Cinquant’anni fa (video). Monzon, Bogs e una strana scommessa…

Copenaghen, agosto 1972

Un mal di gola aveva rischiato di fargli saltare il mondiale contro Tom Bogs, nell’agosto di cinquant’anni fa.
La moglie l’aveva chiamato allarmata. Abel, il loro figliolo, aveva mal di gola e febbre alta. Monzon decideva di annullare la sfida, voleva prendere il primo volo da Copenaghen.
«Si torna a casa. Non ho nessuna intenzione di salire su un ring con mio figlio che sta male a migliaia di chilometri di distanza».
Poi Amilcare Brusa, il coach di sempre, parlava con Mercedes Garcia e calmava il campione.
«Carlos, è solo qualche linea di febbre. Il dottore dice che si risolve tutto in poche ore».
E così era stato.
Monzon saliva sul ring e metteva Bogs kot al quinto round. Il danese, 28 anni e un buon record, era stato campione europeo tra i medi e tra i mediomassimi. Nella prima categoria aveva prima vinto e poi perso contro Carlo Duran, nella seconda aveva sconfitto Piero Del Papa. Alle operazioni di peso, il pugile di Copenaghen incrociava gli occhi di Monzon e con lo sguardo da duro gli lanciava una sfida.
«Se stasera mi batti, questa sarà tua».
Così dicendo si toccava la catenina che portava al collo. Era in oro e come ciondolo aveva due piccoli guantoni.

Quel mondiale dei medi finiva presto, fermato alla quinta ripresa. Il britannico Harry Gibb prolungava inutilmente il combattimento. Non erano sufficienti due conteggi ufficiali, e due atterramenti interpretati (erroneamente) come scivolate, per fermare il match. Solo al terzo knock down l’arbitro decretava la fine dell’incontro. A generare tutti quegli atterramenti del danese era il destro di Monzon. Un destro privo però, in quell’occasione, della linearità tecnica che gli insegnamenti di Brusa pretendevano. Era più un colpo da street fighter, da combattente della strada, che da pugile professionista a chiudere l’incontro.
Monzon era in pena per il figlio e voleva tornare velocemente a casa. Per raggiungere lo scopo aveva fatto appello all’anima selvaggia che faticosamente continuava a nascondersi in lui.
Nel party dopo la serata mondiale, Tom Bogs sedeva al tavolo con un gruppo di amici. Monzon faceva il suo ingresso a festa già cominciata. Si avvicinava al danese, lo guardava negli occhi e pronunciava poche parole.
«Penso che questa roba sia mia».
Con un solo colpo strappava la catenina e il ciondolo con i guantoni in oro, dal collo dello sconfitto.
Il tempo volava via in fretta. Un’altra borsa da centomila dollari aspettava il campione argentino, era il compenso per la sesta difesa del titolo. Quella contro Benny Briscoe.

(da Monzon, il professionista della violenza. Di Riccardo Romani e Dario Torromeo, Absolutely Free Libri)

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