
Sandro mi ha raccontato questa storia tanti anni fa. In uno dei nostri incontri, mentre lavoravo al libro sulla sua vita. Pubblico la versione inserita nella sceneggiatura di “Il ciclone di Pontedera”, andato in scena al Teatro Era il 6 ottobre 2023.
Un uomo, avvolto in un mucchio di panni sporchi e maleodoranti, giace sotto la pensilina appena fuori la Stazione. Si scuote da un antico torpore e riprende lentamente contatto con la vita.
La folla continua a passargli accanto senza vederlo. È un fantasma, fa paura. Indossa da mesi gli stessi vestiti. Un vecchio impermeabile, un tempo bianco, che non riesce a risparmiargli il freddo nelle notti di inverno e lo fa sudare nelle bollenti sere d’estate. Un maglione sdrucito e un paio di pantaloni di qualche taglia più grande di quanto sarebbe necessario.
In fondo alla pensilina, sbuca un giovane. Gli va incontro a piccoli passi, lo raggiunge, lo saluta con affetto. Ha portamento sicuro e fisico atletico. Sandro Mazzinghi fa il pugile, per vivere dà e prende cazzotti. È un mestiere che ha imparato così bene da essere diventato un campione.
Si sono incontrati per la prima volta nei primi giorni di febbraio del ’67. Mazzinghi era in città per difendere l’Europeo dei medi junior contro Jean-Baptiste Rolland. Gli è sempre piaciuto passeggiare nelle stazioni, dice che lì si incontra l’umanità intera. Si muoveva con lentezza anche quella volta. Quando il barbone gli si era avvicinato, non si era voltato dall’altra parte. Gli era andato incontro.
“Posso aiutarti?” aveva chiesto.
“Sei gentile” aveva risposto, con tono tra lo stupito e il sospettoso, il senzatetto.
“Entriamo in quella trattoria. Una bistecca e un bicchiere di vino ti faranno bene”.
“Grazie. È tanto che non faccio un pasto regolare”.
“Andiamo”.
“So chi sei, un tempo ero pugile anch’io. Tiravo pugni sui ring di periferia, niente di serio. Ma mi faceva stare bene. Poi ho perso il lavoro, la famiglia, la casa. E adesso eccomi qui, del mio passato non è rimasto nulla”.
“Come ti chiami?”
“Non ho più un nome”.
“Come posso chiamarti?”
“Sandro, come te”.
“E allora, Sandro, ti prometto che ogni volta che sarò a Milano per un match, verrò a trovarti”.
“Io sono qui, non mi muovo”.
L’incontro va bene, come va bene sette mesi dopo quando il toscano torna per la sfida con Wally Swift.
I due sono diventati quasi amici. L’altro Sandro segue le imprese del Ciclone di Pontedera affidandosi alla gentilezza dei passanti. Chiede a chiunque abbia una radiolina di raccontargli i combattimenti dell’amico famoso. Qualcuno sbuffa, qualche altro lo manda a quel paese. Ma alla fine trova sempre uno che accetti di dividere con lui la radiocronaca dell’incontro.
Ogni volta che il toscano sale sul ring, l’altro Sandro piange.
Mazzinghi è di nuovo a Milano. Prima di andare in albergo, va in Stazione.
«Campione, che piacere rivederti!»
«Come stai?»
«Bene. Non devi preoccuparti per me».
«Hai bisogno di qualcosa?»
«Tranquillo, non mi serve niente».
«E allora vado, ma prima voglio farti una promessa».
«Dimmi».
«Voglio realizzare un sogno. Tornare campione del mondo. Se ci riuscirò, io e te festeggeremo assieme. Ti comprerò un paio di guantini d’oro e te li porterò qui, dopo il match».
«L’importante è che tu vinca. Fallo anche per me. Sarebbe la prima cosa bella dopo tanto tempo. Ti aspetto».
«Verrò. E ti darò il mio regalo, perché io questo match lo vinco».
Un saluto, una pacca sulla spalla, un sorriso e sono di nuovo lontani.
Mazzinghi vince la battaglia contro Ki Soo Kim, è di nuovo campione del mondo.
È tempo di brindare con l’amico speciale.
Non riesce ad andare da lui la notte del match, la mattina dopo entra in una gioielleria. Compra un paio di guantini d’oro e corre verso la stazione ferroviaria.
L’altro Sandro non è al solito posto. Il campione lo cerca sotto la pensilina appena fuori la stazione, accanto ai binari, nel vecchio bar, nella trattoria dove sono stati la prima volta. Niente.
Chiede in giro.
“Scusa, sto cercando un amico. Non riesco a trovarlo, si chiama Sandro”.
“Sandro? Non conosco nessuno con quel nome” risponde un signore alto, grosso, sulla faccia le cicatrici di una vita difficile.
“Ma è sempre qui, proprio in questo posto”.
“Forse cerchi Giuanin”.
“Non lo so, non so come si chiami. Non ha mai voluto dirmi il suo vero nome”.
“Descrivimelo”.
“È un po’ più basso di te. Robusto. Ha sempre addosso un impermeabile bianco e un maglione verde troppo grande per lui. Pantaloni vecchi, logori”.
“Sono quasi sicuro. Stai cercando Giuanin”.
“Dimmi, dove posso trovarlo?”
“Forse, già da oggi, al camposanto. L’hanno raccolto ieri. Era in terra, accanto a lui la pagina di un giornale sportivo. Nelle mani aveva una foto strappata dal giornale. Un pugile, uno che ti somiglia…”.
Il buio della morte copre ogni altra parola.
Le lacrime riempiono il volto di Mazzinghi.
Anche i pugili piangono.
E non si vergognano di mostrare al mondo il loro dolore.

Un racconto tratto dal mio libro “ANCHE I PUGILI PIANGONO, Sandro Mazzinghi un uomo senza paura, nato per combattere”, vincitore del Premio Selezione Bancarella Sport 2017, edizioni Absolutely Free.

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