
Finale 3000 siepi uomini, Mondiali di Eugene.
Gli atleti sono pronti ai sette giri e mezzo di pista, ai 35 ostacoli alti 91 centimetri, alla vasca piena d’acqua da scavalare a ogni tornata.
Ma maledizione, stavolta c’è qualcosa che non era previsto.
I quindici corridori escono dalla curva, imboccano il rettilineo sotto la tribuna centrale e, arrivati a una cinquantina di metri dalla linea del traguardo, che in questo caso indica la fine del primo giro, si trovano davanti in seconda corsia un robusto signore.
Camicia azzurra, pantaloncini neri e grossa telecamera in mano. Stava riprendendo la finale del triplo femminile e non si è accorto di avere invaso l’area di gara dei 3000 siepi. È troppo concentrato sul suo lavoro, controlla se tutto sia a posto. E si dimentica del mondo attorno a sè.
I corridori gli urlano di togliersi di mezzo, qualcuno lo evita miracolosamente. Lui sembra non rendersi contro di nulla, quando l’ultimo finalista gli passa davanti rientra nel prato.
È andata bene, nessuno lo ha centrato, nessuno si è fatto male.
Ma che ci faceva un cameraman in pista in una finale mondiale?