Scalera, la moto e i suoi eroi

ImmaginePaolo Scalera è il numero 1 tra i giornalisti che si occupano di motori. Conosce la materia e sa raccontare. Gli ho chiesto di accompagnarci alla scoperta di un mondo affascinante come quello della velocità su due ruote.

 

QUALI sono stati a tuo giudizio i tre più forti piloti di sempre?
“Quando penso a un pilota forte ho in testa l’abilità in pista, la capacità di evolversi e anche la personalità. Per questo dico che il numero 1 assoluto era e rimane Giacomo Agostini (foto). Al quale affianco Mike Hailwood. Entrambi supervincenti, intelligenti, dotati di grande carisma. Hailwood ha fatto una cosa straordinaria: è tornato a correre nel 1978 all’Isola di Man con due moto, una Suzuki 500 ed una Ducati, andando fortissimo e replicando l’anno successivo. Pazzesco. Faccio fatica ad indicare un terzo, ma i 9 titoli ed i 20 anni di carriera dicono che Valentino Rossi è lì con loro.”

Quali sono stati i tre più bravi dal punto di vista tecnico?

“Ancora una volta Agostini in vetta. E’ passato dal 4 ai 2 tempi e vinto all’esordio in America, a Daytona, contro Kenny Roberts alla guida della Yamaha 700 in una gara che non conosceva, sulle sopraelevate. Dopo di lui metto Eddie Lawson. Nel 1989 ha lasciato la Yamaha ed è approdato alla Honda, ha vinto il mondiale e ne ha fatto una macchina da guerra che poi ha regalato titoli in serie a Mick Doohan. Dopo di loro c’è Luca Cadalora. Un pilota con un raffinato senso della meccanica, sensibilissimo. Vorrei aggiungere come quarto Biaggi, ma lui ha un modo di motivare che se non lo capisci gli si ritorce contro. All’Aprilia lo hanno capito, in entrambe le sue avventure. In Yamaha e Honda no.”
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Quali sono stati i tre duelli più entusiasmanti?

“Posso parlare solo dal 1977 in poi. Dunque metto al primo posto il duello fra Jon Ekerold e Toni Mang per il titolo della 350, nel 1989, sul vecchio Nurburgring (foto). Jon era un pilota privato (correva con motore Yamaha e telaio artigianale Bimota. Mang era ufficiale Kawasaki), che dormiva con la moglie in una roulotte ed aveva al seguito un bambino appena nato. Ex campione dei pesi medi in Sudafrica. Bellissima faccia tosta, naso rotto. Abbracciò la moglie ed il bambino quando gli domandai se aveva una strategia. Mi disse: “Se non mi vedi uscire dall’ultima curva, non ne uscirò”. Poi si sedette sulla moto, chiuse gli occhi e tre minuti prima del via era lì che la cullava, facendola ondeggiare. Mang, all’arrivo, mi raccontò che aveva deciso di frenare quando aveva visto Jon, in carena, che guardava lui e non il punto di frenata. Sono ancora eccitato. Di duelli da secondo posto in classifica ce ne sono molti: Rainey e Schwantz ad Hockenheim, Roberts e Spencer ad Anderstorp, ma forse merita quella posizione il “triello” Roberts, Spencer, Lawson a Imola nel 1983. Roberts aveva bisogno che Lawson arrivasse davanti a Spencer per vincere il titolo e fece di tutto perché ciò accadesse. Rallentava, accelerava, compiva autentiche magie. Lawson, alla sua prima stagione, non fu capace di aiutarlo. Kenny perse il titolo, ma alla fine, quasi in trance, sul podio di Imola si congratulò con Freddie e poi, in una saletta del circuito, accettò di farsi fotografare dal grande Franco Villani mentre incoronava Spencer. Il terzo duello memorabile, forse, è stato quello fra Rossi e Lorenzo a Barcellona nel 2009. Valentino riuscì a passare Jorge all’uscita del curvone con una manovra pazzesca. Aveva già perso e riuscì a vincere per 95/1000!”

Quali sono le tre moto che indicheresti come le migliori di sempre?

“Per me le moto migliori non sono quelle più vincenti. O meglio, non basta vincere per esserlo. Per questo credo che il capolavoro assoluto rimanga la Honda NR 500, la 4 tempi a pistoni ovali, 8 valvole per cilindro, due bielle per pistone che nel 1979 superava i 20.000 giri ed aveva un telaio monoscocca a uovo. Un concentrato di tecnologia la cui sperimentazione si sente ancora nelle moto di oggi. Non fu un progetto vincente, era troppo avanti. La seconda miglior moto è stata la Yamaha TZ 250. Fra gli anni Settanta e Ottanta, costruita in piccola serie e sempre evoluta ha permesso a tantissimi piloti di vincere titoli mondiali. Basti dire che quando la Yamaha smise di costruire le sue 250 ufficiali (erano 4 cilindri, sempre due tempi) piloti come Read continuarono a correre e vincere con la TZ. La terza moto è la MV Agusta 350 e 500 tre cilindri. Un capolavoro per l’epoca. nello stesso periodo non c’era niente al suo livello.”
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Metti in fila la tua classifica dei dieci migliori piloti di sempre.
“1. Agostini; 2. Hailwood; 3. Rossi (foto); 4. Nieto; 5. John Surtees; 6. Kenny Roberts; 7. Eddie Lawson; 8. Freddie Spencer; 9. Wayne Rainey; 10. Max Biaggi.”

Quali sono le tre migliori qualità di Valentino, Biaggi e Capirossi?

Rossi: l’estro, l’intelligenza, la cattiveria; Biaggi: la capacità di soffrire, la volontà, l’insoddisfazione perenne; Capirossi: la normalità, il coraggio, la resistenza al dolore.”

Quanto è stato forte Giacomo Agostini confrontandolo con i migliori di sempre?
“Agostini è come il Clay di rope a dope. La ricerca del dettaglio e una incredibile leggerezza di spirito. Dall’esterno tutto sembrava riuscirgli facilmente, ma in realtà è stata la sua intelligenza, ancor prima del talento, a portarlo lontano. E’ stato il più intelligente di tutti.”

Il pilota perfetto deve avere…

“Velocità, capacità di soffrire, un carattere unico.”

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I tre momenti più emozionanti di cui sei stato testimone?

“La morte di Ayrton Senna a Imola. Hubert Auriol (foto) che si fracassa una gamba ad una tappa dalla vittoria nella Dakar e porta la moto a fine tappa con l’osso fuori dallo stivale. La conferenza stampa a Bamako dopo la morte di Sabine, con Suzanne, la fidanzata, che ha al polso il suo orologio.”

Quali sono i tre ricordi, legati in qualche modo ai motori, che ti porterai dietro per sempre?

“Una notte nel deserto del Ténéré, in mezzo al nulla, vicino ad una ‘Balise Berliet’, sentendomi solissimo ma pensando che se nella vita avrei avuto una crisi il ricordo di quel momento mi avrebbe aiutato. Il ritorno a casa dopo la Maratona di Roma: ero già in crisi e non c’era nessuno ad aspettarmi. Mi sentii solo. Il ritorno da un Gran Premio del Giappone: l’aereo atterrò ed in quel momento mia mamma morì. Arrivai a casa che c’erano ancora i medici.”

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IN MOTO CON LAWSON NEL DESERTO DEL MOJAVE

Ecco come Paolo Scalera (foto) si racconta sul sito http://www.gpone.com

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MI SONO sempre piaciute le corse, forse perché da bambino vedevo le foto di mio padre Luciano sulla Rumi. Correre è vivere. Mi piace farlo a piedi, ed anche in moto ma le mie esperienze sono state amatoriali: derivate di serie, campionato juniores 250. Così ho cominciato a scrivere di motociclismo. Ad un certo punto ho preso la mia Fiat 500 – è ancora in garage! – e sono partito per i Gran Premi del lontano nord, in tenda: Svezia, Finlandia, Inghilterra. Nel 1977 è nato Motosprint e da collaboratore ne sono diventato l’Inviato. Un’esperienza bellissima, fra gente appassionata come me. Gioie e dolori, la perdita di un collega, Beppe De Tommaso, mi ha spalancato le porte della Parigi-Dakar (nella foto sopra nell’edizione 1984, assieme a Juan Parcar e Toni Merendino). Un amore travolgente, dapprima da giornalista, poi da “pilota”. Otto anni di avventura con la fortuna di aver trovato un amico, Gigi Soldano che mi ha spalancato le porte della fotografia. E sono stati libri. Poi nel 1987 è arrivata la chiamata del Corriere dello Sport. Ho pensato, ora si inizia a lavorare seriamente, è finito il divertimento, ed invece nel grande quotidiano ho allargato gli orizzonti all’auto con la F.1. Ed è stato allora che ho capito che fare il giornalista è sempre meglio che lavorare. In moto con Eddie Lawson nel deserto del Mojave, con Freddie Spencer in Lousiana, in macchina a Monza con Nannini. Le ore ad aspettare Alain Prost ai tempi della Ferrari, i silenzi carichi di significato di Ayrton Senna prima di darti una risposta. Avevamo tutti la stessa età. Ma la volete sapere una cosa? Correre, e seguire le corse, aiuta a non invecchiare. Per questo nel 1999 ho fondato GPone.com. E per questo, ora, proverò a raccontarvi cosa c’è dietro questa grande passione che giustamente gli americani chiamano ‘The Need for Speed’.”

5 pensieri su “Scalera, la moto e i suoi eroi

  1. Mi spiace che abbiate analizzato i piloti a seconda dei titoli vinti. Mi sembra che abbiate ignorato Spencer che sgretolò grandi campioni come Roberts Lawson ecc. Esagerato il peso di Doohan che batteva Criville, ma soprattutto ignorare Saarinen che aveva annichilito Ago e Read, inserire Biaggi Cadalora e dimenticare Read, Ubbiali, Redman, non prendere in considerazione Gary Hocking, che ancora oggi non fa dormire Surtees e Taveri mi sembra alquanto superficiale e campanilistico. Vero è che ognuno ha la sua visione di questa ipotetica classifica, e che ciascuno resterà della propria opinione, però se sono i migliori di tutti i tempi bisognerebbe partire dal 1949 a “considerare”. Un abbraccio Mario

    1. Ciao Mario,
      approfitto del blog dell’amico Dario e ti rispondo io. La classifica, come tutte le classifiche di questo tipo è imprecisa e viziata dal parere personale. Saarinen: hai ragione, chissà cosa avrebbe fatto senza la maledetta Monza. E poi Read, mi emoziono ancora adesso quanto lo incontro nel paddock. Come ben sai perché lo sei, tutti i campioni sono particolari, unici, irripetibili. Quando ne devi scegliere 10 e non 100 fai delle scelte, che sono ovviamente opinabili.
      Io ho iniziato a seguire il mondiale sul campo praticamente con le tue gare, quando ancora Ago correva, ma anche non inserire Sheene è un po’ una bestemmia. Due mondiali, e carattere da vendere. Ma poi è arrivato Kenny…insomma. Se me la richiedi ora o ne discutiamo fra una settimana, interagendo l’un l’altro, magari ne tiro fuori un’altra. Non sostanzialmente diversa, ma diversa. Un abbraccio

  2. e tanto per accendere la discussione:
    – se nel 1968 la Honda non si fosse ritirata vincolando Hailwood a non gareggiare per altre case , Mike (che aveva appena 28 anni) quanti titoli avrebbe potuto aggiungere ai suoi 9 (+1) e quanti ne avrebbe vinti Agostini?
    – se Saarinen non fosse stato vittima di quel tremendo incidente a Monza nel 1973 quali traguardi avrebbe potuto conquistare lui e Agostini sarebbe mai passato alla Yamaha?
    – i titoli che ha vinto Walter Villa avrebbe potuto vincerli Pasolini?
    – se Rayney o Provini non avessero avuto i loro drammatici incidenti che ne hanno stroncato la carriera quanti titoli avrebbero potuto conquistare?
    E come valutare Nuvolari, Varzi, Omobono Tenni, Taruffi che hanno gareggiato, primeggiando, in un periodo in cui l’albo d’oro del Campionato Mondiale era di là da venire?

  3. Paolo, non ho vergogna a scriverlo: mi sono emozionato a leggere le tue risposte ! Condivido quasi tutto, il quasi è normale . Ti ammiro un sacco e pensare che non mi eri particolarmente simpatico fino a qualche anno fa ! Continua a scrivere del nostro sport , c’è ancora tanto da raccontare, ci sono persone speciale che hanno vissuto una vita con le due ruote a fianco, sotto il sedere e che sarebbero un esempio per i nostri ragazzi come lo sono stati per noi. Abbiamo il privilegio di lavorare in questo mondo, di emozionarci per i nostri piloti ….what else ? ciao Poalo, a presto ….in pista naturalmente !
    Marco

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