
Il pugilato, nel mondo, sta diventando sempre più uno sport di nicchia.
Resistono poche realtà, l’Inghilterra ad esempio e qualche spettacolo negli Stati Uniti. In altri posti è più difficile riempire le arene e portare milioni di persone davanti alla tv. Un’eccezione è stato il Messico con il ritorno a casa di Canelo.
La popolarità è fatta di grandi numeri. C’era un tempo in cui la boxe era trasmessa in chiaro e i diritti dei match americani venivano comprati in tutto il mondo. Accadeva così che l’audience di Muhammad Ali vs George Foreman (Kinshasa, 30 ottobre 1974) fosse di 50 milioni di telespettatori. Poi è cresciuto un servizio creato subito dopo la guerra (Joe Louis vs Jersey Joe Walcott nel 1948 lo ha inaugurato). Il circuito chiuso nei cinema, biglietto a pagamento per carità, ma con costo decisamente basso, ha ampliato il bacino di utenza affiancando la tv. E così Muhammad Ali vs Joe Frazier III (Manila, 1° ottobre 1975) è stato visto da quasi cento milioni di persone.
Alla fine della giostra è arrivata la pay per view, che ha esordito con Patterson vs Johansson nel 1961, per poi svilupparsi in modo prepotente dagli anni Novanta in poi. Si paga, per vedere il singolo evento, una quota extra che va ad aggiungersi all’abbonamento mensile. E il costo del collegamento è a salire.
Per vedere Terence Crawford vs Errol Spence jr, la grande sfida del prossimo 29 luglio, si dovranno pagare 84.99 dollari (poco meno di 78 euro). La trilogia Tyson Fury vs Deontay Wilder è costata mediamente 79.99 dollari a match. E per Floyd Mayweather vs Conor McGregor, parodia di un match di pugilato, 4,3 milioni di persone hanno pagato 100 dollari a connessione .
Floyd Mayweather, rappresenta l’eccezione nel campo della pay per view. Senza di lui bisogna tornare indietro di 20 anni e più, arrivare a Holyfield vs Tyson II (1997) o Lewis vs Tyson (2002) per trovare un evento che abbia sfiorato i due milioni.
In Italia abbiamo avuto momenti esaltanti. Loi-Ferrer (29 novembre 1955) è stato l’evento più visto dell’anno per una Rai che aveva da poco inaugurato le trasmissioni. E, tanto per passare a tempi meno remoti, Oliva-Gonzalez (10 gennaio 1987) trasmesso attorno alle 22 da Rai 1 ha raccolto quasi dieci milioni di telespettatori. I match di Gianfranco Rosi (anni Ottanta, inizio anni Novanta) oscillavano tra i 4/5,5 milioni. Sotto di poco, dal punto di vista dell’audience, gli incontri di Giovanni Parisi. Tutto in RAI. La Fininvest nel momento in cui ha deciso di lanciarsi nel mondo dello sport, accanto al calcio ha disegnato un ruolo da protagonista per tennis e pugilato.
Da qualche tempo le televisioni da noi non sono più così vicine alla boxe. La pay per view non è ancora arrivata, tranne un paio di eccezioni, ma i
numeri dell’audience sono comunque bassi.

Tornando ad allargare l’obiettivo, si può vedere come sia cambiato l’intero panorama. Ricchi sempre più ricchi. Sono pochi, ma sono milionari. E sono anche volubili. Canelo Alvarez aveva un accordo con DAZN per dieci match a 365 milioni di dollari totali. Poco dopo avere firmato il contratto, ha chiesto il cambio dei termini, tornando a negoziare incontro per incontro. Ha poi lasciato DAZN e si è diretto verso Showtime che ha trasmesso la sfida con Caleb Plant facendo pagare la PPV 69.99 $ per la soluzione standard, 79.99 $ per chi avesse preferito l’HD.
Quando è scaduto il contratto di Anthony Joshua con Sky Sports. Il peso massimo britannico ha spostato, a inizio 2022, l’interesse verso DAZN.
Alla TV servono soldi, la pay per view è l‘unica strada per farne tanti.
“È inevitabile” ha detto Eddie Hearn, il boss di Matchroom.
Questo porta a un ulteriore, vistoso calo di visibilità del pugilato, a una riduzione degli utenti, a un ridimensionamento della popolarità.
Pagare 85 dollari negli States non è alla portata di molti, soprattutto nell’attuale periodo di recessione. E poi, anche i numeri della PPV indicano un trend negativo.
Pochi ricchi, tanti pugili che devono accontentarsi di 40.000/50.000 dollari (tra i 37.000 e i 45.000 euro) anche per un mondiale. Meno soldi per la maggior parte dei protagonisti, meno spettacoli di prima categoria per gli appassionati, meno promozione nel mondo.
Sono i grandi match a catturare l’attenzione, a divulgare il messaggio. Se ne parla tanto, ma se ne fanno pochi, servono tanti soldi per metterli in piedi. E quei pochi che si realizzano sono diventati uno spettacolo per una minoranza di appassionati.
Pensateci un attimo. Se passeggiaste per Roma con i due protagonisti di uno dei più importanti match dell’anno, parlo di Terence Crawford ed Errol Spence jr. Quante persone pensate che li fermerebbero, che chiederebbero un autografo o una foto?
Provate a pensare alla stessa passeggiata per il centro storico con Muhammad Ali, Sugar Ray Leonard, Roberto Duran o Mike Tyson. Ecco, credo sia un buon indicatore per misurare la popolarità dello sport. E tutto porta alla stessa radice, l’ingresso in modo prepotente della PPV nella diffusione dello sport. È stato un livellatore, in basso, della promozione.

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