Dalla Nba al banco di McDonald’s

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DAVID Harrison era stato scelto al primo giro nel dratf Nba del 2004. Veniva da una buona stagione con la Colorado University: 17 punti di media e 8.8 rimbalzi a partita. Lo avevano preso gli Indiana Pacers.

Con loro ha disputato quattro stagioni guadagnando 4.4 milioni di dollari.

Poi ha giocato altri tre anni in Cina, una a Reno in una lega minore della NBA e nel 2014 con i Metrowest Ballas.

Per due anni ha lavorato in un McDonald’s. Non aveva soldi, il 95% del suo conto in banca non esisteva più. Aveva vissuto al di sopra dei suoi mezzi.

La storia è stata raccontata da Marc J. Spears giornalista di Yahoo Sports.

Una sera David era entrato in un McDonald’s per comprare qualcosa da mangiare a Dylan, il figlio avuto dalla compagna con cui divide una casa a Indianapolis. La sua carta di credito era stata bloccata dalla banca. Il titolare del ristorante l’aveva riconosciuto e gli aveva offerto gratis quel pasto, poi gli aveva proposto un lavoro al banco.

Harrison aveva accettato e per due settimane aveva frequentato il corso di addestramento. Il lavoro era buono e gli offriva un salario garantito.

Ero in imbarazzo. Ma avevo due bambini e a loro non interessava dove lavorassi. Avevano bisogno di mangiare. La gente voleva la mia macchina, avevo perso la casa, non guadagnavo nulla. Avevo una famiglia numerosa e dovevo avere cura di loro. Avevo bisogno i soldi.”

I clienti però impiegavano ogni volta mezz’ora prima di prendere l’ordinazione.

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Erano tantissimi quelli che lo riconoscevano e volevano scambiare due parole con lui. Gli altri rimanevano impressionati dalla mole: 2.13 di altezza per 113 chili di peso.

Il boss gli aveva parlato e l’aveva convinto che così non poteva andare avanti.

Ora David Harrison, ex professionista dell’NBA da un milione di dollari l’anno, cerca un altro lavoro che possa aiutarlo a sbarcare il lunario. A 32 anni ha perso ogni speranza di guadagnare giocando a basket.

Anche perché sul suo capo pesano una squalifica per possesso di marijuana e un’altra sanzione per rissa: 250$ di multa, 60 ore di servizi sociali, un anno di carcere con la condizionale. Era stato uno dei protagonisti di quella che era passata alla storia come “Malice at the Palace”, cattiveria al palazzo.

Il 19 novembre del 2004, al suo primo anno con gli Indiana Pacers, era stato tra i personaggi coinvolti nella rissa tra la sua squadra, i Detroit Pistons e i tifosi.

Tutto era cominciato con una lite tra Ron Artest e Ben Wallace. Il peggio era arrivato quando Artest era saltato sugli spalti per aggredire un tifoso che gli aveva lanciato contro una bottiglietta ancora piena d’acqua. Il giocatore degli Indiana Pacers lo aveva letteramente assalito.

Harrison era stato accusato di aver preso a pugni un 67enne.

Aveva dovuto spendere 85.000 dollari in avvocati ed era uscito decisamente male da quella vicenda.

Ora gira con pochi soldi in tasca. Fa qualche lavoretto, cerca di piazzare azioni, investe in piccole compagnie. È alla ricerca di un impiego solido, spera di guadagnare abbastanza per commercializzare un’applicazione di sua invenzione. I tempi della NBA e dei milioni di stipendio sono decisamente lontani.

Come ha scritto Marc J. Spearce: “Il suo esempio serva come ammonimento per i giovani giocatori della NBA affinché capiscano l’importanza di non sperperare il proprio denaro e di preparsi coscienziosamente alla vita dopo il basket.”

 

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