Storia di Bobby Chacon, gloria e tragedie di un campione maledetto…

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Bobby è morto!

John è appena entrato nel vecchio bar di Las Vegas dove ogni sera passa ore e ore a parlare con amici che conosce da sempre.

Lo so” gli risponde Arthur. E mentre mette assieme le due parole porta alla bocca l’ennesimo scotch.

L’ho visto meno di un mese fa a Hemet, nella casa di cura dove era ricoverato da tempo. Parlava lentamente, strascicava le parole, la voce era flebile e sembrava uscisse a fatica. Proprio come era accaduto una decina di anni fa quando lo avevano inserito nella Hall of Fame. Nei periodi buoni ricordava date e nomi, ma la maggior parte del tempo viveva in un mondo in cui non lasciava entrare nessuno”.

Un pugno sul tavolino tondo di legno, una botta terribile. Peter sorprende tutti. Ora occhi e orecchie sono su di lui.

Fermi! Non dite una parola di più. Bobby non merita di essere ricordato con frasi pietose. Avete già dimenticato l’eccitazione che ci ha regalato? Eravamo tutti in piedi e applaudivamo senza sosta, sembravamo impazziti. Ci scordavamo in che luogo fossimo, non sapevamo neppure più quale fosse il nostro nome. Rafael Limon, Alexis Arguello, Danny Lopez, Cornelius Boza Edwards, Ray Mancini, Ruben Olivares. Gente che sul ring portava soprannomi come Bazooka, Boom Boom, Little Red. Campioni, fuoriclasse. Li ha affrontati tutti. Che battaglie! Una sfida a corta distanza fino a quando uno dei due non cedeva. Colpi, ferite, tagli, sangue, sudore e lacrime. E noi lì senza farci neppure una domanda, felici di quello che vedevamo. No, Bobby non deve essere salutato con il pianto e la commiserazione, merita un ultimo lungo applauso”.

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Ora lo scotch va giù come se fosse acqua.

Le facce di cinque signori sono segnate dal tempo. Nasi schiacciati, vecchi tagli mal suturati, sguardo da duri. Ma occhi che trasmettono ancora una scarica elettrica e quando ti fissano fanno paura.

C’è tanta rabbia nel vecchio bar di Las Vegas in questa calda sera di fine settembre.

Il bancone in legno antico ha visto giorni migliori, le cannelle che mandano giù birra hanno macchie scure su un ottone che una volta brillava. Il barman non ha più di quarant’anni. Guarda quel gruppetto di anziani e scuote la testa. Ha paura che presto dovrà chiamare la sicurezza. Quelli continuano a parlare a voce alta, senza però lasciarsi andare a scatti d’ira. Vogliono solo urlare la rabbia per Bobby, per l’amico che non c’è più.

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Vi ricordate quella notte? Ma sì, come potremmo dimenticarla?” dice Arthur.

Eravamo al Memorial Auditorium di Sacramento.”

E non era certo Salvadore Ugalde a metterci in agitazione. Quel messicano non poteva pensare di battere Bobby” dice, rosso in faccia, Peter mentre manda giù un altro scotch.

No!” un monosillabo, basta per far tacere gli altri quattro. John finora non aveva aperto bocca. Si asciuga una lacrima, strizza gli occhi e fissa quegli degli altri come se volesse entrare nelle loro anime.

Quella sera eravamo tutti lì a chiederci come potesse fare una cosa del genere. Salire sul ring poco più di ventiquattro ore dopo la morte della moglie. Valerie aveva solo 31 anni. Si era uccisa nella grande camera da letto, al primo piano della loro casa. Aveva alzato al massimo il volume dello stereo e si era sparata un colpo di pistola alla tempia. Stecchita, morta sul colpo. Ci aveva già provato il mese prima con una dose di pasticche che avrebbero ammazzato chiunque, ma Bobby era riuscito a salvarla. Stavolta non aveva voluto correre rischi. Aveva aspettato di essere sola e l’aveva fatta finita.

Si era stancata” Arthur entra con un filo di voce, ha quasi paura di interrompere il discorso di John. Ma lui Valerie la conosceva bene. Come conosceva da sempre Bobby. Erano cresciuti a Sylmar nella San Ferdinando Valley, nella grande Los Angeles. Tre ragazzi che avevano quasi la stessa età.

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Bobby aveva il volto da eterno bambino, vestiva in modo sobrio, indossava uno sguardo da attore. Uno di quelli che a Hollywood andavano forte e dal grande schermo facevano innamorare milioni di ragazzine. Sembrava proprio uno scolaretto. Per questo il vecchio cronista Bill Caplan l’aveva soprannominato Schoolboy.

A quello scolaretto la boxe era entrata nel sangue. Sembrava non potesse più staccarsene. E a Valerie non andava bene. Avevano tre figli e lui passava davvero poco tempo con loro. Era diventato campione Wbc dei piuma appena due anni dopo l’esordio nel professionismo. Messo via Alfredo Marcano in nove round, non si era fermato più.

Lei lo supplicava di smettere, ma il pugilato sembrava fosse una droga per Bobby. Non poteva farne a meno. E poi servivano i soldi. Ne aveva guadagnati tanti, ma tanti ne aveva anche spesi. Lei lo aveva implorato, minacciato, ricattato. Niente. Lui le prometteva che il prossimo match sarebbe stato l’ultimo. Ma poi ce ne era un altro e un altro ancora. L’ultimo era sempre il prossimo e la catena non si chiudeva mai. Neppure un colpo di pistola e la morte della moglie erano riusciti a fermarlo”.

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I ricordi arrivano come un fiume in piena, lo scotch aiuta la memoria e scioglie la parola. Entra in scena Luis, finora aveva solo ascoltato.

Me la ricordo bene quella sera. Messo ko Ugalde, Bobby è corso all’angolo. Ha abbracciato il fratello Allen ed è scoppiato in un pianto ridotto. L’ho sentito, ho sentito quello che gridava. “È finita! O Dio, è finita!” Ero nelle prime file di bordo ring e quelle parole sono entrate nella mia testa. Mi sembrava l’invocazione di un animale ferito. Non era un urlo di liberazione, ma grida di rabbia verso se stesso. Voleva convincersi che tutto fosse finito davvero. Sapeva benissimo che quell’incubo lo avrebbe perseguitato per sempre”.

Bobby è morto.

E i suoi amici lo onorano ricordandolo nel bene e nel male.

Che pugile fantastico! Un guerriero senza paura!” Arthur è stato il suo più grande tifoso. “Ha ingaggiato battaglie selvagge con Lopez, Olivares, Limon, Boza Edwards. Ha vinto e perso, ma non ha mai fatto un passo indietro”.

E cosa ha avuto in cambio? La dementia e la povertà!” John lo dice quasi sottovoce, come se parlasse a se stesso.

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Vederlo negli ultimi tempo è stato davvero triste. Faticava a ricordare, faticava addirittura a mangiare o a vestirsi da solo. Forse questo è colpa della boxe, ma la povertà non credo sia un’altra colpa da scaricare sul pugilato”.

Ora sembra che tutto il salone sia diventato buio, che un occhio di bue illumini quel tavolino dove cinque vecchi amici ne ricordano un sesto che non c’è più. Ma è solo la suggestione che tutte quelle parole hanno generato.

Sfila lentamente la vita di un campione che ha elettrizzato spettatori e gente del mestiere. Avrebbero potuto riempiere il Coliseum con la sfida a Danny Little Red Lopez, sarebbero venuti in 45.000 a vedere quei due guerrieri. Invece, come spesso accade, la gente mette pressione, la stampa soffia sul fuoco della passione e gli organizzatori non sanno resistere. Così quel match aveva riempito la più piccola Sports Arena. Era stato comunque un successo, uno spettacolo che nessuno dimenticherà mai.

Bobby era uno che accorciava la distanza e poi cominciava a picchiare. Le sue mani affondavano nel corpo del rivale. Non si fermava. O andava giù lui o crollava l’altro. E questo alla gente piaceva da morire. Due titoli mondiali, nei piuma e nei superpiuma. Cinquantotto vittorie su sessantasei incontri. Un idolo delle folle.

Un uomo solo.

Era salito sul ring per l’ultima volta il 2 giugno del 1988, una vittoria in dieci round su Bobby Jones a Orlando, in Florida. Ma neppure il ritiro dalla boxe lo aveva portato via dalle tragedie che avevano accompagnato la sua vita.

Sembrava che una maledizione lo inseguisse dovunque andasse. Evidentemente doveva pagare troppi peccati” la voce di Arthur, rauca e affannata, sembra esca a fatica.

Tre anni dopo l’uscita di scena, è morto suo figlio. Bobby jr è stato ucciso in una sparatoria tra gang in un garage di Panorama City. A Bobby restava l’affetto di tre figli, della mamma e del patrigno. Ma aveva già cominciato la discesa verso l’inferno”.

Aveva provato a lavorare, a scappare dai demoni che riempivano le giornate. La droga aveva fatto il suo ingresso, lenta e implacabile si era introdotta in una vita di sofferenza.

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Mercoledì 7 settembre 2016 Bobby è caduto a terra e ha sbattuto la testa sul pavimento. Era al centro di assistenza a Hemet, Los Angeles. È morto per le ferite riportate, aveva 64 anni. La sorellastra Dolores Banegas non ha voluto donare il cervello del fratello alla scienza che studia traumi e conseguenze della dementia.

Bobby Chacon ha finito di soffrire. Ora di lui restano il ricordo di un guerriero senza paura e le lacrime di chi lo ha amato.

Scotch per tutti.

Arthur, John, Peter e Luis cercano nuove parole, a loro sembra l’unico modo per ritardare il più a lungo possibile il distacco dall’amico.

Carl tace. Come ha fatto finora. Ascolta e tace.

Lui a Bobby ha davvero voluto bene.

 

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