DUE GOL. Il primo di testa (foto), il secondo di piattone. Una doppietta e il Bari è tornato a esultare, irrompendo nei play off, sognando la Serie A. Quei due gol hanno trasformato Edgar Junior Cani in un idolo, lo hanno consegnato alla storia del calcio pugliese. Proprio lui che, pur essendo centravanti per ruolo e stazza (1.92 per 87 chili), del cannoniere non ha mai interpretato sino in fondo il personaggio.
Il linguaggio sportivo prende in termine delle parole e le trasforma in iperboli. Non andate a cavillare sulla dimensione che attribuisco a qualche termine. Eroe, per esempio. E’ solo per rendere l’idea, per avvolgere il tutto in un’atmosfera da favola.
Se sei dunque l’eroe di una giornata di festa è abbastanza normale che attorno a te il racconto si trasformi in leggenda. Quella di Edgar jr è una storia forte, drammatica, ai confini con la tragedia. Ma non sempre è stata narrata con rispetto assoluto per la verità cronistica.
Leggenda vuole che sia sbarcato a Bari l’8 agosto del 1991 sulla nave Vlona. Su quell’imbarcazione c’erano ventimila albanesi in fuga dal proprio Paese. Pressati sino all’inverosimile, in condizioni disperate. Bari li aveva accolti con grande civiltà.
La realtà è molto simile, ma profondamente diversa alla radice. L’ha raccontata con grande professionalità la giornalista Tiziana Alla a Dribbling su Rai 2, con tanto di testimonianze ineccepibili.
Era il luglio del 1990 quando la famiglia Ciani si era rifugiata con mille altri connazionali nell’Ambasciata Italiana a Tirana. Chiedevano un posto sicuro dove vivere, sognavano un lavoro.
Mimoza Hajno (foto sopra) è la mamma di Edgar.
“Era il tempo della disperazione. Non sapevamo se ci avrebbero sparato addosso o se ci avrebbero portati via. Siamo rimasti lì dentro per dieci giorni. Si dormiva ovunque, si mangiava una volta al giorno: un pezzo di pane, un pomodoro e un pezzo di formaggio. Poi i soldati dell’ONU ci hanno trasferiti a Durazzo. Siamo partiti per l’Italia senza portarci dietro niente se non i vestiti che avevamo addosso.”
A Bari avevano trovato ospitalità, aiuto.
“Siamo arrivati a Brindisi il 13 luglio del 1990, nove giorni dopo Edgar ha compiuto il primo compleanno a Bari. Da noi la religione era vietata, non avevamo coscienza di cosa fosse. Ma abbiamo deciso di dare al ragazzo una possibilità in più, per questo l’abbiamo battezzato.”
Non era stato poi così semplice. Serviva un padrino cattolico e alla fine l’avevano trovato.
E’ proprio Edgar jr a raccontare quel momento mettendo in fila i ricordi che Mimoza ha sempre mantenuto vivi.
“E’ stato un militare a farmi da padrino. Mamma mi ha sempre detto che si era molto affezionato a me e quando è stato il momento non si è tirato indietro. Mi piacerebbe incontrarlo, ringraziarlo.”
Il ragazzo, che oggi ha 24 anni, parla un italiano corretto. Ma la cadenza è chiaramente umbra. E’ normale, dal momento che è cresciuto e ha studiato a Città della Pieve, mentre la prima squadra di calcio è stata il Cortona.
Non si è mai fermato molto in un posto. Palermo, Ascoli, Padova, Piacenza, Polonia, Catania, Carpi. Il cerchio si è chiuso con il ritorno a Bari, il 31 gennaio: l’ultimo giorno di mercato. E’ tornato lì dove tutto era cominciato.
Quello che ha sempre chiamato “il viaggio per la libertà” lo aveva finalmente riportato a casa. Cinque presenze in A. Centodiciotto in B con 19 gol. Poi un venerdì che non dimenticherà mai.
Cinquantamila persone che scandivano il suo nome.
Il Novara era andato in vantaggio, lui era entrato con il Bari sotto 0-1 all’8’ del secondo tempo. In ventuno minuti aveva cambiato la partita. Pari con una frustata di testa al 16’, raddoppio con un intervento di precisione al 29’.
Bari impazzita di gioia, ha esultato anche l’Albania. I giornali di quel Paese hanno riportato le imprese del giovanotto in prima pagina (foto sopra).
Partito da Tirana, ha trovato il nuovo mondo in Puglia. L’Umbria l’ha cresciuto, Bari ne ha legittimato la professione.
Il calcio ha vissuto un’altra bella storia da raccontare.