Il colpo è stato tirato, ma finora la reazione non c’è stata.
Lo Swindon Town, squadra inglese di League One (il terzo campionato britannico, per ordine di importanza) ha messo al bando quasi tutta la stampa.
Da ora in poi niente più interviste a giocatori o allenatore. Né nel dopo partita, né a metà settimana. Abolite le conferenze.
Le notizie e le interviste saranno gestite direttamente dall’ufficio stampa che poi le pubblicherà sul sito ufficiale o su un’applicazione, Fanzai, con cui ha chiuso un accordo commerciale.
L’eccezione a questo maledizione contro i giornalisti sarà la BBC, per il semplice fatto che nel contratto con cui ha comprato i diritti televivisi sono incluse le interviste.
Il primo colpo lo Swindon lo aveva dato proibendo qualsiasi contatto con i calciatori al quotidiano locale Swindon Advertiser. Nei giorni scorsi la squalifica è stata estesa a due siti web: Total Swindon e FLIC Wiltshire. E successivamente a ogni altro organo di stampa.
Il proprietario Lee Power ha detto che vuole fare qualcosa di nuovo e soprattutto non vuole che, a suo dire, i giornalisti manipolino l’informazione.
Su posizioni più o meno simili, con “squalifiche” ad alcune testate, si erano già mosse Newcastle United (Premier League), Rottherham United e Nottingham Forest (Championship), Port Vale (League One) e Crawley Town (League Two).
Il fatto che a colpire a testa bassa sia stata una squadra minore non ha scatenato alcuna dura reazione da parte dell’intera stampa britannica. Non c’è stata solidarietà, non ci sono state proteste ufficiali. Ma questo è solo il primo passo. Sono convinto che molto presto altre società sceglieranno l’informazione “fai da te”.
La stampa si troverà davanti a un bivio: o fare da amplificatore dei desideri dei club o uscire dal giro. A meno che non si arrivi a chiedere i diritti anche sulle interviste.
Non sarei contrario totalmente a questa seconda ipotesi, a patto che le stesse interviste siano sincere, senza reticenza e fatte da personaggi che abbiano davvero qualcosa da dire. Per leggere le insulsàggini che dicono i calciatori non pagherei una lira, figuratevi se pagherei per scriverle.
In Italia non siamo ancora a questo, ma non siamo neppure molto lontano da questo.
Il giornalismo sportivo sta rotolando all’indietro. È quello più lento a cambiare. Le ultime innovazioni sono datate fine anni Sessanta/inizio anni Settanta e riguardano pagelle e interviste. Poi, stop. E da qualche tempo è sparita anche l’informazione. Si è delegato tutto al web, al sito. Senza però farsi un’ulteriore domanda: come mai neppure sul sito riusciamo ad avere una notizia in esclusiva?
Lo scoop è rimasto territorio riservato ai film, ai libri. Sono stati tagliati i legami con il popolo degli atleti, dei dirigenti, degli operatori. Ormai sono loro che si servono dei giornali, usandoli come cassa di risonanza solo quando ne ricavano un’utilità per il proprio lavoro.
La stampa attuale soffre in larga parte di una mancanza di rinnovamento nel modo di fare informazione. Ha scarsa originalità nella confezione del materiale proposto e un’inesistente voglia di stimolare gli approfondimenti.
È in gran parte intervista-dipendente.
A questo si aggiunga il lento declino della professione, un avvilente livellamento verso il basso che ha permesso non molto tempo fa a un grande giornale nazionale di inserire in prima pagina la foto sbagliata del reporter americano trucidato dall’Isis. E, tornando allo sport, quella di Destro che va in gol usando non l’immagine della partita in questione. ma quella di due giornate prima.
È la stessa rilassatezza che porta un altro quotidiano a inserire due volte lo stesso articolo nella stessa pagina, a sbagliare tre titoli su cinque, a dare informazioni errate.
Il fenomeno della stampa italiana è un cane che si morde la coda. Poche vendite, riduzione degli organici, scadimento del prodotto, ancora meno vendite. E si torna alla casella di partenza per poi ricominciare il triste balletto.
La dipendenza dalla società di riferimento per numero di tifosi che comprano il giornale ha azzerato il concetto della stampa “cane da guardia” del potere.
Le telefonate dei proprietari di squadra ai direttori hanno quasi esclusivamente come tema la lamentela per un articolo che a loro giudizio avrebbe recato danno alla società di cui hanno il pacchetto di maggioranza.
Io sono un illuso, un romantico, un uomo fuori dal tempo e continuo a pensare che la stampa dovrebbe essere libera di poter scrivere, criticare, indagare su tutto quello che vuole.
Le società, nel caso si ritenessero danneggiate, avranno sempre l’arma della denuncia davanti alla legge per poter far valere i propri diritti. Ma mettere il bavaglio a prescindere è una cosa inaccettabile.
Solo che finché tocca ad altri ci si sdegna soltanto.
È proprio vero. È la stampa bellezza…