SORRIDE. Lo senti parlare e ti sta subito simpatico. La sua è una risata piena, contagiosa, quella di una persona di cui senti di poterti fidare.
Ma quando scende in pista diventa un uomo senza pietà. Non concede nulla, non lascia neppure le briciole, usa corpo e moto per lottare senza offrirti un centimetro di pista. Disegna le curva da artista, un artista che ha il cuore di un uomo che non ha paura di nulla. Non sai come faccia a uscire da quelle situazioni, ma poi capisci che è inutile farti tante domande. Marc Marquez è un fenomeno. Eccola qui la risposta a tutti gli interrogativi che ti circolano per la testa.
Fosse stato un pugile gli avrebbero già cucito addosso un soprannome che a lungo andare sarebbe diventato il suo vero nome, quello con cui tutti l’avrebbero chiamato. Me ne vengono in mente un paio.
“The smiling assassin” è il primo. Perché con quella faccia da bravo bambino ti porta a sbagliare. Pensi sia un tenero, ma chiunque dentro il mondo delle due ruote lo sa: il ragazzo si difende con ogni mezzo. A volte anche oltre il lecito. Ha una guida aggressiva, irruenta.
Il contatto con Jorge Lorenzo al GP Spagna 2013.
La caduta nel GP Inghilterra 2013 in regime di bandiera gialla esposta, quando durante il warm up ha rischiato di falciare i commissari di gara mentre stavano soccorrendo Crutchlow.
Il contatto con Dani Pedrosa ad Aragon sempre nel 2013.
È un duro il ragazzo.
L’altro nickname che mi frulla per la testa fa riferimento a un grandissimo: Marvin Hagler, l’ex campione del mondo dei pesi medi. Quel soprannome glielo aveva messo un giornalista, a lui era piaciuto così tanto da andare all’anagrafe e modificare le sue generalità. Da allora tutti lo conoscono come Marvin Marvelous Hagler.
Ecco, Marc Marquez è Meraviglioso.
Ha scritto il mio amico Paolo Scalera: “Affronta le curve in modo incredibile. Lo vedi con il gomito vicino al corpo per guadagnare qualche centimetro in più di inclinazione, la spalla destra è a un palmo da terra. Non è certo per lo spettacolo che fa tutto questo. È per vincere.”
Ha detto Nick Hayden: “È bello vedere un giovane pilota che usa angoli estremi di piega.”
Il giovanotto è come un equilibrista che si muove a quaranta metri dal suolo passeggiando lungo un filo d’acciaio. Tutti laggiù continuano a tremare di paura, lui si sente sicuro perché dentro di sé sa di poter affrontare qualsiasi rischio.
A 21 anni ha messo in fila una serie di record da fare paura. In poche stagioni ha raccolto quanto altri non riuscirebbero a fare in dieci carriere.
E pensare che tutto è cominciato con una letterina di Natale nel 1997. Aveva quattro anni e si era fatto aiutare dalla maestra dell’asilo. Lei gli aveva chiesto cosa volesse e lui con poche parole le aveva indicato la meta: “Voglio chiedere ai Re Magi una moto vera ma piccola come una formica.”
Quella moto era arrivata, una enduro con cui a sei anni avrebbe fatto la prima gara e a dieci avrebbe conquistato il primo podio.
Ne è passato di tempo, ma quel ragazzo è cambiato di poco.
Così giurano i genitori.
Il papà era operatore di una escavatrice. La crisi economica mondiale gli ha fatto perdere il posto e lui allora si è messo a ristrutturare casa. Marc lo ha aiutato: ha dipinto i muri e posato il parquet.
La mamma, segretaria in un’azienda di trasporti, dice che ancora oggi si rifà il letto da solo e quando è in famiglia prepara la colazione per tutti.
Ha la faccia da bravo ragazzo. Mi piacerebbe vedere la sua espressione nascosta dal casco quando in pista spinge sull’accelleratore, sfida le leggi della fisica e affronta da autentico guerriero curve e nemici.
Non ha gusti pericolosi.
Gli piace la pasta, la musica pop rock, la montagna. Ha imparato a ballare, quella specie di danza che mi ricorda il rito degli indiani che invocavano la pioggia, guardando gli attori che si muovevano a suon di musica nei film. Parla quattro lingue, gli piacciono molti sport. Soprattutto la mountain bike. Eccolo qui l’unico hobby a rischio. Non a caso il contratto con la Honda specifica che quel tipo di bici il giovanotto deve limitarsi a vederle, andarci giù lungo discese mozzafiato è severamente vietato.
Il circuito preferito è Aragon, il pilota che gli sarebbe piaciuto sfidare Mike Doohan. Perché? Semplice: “Perché dava sempre il massimo, senza stare lì a fare tanti calcoli.” È per lo stesso motivo per cui quando lo scorso anno gli hanno chiesto a quale giocatore del Barcellona pensasse di somigliare, ha scelto Pedro: “Uno che non si risparmia mai.”
Marc Marquez è nato a Cervera, Lleida: un’ora di macchina da Barcellona, il 17 febbraio del 1993. Ha vinto il mondiale in tre diverse categorie. Solo Mike Hailwood, Phil Read e Valentino Rossi c’erano riusciti prima di lui.
The smiling assassin è uno a cui non devi attraversare la strada. Era ancora un esordiente e già alzava, giustamente, la voce. Dicevano che vinceva solo perché era piccolo e leggero.
“Nessuno dice che in curva non ho forza e regalo qualche decimo che poi devo andare a recuperare.”
Lo penso da sempre. Piloti e pugili hanno molto in comune, non solo la predisposizione a ricevere dei soprannomi, ma anche la capacità di alzare la soglia del dolore oltre limiti che noi comuni mortali neppure riusciamo a immaginare.
Marquez ha vinto una gara sei mesi dopo essersi rotto una gamba in allenamento.
Ha fatto il botto volando a 280 chilometri orari al Mugello 2013.
A Sepang 2011 Marc è stato vittima di un brutto incidente riportando la paralisi del muscolo obliquo superiore dell’occhio sinistro. Aveva la visione periferica sdoppiata. La sua unica paura non era la possibilità di rimanere cieco, ma quella di non poter più correre. Un dottore aveva avanzato il dubbio, lui lo aveva fermato immediatamente.
“Tornerò a gareggiare. Non posso vivere senza moto.”
Tre mesi dopo si era operato, poi erano tornato a vincere.
Ama la sua moto: la coccola, l’accarezza. Come fanno un po’ tutti, Valentino Rossi arrivava addirittura a parlarci, come mi ha confessato in una vecchia intervista.
“Guidare la macchina mi piace molto. In moto però sei un’appendice del mezzo, una cosa funzionale per lo spostamento dei pesi, le posizioni. In auto sei uno fermo che la sta guidando. In moto sei fuori, più a contatto con l’asfalto, la temperatura, il vento e con la pista. La moto ti regala mille emozioni in più e poi la moto non è solo un mezzo. Con lei c’è una relazione molto profonda. Quando stai facendo il tuo lavoro, sei solo tu e lei. C’è un rapporto forte come fra due persone che conoscono gli stessi segreti. È una cosa nervosa, come una ragazza bella ma scontrosa: se le dai più confidenza del dovuto, non ti perdona. Certo che ci parlo. Le dico “grazie” dopo una vittoria, “bastarda” dopo una scivolata. Ma non è che la sera, prima di andare a dormire, le telefono.»
Valentino era l’idolo di Marc che collezionava in miniatura le moto cui Rossi correva. Il campione di Tavullia è anche il compagno di squadra che avrebbe voluto avere, l’idolo da ammirare e a cui rubare i segreti.
A 21 anni ha già vinto un mondiale nella classe regina e quest’anno andrà a bissare quel successo. L’altro giorno a Indianapolis ha messo in fila il decimo GP consecutivo, proprio come aveva fatto il mitico Giacomo Agostini.
È un giovane che corre veloce. Anche fuori dalla pista: sono arrivate a tre le biografie scritte su di lui.
Meraviglioso, Marvelous. Proprio come Marvin Hagler. Perché fa cose che altri neppure potrebbero pensare. Lotta con grinta, guida con classe e trova spazi dove i suoi colleghi di avventura non riuscirebbe mai a inserirsi.
Penso alla sfida di Hagler contro Thomas Hearns. Tre round senza un attimo di sosta. Colpi presi, colpi dati. E alla fine la combinazione giusta quella che chiude la battaglia e regala il successo al vincitore.
Così come ha fatto più volte Marc Marquez, l’uomo dell’ultimo giro. Contro Valentino in Qatar, contro Jorge Lorenzo al Mugello o contro Dani Pedrosa a Barcellona. È quando l’adrenalina è al massimo, il fisico chiede pietà e nella testa si rincorrono mille pensieri che si vede il fuoriclasse. La stoccata finale appartiene ai campioni, gli altri devono solo applaudire.
Corre e sogna un giorno di passare il testimone a un altro Marquez. Si chiama Alex ed è il fratello. Se l’uomo che riuscirà a batterlo sarà della famiglia, la botta farà meno male.
E sì prechè Marc “Marvelous” Marquez non vuole frequentare il verbo perdere. Ha disputato 26 Gran Premi in Moto GP e ne ha vinti 18, oltre il 69%. Roba da non credere. E invece è tutto vero. Beh, tanto per rimanere in tema, nel pugilato c’è stato Rocky Marciano che ha vinto il 100% dei match combattuti: 49 incontri, altrettanti successi. Ma non affrontava ogni volta il migliore.
Marquez invece lo fa. Ad ogni gara sfida i più forti.
La sua Honda lo aiuta molto, va bene. Ma a me piace pensare che questo giustiziere che sorride abbia dentro qualcosa di magico capace di trasformare in oro qualsiasi oggetto tocchi.
Sì, Marc è davvero Meraviglioso.