né della temperatura, né di Iron Mike. Fa un salto al bar, bacia un’ammiratrice argentina, le promette un incontro caliente dopo il match. Si tuffa in piscina.
Il giorno dopo lo incontro in palestra. Si allena al Pat Barry’s Gym, al 3850 di Vanessa Avenue. Un locale incastrato tra alcuni depositi commerciali. Quando entro, sul ring c’è un ragazzino di otto anni. Si chiama Ray Ray Borquez, peserà al massimo trenta chili. Si muove come un professionista.
Il clan di McNeeley indossa magliette bianche con una enorme scritta nera.
“Shut up and fight”.
Sta zitto e combatti.
Peter non segue nessuno dei due consigli. Parla fino a seccarsi la lingua e si allena per non più di trenta minuti.
I giornalisti non sono teneri.
“È un manzo pronto per il macello”.
Boxing Monthly pubblica una grande fotto, la didascalia recita: “Book this guy an ambulance. Now”.
Questo ragazzo prenoti un’ambulanza. Adesso.
Lui scuote il capoccione e comincia a parlare. Lo fa in fretta, sputando tante parole e altrettanta saliva in faccia ai reporter.
La boxe fa parte della tradizione di famiglia da tre generazioni.
Tom sr, il nonno, ha combattuto per gli Stati Uniti ai Giochi del ’28.
Tom jr, il papà, ha affrontato Floyd Patterson per il mondiale massimi il 4 dicembre del ’61: ko in quattro round, dopo essere andato al tappeto dieci volte.
“Io ho 35 vittorie, trenta per ko e ventuno al primo round. Una sola sconfitta. Sono 7 per la Wba, 10 per il Wbc. E voi state ancora qui a discutere!”
Alza il braccio destro e rotea il polso come una trottola, poi lancia un urlo selvaggio e ride. Il ragazzo si diverte, per ora.
“Non sono Rocky. Non sono venuto fuori a sorpresa dal libro dei record. Questa occasione me la sono guadagnata”.
La pancia di Peter sussulta, forse l’ha sparata troppo grossa. Suda e continua a fare il gradasso.
“Sto per rimandare Tyson a riposo per altri quattro anni”.
Vinny Vecchione è più saggio.
“Abbiamo preso il biglietto vincente della lotteria, abbiamo vinto il primo premio”.
Ho visto combattere Peter McNeeley a Worcester, nella riunione in cui Agostino Cardamone perdeva il mondiale medi contro Julian Jackson.
Se Tyson sarà in buone condizioni, Don King potrebbe essere arrestato per tentato omicidio.
Qualcuno lo fa presente all’uomo dai capelli elettrici.
“Basta con questa discriminazione razziale nei confronti dei bianchi”.
Inarrivabile.
McNeeley intascherà 870 milioni di lire. Fino a qualche tempo fa prendeva poche centinaia di dollari a match.
“Appena sufficienti per il taxi”.
Ha fatto l’imbianchino, il carpentiere e anche il tassista. A diciott’anni si è scoperto pugile. Nella stanza della casa di Mildfield c’è un enorme manifesto di Mike Tyson con lo sguardo da uomo più cattivo del pianeta.
“È sempre stato la mia ispirazione”.
I genitori si sono separati quando aveva dodici anni. Il papà vive da solo. Peter sta con la mamma, professoressa al College, e tre fratelli in un bel villino di legno con la bandiera americana davanti alla porta.
“Appartengo alla classe media, sono uno che ha studiato, so mettere assieme due parole. Ho il diploma in Scienza Politiche. Non continuata a chiamarmi Rocky”.
E come preferiresti essere chiamato?
“Hurricane”.
Ha 26 anni, un divorzio alle spalle e fidanzate sparse per lo Stato.
In Norvegia sarà TV1000 a trasmettere il match, negli studi ci sarà una graziosa fanciulla dai lunghi capelli biondi e dai lineamenti perfetti. Entra in palestra una moretta, ha uno stacco coscia eccezionale.
“È la fidanzata di Peter?” chiedo.
“Diciamo che è una delle sue donne” risponde uno del clan.
Torno in piscina. La dolce argentina che prima stazionava al bancone del bar ora sta nuotando tra lo folla e agita la manina per farsi notare. Ma il giovanottone, irlandese da parte di padre e napoletano da parte materna, punta più in alto.
“Ho conosciuto un’amica di Desirèe Washington e le ho dato il mio numero. Falle chiamare la Hurricane Hot Line, quella ragazza mi piace. È stata travolta da uno scandalo che le ha sconvolto la vita, voglio consolarla”.
In quanto a mancanza di classe è sicuramente al livello di Tyson.
Sabato sarà proprio Iron Mike l’uomo che si troverà davanti.
“Lui cercherà di uccidermi. Io dovrò farlo prima”-
Buona fortuna Peter, ne hai bisogno.
In conferenza stampa Peter Hurricane McNeeley prova a prendersi la scena e per farlo insulta i giornalisti.
“Stupidi, continuate pure a ridere. Ma io ho il coraggio di salire sul ring contro quest’uomo, voi ve la fareste nei pantaloni”.
Poi legge una poesia, un triste e patetico tentivo di imitare l’inimitabile Muhammad Ali.
Mike Tyson cosa pensi di McNeeley?
“È divertente”
E sabato?
“Si divertirà meno”.
Lo odi?
“No, come non ho mai odiato nessuno”.
Quel bamboccione di Peter spalanca gli occhi e fa la faccia da cattivo. Non metterebbe paura a un neonato. Accanto a lui c’è Tom jr, il papà. La casa dove oggi abitano è stata comprata con i soldi guadagnati per il mondiale contro Patterson. L’unico ricordo felice di quella notte il signor McNeeley se lo porta sempre dietro. Sono ritagli di giornali dell’epoca, raccontano di un uomo coraggioso. Dieci volte giù, dieci volte in piedi per poi cedere per knock out dopo quattro riprese.
La notte di sabato il match dura poco.
La folla urla, Tyson esce a testa bassa.
McNeeley non riesce a evitare le parolacce delle prime due file, sono quelli che hanno pagato duemila dollari per uno spettacolo che forse ne valeva al massimo venti.
Due minuti di insulti. In diciassettemila a scandire una sola parola.
BULLSHIT!
Una parolaccia che si spara in faccia a chi non si stima per dirgli che non crediamo a una sola cosa di quello che ha detto.
Era iniziata in modo decisamente diverso.
Un’ovazione pazzesca accoglie Mike Tyson mentre sale sul ring.
Quando il match comincia, in Italia sono le 5:50 del mattino.
Dopo otto secondi Peter Hurricane McNeeley è già a terra. Un destro lo fa rotolare giù. Dopo ottantanove secondi è tutto finito. Un montante destro, preceduto da due ganci sinistri, centra il bamboccione di Boston.
Giù, al tappeto, contato.
Attenzione, che succede? C’è qualcosa che non va.
Vinny Vecchione salta sul ring. Che ci fa il manager dentro il ring?
“Non capisco perché l’angolo di McNeeley abbia interrotto il match, poteva tranquillamente andare avanti” dice Mills Lane, l’arbitro.
“L’ho appena toccato” conferma Iron Mike.
Alle 5:57 del mattino è già tutto finito.
Peter, non più Hurricane ma declassato a leggera perturbazione, abbraccia Tyson e gli parla all’orecchio.
“Ho rispetto per te, da quando ho cominciato sei il mio eroe”.
Poi la festa.
Sì, c’è proprio qualcosa che non va.
Sale sul ring papà Tom jr e Nancy, la mamma: una donna la cui bellezza è ancora oggi evidente. Scavalca le corde il fratello, lo raggiunge la fidanzata. Tutti baciano tutti, si complimentano dandosi il “cinque”, sorridono.
Sono felici che il ragazzo sia ancora vivo” dice un vecchio giornalista davanti a me.
Solo uno rimane fuori dalla mischia.
Vinny Vecchione è un tipo un po’ chiacchierato. Oltre alla cicatrice sulla spalla destra, ne ha una sulla pancia. Questo signore di cinquant’anni, con la coppola calata sulla fronte e un sigaro lungo una vita perennemente tra le labbra, è uno che si sa muovere.
Racconta.
“Quando l’ho visto andare giù per la seconda volta mi sono venuti alla mente Jimmy Garcia e Gerald McClellan”.
Il primo è morto qualche mese fa dopo un combattimento a Las Vegas, l’altro è stato a lungo in coma dopo il mondiale contro Benn a Londra.
“Peter ha 26 anni, una vita davanti, altre occasione. Non mi pento della decisione che ho preso”.
Sembra tranquillo Vinny quando dice queste parole. Chi conosce tutta la storia, spiega che da molti anni quest’uomo si porta dietro l’angoscia di un figlio cerebroleso. Molte decisioni sono condizionate da questa drammatica situazione.
Ecco avanzare Marc Ratner.
“Che pensate di fare?” gli chiedo.
Quest’uomo magro, lunghi capelli grigi e baffetti da sparviero, grande familiarità con Don King, è il presidente della Commissione Atletica del Nevada.
“Vecchione ha fatto calare delle ombre sul match. Entro trenta giorni sarà chiamato a rispondere di quello che ha fatto. Per ora blocchiamo la sua borsa. Il pugile riceverà invece quanto gli spetta”.
Tocca a McNeeley.
“Dopo il secondo knock down ero scosso. Le ginocchia mi si incrociavano, ero instabile”.
“Sei un bugiardo!” urla un giornalista in fondo alla sala.
“Guardate il filmato del match”.
C’è caos in questa enorme stanza che ora sembra essere diventata incredibilmente piccola.
Tyson batte i pugni sul tavolo e urla in faccia a Don King.
“Sbrighiamoci, ho altre cose da fare!”
Molte domande sono per McNeeley e Iron Mike sembra addormentarsi.
L’Uragano prova a difendersi.
“Mi ha dato un colpo talmente veloce che non sono riuscito a vederlo. Voi dite che era un montante, io ancora non lo so”.
Tyson si sveglia e ride.
La folla ha già lasciato l’Arena. Chiunque abbia tirato fuori un solo dollaro per questo indegno spettacolo è furibondo.
Don King ha festeggiato sessantaquattro anni.
Dai diciassettemila dell’MGM Grand ha ricevuto pochi messaggi di auguri.
McNeeley e famiglia hanno un party al Betty Boop Bar. Sono felici per gli 870 milioni della borsa.
Il Daily News, tabloid di New York, mette il sigillo alla serata con un titolo crudele.
“L’ultimo match contro un’adolescente si era chiuso con un altro verdetto: stupro”.
(da “Il match fantasma” di Dario Torromeo. Edizioni Absolutely Free)